Cesano è una piccola cittadina che sorge nella regione vulcanica dei monti Sibillini, alle porte di Roma. Nel 1975 Enel scoprì nelle radici di questa terra un fluido geotermico di particolare interesse per due caratteristiche: alta temperatura (quindi utile per produrre energia) ed elevato tasso di salinità con presenza di litio. “Fluidi come questi non sono mai stati sfruttati perché storicamente la geotermia è sempre stata vista solo come fonte di energia”, spiega a Materia Rinnovabile Andrea Dini, ricercatore Cnr ed esperto di giacimenti minerari. “Gli impianti geotermici dove l’acqua era molto ricca di sali venivano in genere scartati perché l’alta salinità dava problemi agli impianti e ai sistemi di separazione”. A causa dell’impossibilità di sfruttare energia geotermica, Enel decise quindi di andarsene, lasciando inutilizzato il giacimento di Cesano.
Dopo quasi 50 anni di assenza di ricerche sul campo, la Regione Lazio ha dato ora ufficialmente l’autorizzazione alla società australiana Vulcan di svolgere la prima fase di indagini che andranno a rilevare la presenza di lito nell’area di Cesano, a pochi chilometri dal lago di Bracciano. “Dopo la valutazione di impatto ambientale compiuta dalla Regione Lazio, Vulcan ha avrà tempo 6 mesi per fare le rilevanze”, dice Daniele Torquati, presidente del Municipio Roma XV, interpellato da Materia Rinnovabile. “Dopo questi 6 mesi chiederà o meno se procedere con l’estrazione del litio. Saranno più che altro sondaggi del terreno senza interventi particolarmente invasivi”.
Con l’ambizioso progetto “Zero Carbon Lithium”, l’azienda Vulcan Energy Resources aveva già ottenuto cinque nuove licenze di esplorazione mineraria nella Valle superiore del Reno, in Germania. Attraverso l’estrazione di litio geotermico, Vulcan intende azzerare l’impronta carbonica di produzione delle batterie agli ioni di litio necessarie per veicoli elettrici e stoccaggio di energia. Tra i partner ci sono i grandi brand dell’automotive elettrico come Volkswagen, Renault e Stellantis che ha siglato un accordo per la fornitura di idrossido di litio - tra le 81.000 e le 99.000 tonnellate – a partire dal 2026.
Il litio geotermico è più sostenibile?
Secondo uno studio del U.S. Geological Survey, la riserva di litio globale è stimata attorno a 86 milioni di tonnellate. “Nonostante le risorse attuali siano di gran lunga superiori alla domanda prevista – per gli obbiettivi fissati entro 2050 bisognerà aumentare l’estrazione di litio di 10 volte nei prossimi dieci anni - potrebbero sorgere momentanee tensioni, legate a difficoltà locali nelle operazioni minerarie”, si legge in un articolo scientifico di Nature. In particolare, le crescenti preoccupazioni ambientali e le sfide dello sfruttamento dei lavoratori potrebbero influenzare la futura produzione.
Ci siamo chiesti quindi se l’estrazione di litio geotermico possa essere davvero una soluzione più sostenibile rispetto ai metodi di estrazione tradizionali.
Il Consiglio Europeo per l’Energia Geotermica (EGEC) ha approfondito questo tema sostenendo che un singolo impianto di energia geotermica possa produrre elettricità, riscaldamento, raffreddamento e grandi quantità di litio, con un processo a zero emissioni di carbonio. Negli impianti geotermici la brina ricca di litio viene pompata in superficie direttamente dai pozzi geotermici. Il calore trasportato dalla brina viene poi utilizzato per produrre energia rinnovabile, mentre la brina, al netto del litio, viene re-iniettata nel pozzo. “Il processo di separazione tra litio e brina avviene tramite celle elettrolitiche che hanno certamente meno impatto dei processi metallurgici tradizionali – spiega Andrea Dini - Tuttavia anche solo forare i pozzi esplorativi non è a impatto zero. Inoltre non è banale ricavare energia da quella salamoia che non va esattamente d’accordo con le turbine geotermiche, anche se oggi ci sono tecnologie molto avanzate.”
L'impatto ambientale dei metodi di estrazione tradizionali
Le risorse primarie di litio attualmente sfruttate si trovano per il 26% nelle rocce dure (graniti, apliti e pegmatiti) e per il 58% nelle salamoie a bacino chiuso, le cosiddette Salar: quei deserti salati delle Ande cilene, boliviane e argentine dove l’acqua dei laghi salati sotterranei (salamoia) viene pompata in superficie e fatta evaporare in grandi vasche. Dopo la fase di evaporazione, la soluzione salina che ne deriva viene processata ulteriormente finché il litio non è pronto per essere utilizzato. “Tutta l’acqua che si accumula i questi laghi dalla bassa profondità evapora rapidamente – aggiunge Andrea Dini – e per via dell’alta salinità si depositano sedimenti molto ricchi boro e litio”.
