Sabato 13 novembre, poco prima delle 21, ora italiana, arriva il suono del martello di Alok Sharma, presidente della COP26. Approvato il Glasgow Climate Pact. Dopo due settimane di negoziati durissimi arriva l’accordo tanto atteso. Non un successo scintillante ma nemmeno un fallimento come fu Madrid nel 2019. Sul piatto ci sono numerosi risultati importanti.

La frenata dell’India e il disappunto di Guterres

Innanzitutto viene rafforzata l’ambizione politica di raggiungere un aumento medio delle temperature entro 1,5° C, con l’obiettivo di medio termine di ridurre del 45% le emissioni di CO2 entro il 2030, rispetto i livelli del 2010. Altro risultato importante il raddoppiamento dell’erogazione di risorse finanziarie per i processi di adattamento agli effetti più catastrofici del cambiamento climatico. Infine, terzo grande risultato l’approvazione di tutti i meccanismi applicativi dell’Accordo di Parigi, il quadro di riferimento per tutta l’azione sul clima globale.
Ma il risultato è offuscato dalla
brusca frenata da parte dell’India sull’eliminazione del carbone dal mix energetico. “Ridurre” invece che “eliminare l’uso del carbone” è la richiesta del ministro dell’ambiente indiano Bhupender Yadav, accompagnata da un’ulteriore richiesta di ridurre (invece che cancellare) i sussidi “inefficienti” alle fonti fossili. Un brutto strappo che rovina la festa di chi attendeva un annuncio importante sulle principali fonti di emissioni di CO2.
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Alok Sharma, ministro del governo britannico e presidente di COP26, tradito dall’emozione (e dal dispiacere), non rimane che definire l’accordo come "imperfetto" ma ribadendo come abbia generato "consenso e sostegno". “Lasceremo questa conferenza uniti dopo aver consegnato qualcosa di significativo per le persone e il pianeta”.
Durissimo il commento del
segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres: “Stiamo ancora bussando alla porta della catastrofe climatica. È tempo di entrare in modalità di emergenza, o la nostra possibilità di raggiungere emissioni net zero sarà di per sé pari a zero. Ribadisco la mia convinzione che dobbiamo porre fine ai sussidi ai combustibili fossili ed eliminare gradualmente il carbone”.

Revisione degli NDCs

Nel testo del Patto si spinge per un rinnovato impegno con gli NDC, gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni. Secondo le analisi scientifiche gli NDC presentati per la conferenza di Glasgow non sarebbero idonei a limitare le temperature a 1,5°C. Dunque è stato deciso di tornare al tavolo dei negoziati l'anno prossimo, per Cop27 in Egitto, e riesaminare i propri piani nazionali, con l'obiettivo di aumentare l’ambizione sugli obiettivi di riduzione. Un segnale importante che aumenta la pressione sugli stati restii a fare di più sulla decarbonizzazione. Con il nuovo calendario, inoltre, ogni cinque anni bisogna presentare un piano decennale di riduzione delle emissioni e di adattamento. Questo allinea tutti gli impegni dei paesi, per meglio rendicontare i progressi della sfida climatica.

Il libro delle regole dell’Accordo di Parigi

Rimandati per 6 anni, finalmente i regolamenti dell’Accordo di Parigi garantiranno innanzitutto trasparenza sulla rendicontazione delle emissioni, fondamentale per qualsiasi azione di riduzione, meccanismi finanziari efficaci e valutazione degli impegni nazionali. Altro elemento importante del regolamento è il nuovo mercato globale della CO2, che chiude una serie di scappatoie per conteggi errati delle emissioni. In questo modo si crea un regime commerciale strutturato tra paesi, anche se rimangono alcuni elementi da sistemare.

100 miliardi, si va al 2023

Quello dei 100 miliardi di dollari all’anno dal 2020” era uno dei temi che i paesi in via di sviluppo volevano vedere confermati entro il 2021. Si è arrivati a circa 80 miliardi. Ora nel nuovo testo si chiede “con urgenza” di allocarli al 2025 (cioè complessivamente 600 miliardi), da rendicontare con trasparenza. Toccherà ai paesi industrializzati mantenere gli impegni e riflettere anche su dei nuovi impegni post-2025. Questo sarà sicuramente un tema centrale della COP27 egiziana.

Loss&Damage, la mancata assicurazione per i paesi vulnerabili

Grande insoddisfazione per il debole risultato su quello che è il meccanismo assicurativo per i paesi vulnerabili conosciuto come Loss&Damage. Viene istituzionalizzata una serie di incontri (ben quattro entro il 2023), però non viene indicata una data per prendere una decisione, né un processo continuativo, né se ci saranno effettivamente dei volumi mobilitati. “Ma è finora il segnale politico più forte su L&D, e la prima volta che si apre un dialogo su questo tipo di finanza”, scrive Luca Bergamaschi, co-fondatore di Ecco, il think tank italiano indipendente per il clima.
Il gruppo dei paesi in via di sviluppo avrebbe voluto un’entità dedicata, con tanto di finanziamento, ma Usa e UE sono rimasti freddi sul tema.
Mohamed Adow, direttore del think tank Power Shift Africa con sede a Nairobi, ha dichiarato: “I bisogni delle persone vulnerabili del mondo sono stati sacrificati sull'altare dell'egoismo del mondo ricco”.