Plastica, o meglio, microplastica si aggiunge a plastica. E l’Oceano Atlantico risulta ancora più contaminato di quel che temevamo. Lo dimostra un nuovo studio di Katsiaryna Pabortsava e Richard Lampitt da poco pubblicato su Nature Communications.
I due ricercatori hanno calcolato che nei primi 200 metri di profondità dell’Atlantico ci sarebbero tra i 12 e i 21 milioni di tonnellate di microplastiche. Il che significa molta più plastica di quella finora stimata.
Plastica immessa e plastica rilevata: tutto il resto è microplastica
La ricerca è partita dall’osservazione di un gap fra la quantità di rifiuti in plastica generati dal 1950 ad oggi e la quantità rilevata finora negli oceani. La sproporzione ha suggerito a Pabortsava e Lampitt di andare a cercare la massa mancante fra i rifiuti che a occhio nudo non si vedono.
I due ricercatori hanno dunque analizzato campioni raccolti in 12 località lungo un transetto nord-sud di 10.000 km dell'Oceano Atlantico, a tre diverse profondità sotto la superficie. Per la valutazione, sono stati presi in considerazione solo i tre tipi di polimeri più abbondanti nell’oceano: polietilene, polipropilene e polistirene, che insieme costituiscono oltre la metà dei rifiuti in plastica globali. Le particelle di plastica sono state analizzate fino a una risoluzione di circa 25 micrometri, rilevando fino a 7.000 particelle di microplastica per metro cubo d’acqua.
Ora, supponendo che nell’Oceano Atlantico siano stati immessi costantemente rifiuti plastici tra il 1950 e il 2015, i due ricercatori hanno stimato che l’input di plastica nelle sue acque e sedimenti sia tra i 17 e i 47 milioni di tonnellate. Sommando la massa di microplastica relativa ai tre polimeri campionati durante la ricerca con quella dei rifiuti plastici fino ad oggi rilevati, il totale equilibra (e potrebbe anche superare) la stima della plastica immessa nell’Atlantico a partire dal 1950.