A poco meno di due settimane dalla COP26, tutti i riflettori sono puntati sulla crisi climatica e su quello che i Governi sapranno mettere sul tavolo dei negoziati. Eppure, quello di Glasgow non è l’unico appuntamento su cui dovremmo tenere ben accesi i riflettori. Il 15 ottobre si è infatti conclusa la prima parte della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), o COP15.
L’incontro, svoltosi online per motivi legati alla crisi sanitaria, ha riunito attorno al tavolo 195 governi, per un totale di quasi 6000 delegati, allo scopo di stabilire alcuni obiettivi di massima per garantire alla biodiversità la possibilità di ristabilirsi entro il prossimo decennio, come recita la stessa dichiarazione di Kunming (We declare that putting biodiversity on a path to recovery is a defining challenge of this decade).
Quest’ultimo documento, approvato nella giornata di mercoledì 13 ottobre, impegna i paesi che hanno ratificato la Convenzione sulla Diversità Biologica a negoziare un efficace Quadro d’azione globale post-2020 che sia in grado di flettere la curva della perdita di biodiversità.

Finanziare la biodiversità

La Dichiarazione di Kunming chiede "un'azione urgente e integrata" per inserire le esigenze legate alla tutela della biodiversità in tutti i settori dell'economia globale. Tuttavia le questioni cruciali - come il sostegno finanziario destinato ai paesi più poveri e la definizione di processi in grado di garantire un approvvigionamento di risorse che sia effettivamente sostenibile - sono state rimandate all’appuntamento che dovrebbe tenersi in presenza, in Cina, la prossima primavera. Ad oggi, infatti, è stato definito solo un impegno di massima a sostenere, dal punto di vista tecnico e finanziario, i Paesi in Via di Sviluppo grazie al Kunming Biodiversity Fund, lanciato all’apertura della conferenza dal Presidente cinese Xi Jinping che ha annunciato un iniziale stanziamento di circa 233 milioni di dollari e a cui i partecipanti sono stati invitati ad aderire.
Sempre in tema di finanziamento, a distinguersi per la volontà di raggiungere obiettivi ambiziosi e a sostenere i paesi più fragili, è l'
Unione Europea che ha annunciato di voler raddoppiare i finanziamenti esterni per la biodiversità, così come hanno fatto alcuni tra i suoi paesi membri. Tra questi la Francia, che sembra aver garantito di voler destinare il 30% dei fondi già allocati per il clima a sostegno della biodiversità; la Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord, che hanno annunciato di voler fare altrettanto senza, però, specificare la fetta di budget dedicato; il Giappone che ha annunciato di voler aggiungere 17 milioni di dollari al già esistente Japan Biodiversity Fund; e, infine, una coalizione di istituzioni finanziarie che, con un patrimonio di 12mila miliardi di euro, si è impegnata a tutelare la biodiversità e lavorare per ripristinare gli ecosistemi attraverso attività e investimenti. Nessuno di questi, però, sembra voler usare il nuovo fondo predisposto dal Governo Cinese.
Cifre sicuramente importanti ma ancora lontane dal budget necessario per invertire la rotta e che, secondo un
report delle Nazioni Unite sarebbe di 8,1 mila miliardi di dollari così suddivisi: 230 miliardi di dollari l’anno entro il 2030, per poi arrivare a 536 miliardi di dollari, sempre su base annua, entro il 2050.

Il 30x30 e un nuovo capitolo per il Pianeta

Altro nodo da sciogliere riguarda la necessità di garantire la tutela di un 30% delle terre emerse e dei mari entro il 2030, una formula meglio conosciuta come “30x30” e che ha ricevuto il sostegno di alcuni Governi, tra cui i partecipanti del G7 di maggio 2021, e molte ONG, tra cui la High Ambition Coalition for Nature and People. Persino gli Stati Uniti, sotto la guida dell’Amministrazione Biden e pur non avendo ratificato la Convenzione sulla Diversità Biologica, sembrano sostenere un obiettivo che, con solo il 16% del Pianeta effettivamente sotto un qualche regime di tutela, appare quanto mai ambizioso e su cui la Dichiarazione di Kunming sembra glissare visto che, al di là di una filosofica citazione sull’importanza di costruire una “civilizzazione ecologica”, riporta l’obiettivo solo come un qualcosa di cui i paesi membri “notano” l’importanza.
Tra le altre novità della COP c’è la
presa in carico della presidenza da parte della Cina, l'adozione di un bilancio provvisorio per il 2022 dedicato all’implementazione della Convenzione, del protocollo di Cartagena sulla biosicurezza e del protocollo di Nagoya sull'accesso e la condivisione dei benefici. Infine, è stato chiesto ai copresidenti del gruppo di lavoro dedicato alla definizione del Quadro d’azione globale post-2020 sulla biodiversità l’impegno a presentare dei report sui progressi attesi e ottenuti.
La Segretaria Esecutiva della Convenzione sulla Biodiversità Biologica,
Elizabeth Maruma Mrema, ha salutato con ottimismo i risultati ottenuti sostenendo, come si apprende dal sito della CBD, che "con la conclusione della prima parte della COP-15 è stato fatto un passo fondamentale per scrivere un nuovo capitolo per il nostro pianeta e per le nostre società", ma ribadendo come sia necessario “garantire l’adozione di politiche appropriate e piani abilitanti affinché si possano raggiungere obiettivi e traguardi olistici basati sulla scienza”.

