Dopo circa 50 anni di promettenti esperimenti sulla fusione nucleare che falliscono o rimangono incompleti, i ricercatori statunitensi della National Ignition Facility hanno confermato un importante risultato che mai prima era stato raggiunto: ottenere più energia da una reazione di fusione nucleare rispetto a quella impiegata in partenza per innescarla.
L’attesissimo annuncio, patrocinato dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti con la presenza della segretaria all’Energia Jennifer Granholm, ha avuto luogo presso il
laboratorio nazionale Lawrence Livermore in California, dove sono stati condotti i test.

Energia pulita e illimitata

La fusione nucleare aprirebbe a scenari di produzione di energia pulita in quantità potenzialmente illimitate. Le reazioni inoltre non producono scorie radioattive e un singolo chilogrammo di combustibile di fusione fornirebbe tanta energia quanto 10 milioni di chilogrammi di combustibile fossile. Dall’altra la tecnologia, nonostante il grande clamore mediatico, è considerata dagli stessi ricercatori tutt'altro che pronta per essere messa in commercio e per sperare che le centrali a fusione nucleare possano sostituire i combustibili fossili in tempi brevi.

L’esperimento realizzato di recente ha raggiunto un importante risultato - commenta Nicola Armaroli, research director presso il CNR, sentito da Materia Rinnovabile - Per la prima volta l’energia convogliata sul bersaglio degli isotopi dell’idrogeno che costituiscono il ‘combustibile’, è inferiore a quella ottenuta nel processo di fusione. Questo però non ci autorizza a concludere che avremo presto impianti a fusione commerciali, in grado di produrre elettricità a basso costo per tutti. Resta un obiettivo lontanissimo, che richiede ulteriori ed enormi progressi scientifici e tecnologici”. Secondo Armaroli, la fusione non darà alcun contributo concreto alla decarbonizzazione del sistema elettrico mondiale che dobbiamo concludere entro il 2050, per non essere completamente travolti dalla crisi climatica.

Come funziona la reazione a fusione nucleare

Per ottenere la reazione a fusione nucleare i ricercatori hanno sparato 192 laser in un cilindro d’oro (hohlraum) per creare temperature e pressioni simili a quelle che esistono nei nuclei delle stelle e dei pianeti giganti, o all’interno delle armi nucleari che esplodono. Al centro del cilindro, i raggi laser riscaldano a loro volta la superficie di una sfera che contiene il combustibile deuterio-trizio, così da innescare reazioni di fusione fino all’esaurimento del combustibile.

Si tratta di una specie di mini-esplosione termonucleare della potenza di pochi chilogrammi di tritolo, senza l’innesco di una bomba atomica, ma con un principio simile a quello delle bombe all’idrogeno. Al contrario di quello che avviene con la fissione – reazione che sprigiona un enorme quantità di energia termica e produce scorie radioattive difficili da smaltire - in cui i nuclei pesanti vengono spezzati in frammenti più piccoli, nella fusione i nuclei leggeri (come quello dell’idrogeno) si uniscono per ottenere quelli più pesanti.

Gli ostacoli alla fusione nucleare

Gli stessi autori hanno ammesso che per vedere in commercio questo processo bisognerà aspettare ancora decenni poiché rimangono da risolvere notevoli problemi tecnologici, logistici ed economici. Nel test della National Ignition Facility, i laser sparano circa una volta al giorno, ma una centrale elettrica dovrebbe riscaldare i bersagli 10 volte al secondo. Il Dipartimento dell'Energia sta amministrando un programma da mille miliardi di dollari per mantenere e modernizzare le tecnologie nucleari e i ricercatori del laboratorio hanno utilizzato alcuni dei laser più potenti mai costruiti, costosi quindi da replicare.

Va sottolineato che la fusione, se mai verrà realizzata, è una tecnologia complessa e costosissima, destinata ad essere controllata dalle mani di pochi – fa notare Armaroli - Questa caratteristica va in direzione opposta rispetto alla democratizzazione e decentralizzazione del sistema energetico di cui c’è bisogno. Sono soprattutto i Paesi più poveri e meno tecnologicamente avanzati, che hanno bisogno di aumentare il consumo energetico, ma con tecnologie come questa cadrebbero ancora una volta sotto un pesante colonialismo energetico”.

Immagine: US Department of Energy