Soltanto in Cile sono già evaporati oltre 455 miliardi di litri d’acqua, ma in prospettiva si parla addirittura di 1.500 miliardi di litri solo per la Salar di Atacama, che è diventato uno dei luoghi più aridi del mondo. Oltre ai costi ambientali anche quelli sociali sono elevati. Sonya Ramo, leader indigena e attivista cilena, e altri attivisti hanno percorso a piedi 350 chilometri nel deserto, fino alla città di Antofagasta, per chiedere alle autorità di non ampliare ulteriormente l’attività estrattiva.
“Secondo la mia esperienza personale – commenta Dini - nelle Salar chiaramente c’è un impatto, soprattutto in una delle zone più belle del mondo. Ma dipende anche con chi parli. Tanti cileni delle popolazioni locali che lavorano nelle salar sono invece a favore dei giacimenti. Il governo peruviano ha obbligato alcune aziende a investire parte del profitto in progetti di infrastrutture in villaggi che non hanno neanche la luce elettrica”.
Anche in Cile, una parte del profitto di Sqm e Albemarle – tra i maggior produttori di litio al mondo – torna a Santiago in forma di tasse che dovrebbero essere investite per migliorare le infrastrutture locali. Ma secondo le associazioni ambientaliste e la popolazione indigena il problema non si risolve con un’equa condivisione del profitto, è il fragile ecosistema del deserto di Atacama a essere in pericolo.
In Serbia intanto le potreste delle associazioni ambientaliste e delle popolazioni locali hanno bloccato il progetto della miniera di litio di Loznica. La multinazionale Rio Tinto non avrebbe garantito sufficienti garanzie ambientali al governo della premier Ana Brnabić e ai residenti della zona. Il giacimento dal valore 2,4 miliardi di euro potrebbe coprire il 10% della domanda mondiale. “Il 40% della produzione di litio arriva ancora dalle miniere di rocce di tipo granito che contengono minerali di litio – spiega Dini – Sono rocce che si formano ad altra temperatura, molto dure. Dopo che la roccia viene frantumata ci sono vari processi metallurgici che permettono di estrarre il litio”.
Litio geotermico in Europa e Stati Uniti
Entro il 2025 Vulcan Energy prevede di estrarre 40mila tonnellate di idrossido di litio geotermico dalla Valle del Reno in Germania, sufficienti a fornire batterie per l'equivalente di circa un milione di automobili all'anno. Ma non è l’unico Paese a poter sfruttare le brine che la propria terra ha da offrire. “Anche in Francia e Inghilterra ci sono dei siti, ma questi fluidi hanno una quantità di litio minore e a bassa temperatura, che tuttavia li rende più facili da gestire”, spiega Dini.
La Cornovaglia in particolare è finita sotto la lente di ingrandimento per l’estrazione di litio geotermico. Geothermal Engineering Ltd, una società con sede vicino a Redruth, in Cornovaglia, specializzata nello sviluppo e nella gestione di progetti geotermici, sta lavorando a un progetto pilota incentrato sull'estrazione del litio dalle acque geotermiche.
Secondo il dipartimento americano del National Renewable Energy Laboratory, le tecnologie alla base del DLE (Direct Lithium Extraction), cioè la separazione tra litio e brine, possono essere raggruppate in tre categorie principali: assorbimento utilizzando materiali porosi che consentono il legame con il litio, scambio ionico, estrazione con solvente. Sebbene vi sia entusiasmo per il suo potenziale, il NREL avverte che sarà un compito impegnativo scalare la produzione attraverso questi metodi.
GEL, oltre a Vulcan, è una delle numerose aziende che stanno investendo molto sull'estrazione da fluidi geotermici. Negli Stati Uniti, una società chiamata Controlled Thermal Resources ha annunciato l’inizio del suo programma di perforazione nel progetto Hell's Kitchen Lithium and Power in California.
Anche l’Italia ha grandi potenzialità da questo punto di vista, e non solo a Cesano. “Tutta la fascia che va dal nord del Lazio fino alla Campania (zona Vesuvio) è una zona potenzialmente buona per estrarre litio geotermico”, spiega Dini. Forse non coprirà tutto il fabbisogno italiano, ma a quello ci potrà pensare un approccio più circolare, in grado – anche grazie ad una miglior progettazione - di rigenerare le preziose batterie agli ioni di litio.
Immagine: il Salar di Atacama, ph Benjamin Gremler (Unsplash)