L’Italia sarà guidata da una coalizione di destra. In un’elezione dal bassissimo turn-out elettorale (64%, un crollo del 10% dalle elezioni precedenti), il partito guidato da Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia (FdI) ha fatto incetta di voti posizionandosi primo con il 26% delle preferenze. Stravince anche sugli alleati di Lega (ferma al 9%) e Forza Italia (intorno all’8%), e si accinge a formare un governo in un passaggio tra i più complessi della storia della Repubblica e in generale dell’Unione Europea, tra rallentamento dell’economia, guerra in Ucraina e crisi climatica.

La destra di fronte alle sfide ambientali

Giorgia Meloni, che vanta ottimi rapporti con la destra francese di Marine Le Pen e i governi ultraconservatori e autoritari ungherese e polacco, non ha una storia di pensiero e azione sull’ambiente ed energia. Spesso si è appoggiata su posizioni populiste, dal no alle auto elettriche alle allerte sugli impatti economici sui settori dell’industria condannati dalla transizione ecologica (dal mondo dei motori a scoppio ai balneari, dal mondo della piccola edilizia all’agricoltura e zootecnia). Un’opposizione spesso ideologica e mai immersa nel realismo che deve avere chi governa e non si limita a strillare dai banchi dell’opposizione.
Come ha dimostrato anche il M5S, che da anni ha uno dei programmi sulla carta più ambientalisti dell’offerta politica italiana, al momento di gestire la cosa pubblica, tra interessi economici, pressione dei cittadini, opposizione dei comitati e dei lobbisti, è molto difficile il fare di testa propria, specie in un momento dove il tema energetico è la chiave delle due principali crisi internazionali sopramenzionate: clima e conflitto russo-ucraino.
Una delle analisi più ragionate di questa campagna elettorale, sull’impegno climatico dei partiti, realizzata tra esperti e scienziati da Italian Climate Network e Climalteranti ha dato pessimi voti a Fratelli d’Italia e al resto della coalizione. 4,1 su 10 è il voto ottenuto, una chiara insufficienza. Malissimo sulla giustizia climatica; 1,7 sull’impegno per l’abbandono delle fonti fossili; 2,7 sull’ambizione delle politiche di decarbonizzazione; 3,6 in Investimenti pubblici. Poco meglio solo sul quadro internazionale, su cui la coalizione rimane comunque molto sotto la sufficienza (4,5).
Da un lato i neoparlamentari della destra, oltre 220, si troveranno una serie di proposte di legge rimandate da anni, dalla legge sull’acqua a quella attesissima sull’uso del suolo, per non parlare del ruolo della transizione ecologica in legge di bilancio, dal rafforzamento dell’ecobonus al supporto per le rinnovabili, ed infine tutto il lavoro di riforme messo in programma dal PNRR. Se sull’acqua la destra della Meloni potrebbe accantonare gli interessi privatistici di Lega e Forza Italia e con piglio populista fare una legge sull’acqua come bene nazionalpopolare (non useranno mai la parola comune), molto più difficile sarà la possibilità di fare una legge sul consumo di suolo, invisa a migliaia di elettori ed elettrici che lavorano nel settore costruzioni.
Con l’arrivo dell’accordo internazionale sulla biodiversità che chiede ai paesi di tutelare almeno il 30% del territorio nazionale per la protezione delle specie, FdI si troverà in una strettoia, schiacciata dagli interessi delle tante piccole imprese agricole, balneari, zootecniche, della pesca, e dalla propria necessità ideologica di dare massimo rilievo ad un tema che la destra deve fare proprio nella sua concezione di ambientalismo, ovvero la conservazione. Si presume prevalga la prima, ma potrebbero esserci sorprese soprattutto dai e dalle parlamentari più giovani.

La partita dell’esecutivo: chi andrà al Ministero della Transizione Ecologica?

Dall’altro lato c’è l’immensa partita dell’esecutivo, preso nell’incubo del PNRR ancora prima che sia formato il governo (tant’è che già si fa appello a Draghi e a numerosi tecnici per i dossier più complessi). Mentre pare possibile che Gian Marco Centinaio (Lega) tornerà a fare disastri all’Agricoltura (ma il dicastero potrebbe essere preso da qualcuno dei FdI), all’Economia si attende un tecnico come Fabio Panetta, altro uomo della BCE come Draghi, che dovrà gestire la complessa situazione dei rincari energetici, dell’inflazione e del PNRR.
Circolano numerose voci sul ministero della Transizione Ecologica (MITE). La Lega avrebbe voluto riconfermare il ministro Roberto Cingolani, amato da Giancarlo Giorgetti per le sue posizioni pro-nucleare e pro-gas, nominato in prima istanza dal M5S (che per altro elegge in parlamento a Napoli l’ex-ministro dell’ambiente, il sempre apprezzato Sergio Costa). Ma con la Lega al 9% si dovranno accontentare di esprimere lo stesso Giorgetti al Ministero dello Sviluppo economico, vista la sonora batosta ricevuta da Salvini, che si avvia verso il tramonto dentro la formazione un tempo autonomista. Difficilmente il MITE verrà affidato ad un politico data la complessità dei dossier da gestire (attuazione PNRR; piano transizione ecologica e piano clima, adattamento, rinnovabili, prezzi gas, negoziati COP27 clima e COP15 biodiversità in arrivo a novembre e dicembre). Un nome girato insistentemente è quello di Francesco Starace, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Enel, che fa sognare il mondo delle rinnovabili e della green economy, nome molto conosciuto all’estero e che darebbe certo grandi garanzie sulle intenzioni del nuovo governo sul tema energetico e anche climatico (Starace sta guidando con successo un colosso come Enel verso la decarbonizzazione e l’elettrificazione). Altro big è Stefano Donnarumma, ad di Terna, qualificatissimo sempre sulla parte energetica (forse meno sui dossier ambientali), che si troverebbe un Ministero da riorganizzare dopo la gestione caotica di Cingolani e da riformare anche per le competenze interne. Le capacità per gestire questo ministero, istituito solo nel febbraio 2021 dalle ceneri del Ministero dell’Ambiente e delle direzioni energia del ministero dello Sviluppo Economico, non mancano né a Donnarumma né a Starace. Cingolani aveva dichiarato lo scorso dicembre di dimettersi in primavera, poi è scoppiato il casino e per garantire continuità potrebbe essere la soluzione di comodo, ma non certo quella giusta, vista la negligenza su qualsiasi settore ad eccezione di quello energetico dove non si può dire abbia preso posizioni progressiste e ambientaliste.

Per il momento non resta che fare gli auguri a parlamentari, senatori e senatrici eletti. Le posizioni clima-negazioniste e anti-ambientaliste di Orban, Trump e Le Pen non devono trovare spazio in questo parlamento né nel governo che sarà approvato da Mattarella e proposto da Giorgia Meloni. La posta in gioco è massima e l’imperativo è vincere, dimostrando che l’ambiente e l’energia sono davvero una questione super-partes. Dato che la sconfitta la pagherebbe chiunque, senza differenza tra astenuti, progressisti, conservatori, post-fascisti o post-comunisti.

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