Sui media abbondano le ormai famose immagini di Chris Jordan delle carcasse di gabbiani con gli stomaci imbottiti di tappi, tubetti ed altri paraphernalia in plastica. Documentari come A Plastic Ocean di Craig Leeson sono stati visti da decine di milioni di spettatori, denunciando lo stato indecente dell’inquinamento da plastica del nostro pianeta. I dati e le mappe sulle isole di rifiuti negli oceani rimbalzano sui social, corredati di appelli drammatici per eliminare le microplastiche negli oceani. Il rischio di trovarci nello stomaco quantità ingenti di materia plastica, ingerite attraverso il consumo di pesce, è discusso a cena da cittadini solitamente poco preoccupati dalle questioni ambientali. Niente da fare per il petrolio: dopo la gogna per le emissioni climalteranti ora deve fare i conti con gli impatti del suo prodotto più nobile: i polimeri.

Ogni anno gli europei generano 25 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, ma meno del 30% è raccolta per essere riciclata. In Usa circa il 91% della plastica finisce nelle discariche o negli inceneritori. Nel mondo, le materie plastiche rappresentano l’85% dei rifiuti presenti sulle spiagge. In fondo, dagli anni ’50 abbiamo prodotto 8,3 miliardi di tonnellate di plastica e secondo le stime contenute in uno studio delle Università della Georgia e della California, rimanendo in uno scenario business as usual, entro il 2050 arriveremo a produrne 34 miliardi di tonnellate, di cui 12 miliardi finiranno nelle discariche o dispersi nell’ambiente.

Questa mole immensa di materie plastiche raggiunge i polmoni e le tavole dei cittadini, con la presenza di microplastiche nell’aria, nell’acqua e nel cibo, con effetti sulla salute umana che restano al momento sconosciuti. Frans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione Ue, responsabile per lo sviluppo sostenibile, ha dichiarato: “Se non modifichiamo il modo in cui produciamo e utilizziamo le materie plastiche, nel 2050 nei nostri oceani ci sarà più plastica che pesci. Dobbiamo impedire che la plastica continui a raggiungere le nostre acque, il nostro cibo e anche il nostro organismo. L’unica soluzione a lungo termine è ridurre i rifiuti di plastica riciclando e riutilizzando di più”. Subito gli ha fatto eco il direttore dell’Unep Erik Solheim tuonando che “l’inquinamento da plastica è oggi uno delle più grandi minacce ambientali”. Di urgenza globale, ha aggiunto, dimostrando quanto il tema occupi un posto rilevante nell’agenda delle Nazioni Unite.

E quindi cosa rimane da fare? La plastica è una materia straordinariamente funzionale, tanto da risultare oggi insostituibile in molti campi: troppo efficiente per essere dismessa facilmente. Ma soprattutto, il vero problema sono la sua gestione, e i nostri comportamenti. Come al solito serve intelligenza, lungimiranza, partecipazione civica e tanto design. Oggi dobbiamo eliminare tutta la plastica laddove presente in modo non necessario. Dai sacchetti alle cannucce, dai bicchieri al packaging superfluo: molti oggetti potrebbero essere dismessi già entro la fine del 2020 se si volesse. Se da un lato è necessario ridurre alcuni consumi dall’altro dobbiamo ripensarne altri, lavorando anche sui costumi culturali. In alcune funzioni la presenza della plastica è talmente diffusa da rendere difficile immaginare l’uso di altri materiali, anche laddove questo è possibile e conveniente. E per conveniente si intende non solo dal punto di vista economico, ma soprattutto da quello ambientale.

Indubbiamente uno strumento interessante potrebbe essere la tassa sulle plastiche “usa e getta” di cui sta discutendo l’Unione europea ma che potrebbe essere applicata anche in Usa e in tanti paesi asiatici, come la Cina, principale produttore mondiale di plastica. Al momento di andare in stampa l’Ue avrebbe proposto di far pagare un “obolo” da 80 centesimi di euro al chilo per mitigare gli impatti della plastica (e far cassa per i mancati introiti dovuti alla Brexit). Farà arrabbiare? Sicuramente, come tutte le tasse ma potrebbe contribuire a eliminare tanta plastica superflua, favorendone se necessario la sostituzione con altre materie. A quel punto la palla passerebbe ai cittadini. In ultima istanza siamo noi come collettività ad aver creato questo problema, con il nostro amore per la comodità e la nostra scarsa consapevolezza degli impatti nell’economia lineare. Ora sappiamo e dobbiamo agire. Buona lettura.

Presentazione A Plastic Ocean di Craig Leeson, Hong Kong 2016; www.youtube.com/watch?v=pJpH7BoBc74