Le parti in gioco

La biodiversità è al collasso ma gli sconfitti siamo noi”. Con queste parole, il Segretario Generale delle Nazioni Unite è intervenuto alla COP15, sottolineando come continuare ad ignorare l’urgenza di agire porterà ad un futuro i cui impatti non ci lasceranno indenni.
Eppure, nonostante il “richiamo all’ordine”, sono in pochi i Paesi che sembrano voler cogliere l’occasione di mobilitarsi. In prima linea compare l’UE insieme a Costa Rica e Gran Bretagna che, quest’anno, ospiterà anche la COP sul clima e di cui ha la co-presidenza insieme all’Italia.
La Cina, nonostante sia a tutti gli effetti la padrona di casa, si è limitata a proporre degli obiettivi senza però chiarire come pensa effettivamente di agire. Brasile e Argentina figurano, invece, tra i paesi più preoccupati di come regole più stringenti e obiettivi ambiziosi e vincolanti potrebbero limitare la loro libertà di sfruttare indiscriminatamente le loro risorse naturali.
Perplesse anche le organizzazioni non governative che hanno partecipato ai negoziati. In prima linea il WWF chiede esplicitamente di passare dalle parole ai fatti, mentre Greenpeace, nel comunicato stampa che ha fatto seguito alla Dichiarazione di Kunming, chiarisce come gli impegni presi ad ora siano vaghi e non rappresentino un reale passo avanti rispetto agli Aichi Target del 2010, richiamando l’attenzione dei Governi sui diritti e il ruolo fondamentale che potrebbero ricoprire le popolazioni indigene nel contrastare la crisi biologica in atto.

Gli Aichi targets

Gli Aichi targets - dal nome della Prefettura Giapponese che ne ha visto la nascita e che ha ospitato la Decima Conferenza delle Parti della Convenzione (COP10) - erano venti obiettivi contenuti nel Piano strategico per la biodiversità 2011-2020 che avevano il compito di arrestare la perdita di biodiversità attraverso cinque aree di azione:
1. affrontare le cause alla base della perdita di biodiversità integrandola nelle politiche governative e tra le priorità della società;
2. ridurre le pressioni dirette sulla biodiversità e promuovere l'uso sostenibile delle risorse;
3. migliorare lo stato della biodiversità salvaguardando gli ecosistemi, le specie e la diversità genetica;
4. aumentare i benefici che la biodiversità e i servizi ecosistemici garantiscono a tutti;
5. migliorare l'attuazione del Piano attraverso la pianificazione partecipativa, la gestione delle conoscenze e lo sviluppo delle rispettive capacità.

Dei venti obiettivi, tuttavia, solo sei sono stati raggiunti e in modo parziale. Il fallimento è imputabile in prima battuta alla mancanza di volontà dei Paesi di affrontare quelle che sono le principali cause dietro alla massiccia perdita di biodiversità a cui stiamo assistendo: in prima battuta lo sfruttamento diretto delle risorse, ma anche l’utilizzo di sostanze chimiche (in particolare i fertilizzanti) e la diversa destinazione d’uso del suolo per rispondere alle esigenze del settore agricolo (allevamento compresi).

Perché è importante agire per proteggere la biodiversità?

Un fallimento, quello degli Aichi Target, che sembra confermare come la crisi ecologica, che comprende quella climatica e biologica, non possa essere fermata a colpi di obiettivi ma servano soprattutto un impegno politico e finanziario forti, e un’assunzione di responsabilità da parte dell’intera comunità internazionale che, oggi più che mai, dovrebbe iniziare ad agire di concerto con le conoscenze scientifiche.
Proprio la scienza, infatti, continua a lanciare l’allarme sul tasso di estinzione che sarebbe valso, alla nostra epoca, l’appellativo dell’era della Sesta estinzione di massa, con un milione di specie animali e vegetali a rischio di estinzione su 1,8 milioni di specie censite e catalogate.
È dunque importante tenere alta l’asticella dell’ambizione e continuare a fare pressione affinché le prossime COP, quella sul clima e quella sulla biodiversità, non siano due appuntamenti slegati tra loro né l’ennesimo “bla bla bla” istituzionale, ma due tappe di un unico percorso verso la definizione di obiettivi finalmente vincolanti e quantificabili.