Bene, ma si può (e si deve) migliorare. È questa in sintesi la conclusione a cui giunge l’ultimo rapporto di Assoambiente sui rifiuti speciali in Italia.
“Ambiente Energia Lavoro - La centralità dei rifiuti da attività economiche”, presentato il 25 maggio, fa il punto sui sistemi di gestione degli scarti derivanti dal comparto industriale, compresi i rifiuti pericolosi, riconoscendo i punti forti ed evidenziando i gap da colmare. Primo fra tutti quello degli impianti, che costringe l’Italia ad esportare annualmente più di 4 milioni di tonnellate di rifiuti speciali. Una perdita di valore per l’economia nazionale che si può stimare in circa un miliardo di euro all’anno.
Tutti i rifiuti speciali prodotti in Italia
In totale l’Italia produce ogni anno 160 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, oltre 5 volte la produzione di rifiuti urbani. Di questi, circa 50 milioni derivano dal solo comparto Costruzioni e demolizioni.
Il report di Assoambiente si concentra però su tutti gli altri, circa 111 milioni di tonnellate, che comprendo sia i rifiuti speciali di matrice urbana (cioè gli scarti della raccolta differenziata) che quelli derivanti da “attività economiche”, che corrispondono a circa 65 milioni di tonnellate (compresi 4 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi).
Nel 2019 (anno di riferimento del report) l’Italia è riuscita a trattare entro i confini nazionali 109 milioni di tonnellate di tali rifiuti, confermandosi - come già per i rifiuti urbani – tra i leader europei nel campo del recupero e del riciclo: “il 65% dei flussi prodotti – si legge nel documento - viene sottoposto ad operazioni di recupero (energetico, di materia e di stoccaggio finalizzate al successivo recupero) mentre il 35 % ad operazioni di smaltimento (discarica, incenerimento, stoccaggio finalizzato allo smaltimento finale o altre operazioni come il trattamento chimico fisico)”.
Quanto ci costa il gap di impianti
Le note dolenti arrivano però quando si parla della dotazione impiantistica. Sebbene gli impianti di trattamento per rifiuti speciali siano abbastanza numerosi (il report ne conta 11200), la distribuzione sul territorio nazionale non è omogenea e più della metà sono concentrati nel Nord Italia, lasciando alcune regione del Centro-Sud in una situazione di carenza.
Più in generale, il gap impiantistico fa sì che l’Italia sia ancora costretta a conferire all’estero 4,3 milioni di tonnellate di rifiuti speciali (dato del 2019), di cui la metà verso altri Paesi europei e in particolare in Germania, che nel 2019 ne ha ritirate 800mila tonnellate.
È vero che la quantità, se confrontata al totale prodotto, può sembrare minima. Ma la preoccupazione espressa da Assoambiente si proietta nel prossimo futuro, considerando “la previsione di crescita industriale stimata per i prossimi anni e l’esaurimento delle discariche nazionali a cui ancora si fa grande ricorso”. “Sulla base di questi presupposti – continua il report - emerge un fabbisogno impiantistico a regime superiore ai 10 milioni di tonnellate di rifiuti/anno ed un fabbisogno cumulato a cinque anni (2021-2025) pari a circa 34 milioni di tonnellate”.
Inoltre, continuare ad esportare all’estero materiali che potrebbero essere preziosi per l’economia circolare italiana, significa “cedere valore in termini di fatturato, occupazione, produzione di materie prime seconde, produzione di energia e gettito fiscale”. Un valore che Assoambiente ha quantificato in circa 1 miliardo all’anno: nello specifico, fra i 3 e i 5 miliardi nel periodo 2021-2025 con una crescita successiva pari a 1 /1,5 miliardi l’anno.
Più impianti, meno burocrazia e leggi chiare
Costruire nuovi impianti di trattamento per i rifiuti industriali, in conclusione, farebbe bene all’economia italiana. Vanno però – precisa il report - ben pianificati e distribuiti sul territorio, privilegiando “la realizzazione di impianti a servizio di distretti produttivi specifici”, favorendo così processi di simbiosi industriale.
Infine, oltre agli impianti, il settore dei rifiuti speciali avrebbe bisogno di un deciso “snellimento della burocrazia e dei processi autorizzativi” e di “un quadro normativo chiaro, rigoroso, ma inequivocabilmente applicabile, che, in condizioni di sicurezza per l’ambiente e per la salute, favorisca la trasformazione dei rifiuti in materiali, ricorrendo a specifici processi end of waste”.
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