Caro Ministro Cingolani,

Il nostro imperativo più grande è raggiungere l’obiettivo più alto dell’Accordo di Parigi, ovvero mantenere l’aumento delle temperature medie terrestri al di sotto dei 1,5°C. A novembre a Glasgow la Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici dovrà concludere i regolamenti dell’Accordo per far partire la macchina globale, dove ogni stato dovrà fare la sua parte.
Se da un lato sul tavolo ci sono i meccanismi di verifica e reportistica, centrali per capire se i paesi firmatari stanno mantenendo le promesse (impegni scritti noti come NDC), dall’altro c’è il tema della finanza climatica, ovvero una movimentazione di risorse da parte dei paesi più sviluppati per sostenere, come impegno comune sulla decarbonizzazione e adattamento, le economie più deboli. Nel 2015 i firmatari dell’Accordo concordarono, sulla spinta di una proposta americana del 2009, di movimentare 100 miliardi di dollari al 2020. Avrebbero dovuto essere all’anno. Ma tant’è. Il punto è che i dati più recenti (fermi ad inizio 2019) mostrano come ancora sulla carta non si sia raggiunto l’obiettivo dei 100 miliardi. Sono tanti i paesi europei che hanno fatto la loro parte ma, vuoi la pandemia, vuoi il disinteresse dei governi passati al multilateralismo, l’Italia ha fallito nel raggiungere gli obiettivi (già mediocri) che si era posta. Alla COP21 di Parigi, infatti, l’Italia si era impegnata a mobilitare 4 miliardi di dollari tra il 2015 e il 2020 (6 anni). Mentre la Germania, che aveva preso lo stesso impegno, ne ha mobilitati addirittura 5, l’Italia è ferma a 2,5 miliardi, presi da allocazioni in legge di Bilancio e riconversioni del budget della cooperazione allo sviluppo. Difficilmente si raggiungerà il target aggiungendo i contributi del 2020 (che sarebbero circa 400milioni da bilancio).

Una brutta figura al G7

Una figura barbina, non certo da potenza del G7, che in questo anno critico detiene sia la presidenza del G20 che il co-hosting della conferenza sul clima (a Milano si terrà a settembre 2021 la preCOP, sfuggita al Ministro Costa). Per ora, gli unici paesi G7 che si sono impegnati a raddoppiare i propri impegni post 2020 sono stati il Regno Unito (con 11,6 miliardi di sterline tra il 2022 e il 2026 e l’impegno a dedicare almeno il 50% della spesa per adattamento), e gli Stati Uniti (con 5.6 miliardi di dollari all’anno al 2024 che include la triplicazione della spesa per adattamento). Nei recenti comunicati finali delle Ministeriali G7 “Esteri e Sviluppo”, “Clima e Ambiente” e “Finanza”, i Ministri concordano, sull'esempio di Regno Unito e Stati Uniti, sulla necessità che tutti i Paesi G7 si impegnino ad “aumentare e migliorare” la finanza per il clima fino al 2025 al Vertice G7 o ben in anticipo rispetto alla COP26.
Secondo il think tank
ECCO, che ha fornito vari dati per questo editoriale, per eguagliare gli attuali impegni di Regno Unito e Germania (aggiustati per il PIL) l’Italia dovrebbe impegnare 1,8 miliardi di euro e 2,1 miliardi di euro l’anno rispettivamente.
Sappiamo però che con il bilancio attuale (e il debito italiano) non sarà semplice mobilitare queste risorse per il clima. Occorre quindi ripensare e riformare progressivamente l’ecosistema istituzionale e finanziario che sottende un’efficace azione di
finanza per il clima.
YouGov, rivela con un sondaggio che,
il 62% del pubblico italiano vuole che il Governo mantenga le promesse fatte ai paesi in via di sviluppo e che sia nell'interesse dell'Italia supportare la transizione ecologica di quei paesi.

Cosa può fare l’Italia per colmare il suo deficit nella finanza climatica

Dunque ecco alcune proposte che potrebbero contribuire a raggiungere una quota che movimenterebbe anche risorse e impegno tramite la diplomazia e il mondo imprenditoriale e associativo italiano.
Servirebbe innanzitutto colmare il deficit rispetto all’obiettivo pre-2020 entro la fine 2021; raddoppiare la finanza per il clima pubblica mobilitata rispetto alla media del 2015-2019, raggiungendo 1 miliardo di euro all’anno tra il 2022 e il 2025 (4 anni); assicurare 250 milioni di euro pubblici per creare un “Fondo per il Clima” presso CDP, con l’obiettivo di mobilitare finanza privata con effetto leva 1:3; raddoppiare il versamento del 2020 di 30 milioni all’Adaptation Fund nel 2021 raggiungendo 60 milioni e ripeterlo fino al 2025; finalizzare il pagamento del contributo impegnato per il GCF-1 entro il 2023 e raddoppiare il contributo per il GCF-2 raggiungendo 600 milioni di euro.
Tutti alzano la mano con la domanda: e dove li prendi? Innanzitutto dalla riduzione graduale dei sussidi ambientalmente dannosi su cui Lei, Ministro Cingolani, non ha mai espresso opinione (e con il Mite ora ha tutta la responsabilità). Servirebbe poi un’accisa su tutte le imprese che riceveranno più di 50 milioni dal PNRR come tassa di scopo, o altre forme fiscali legate a settori inquinanti. Infine sarebbe utile realizzare dei climate bond i cui ricavi andrebbero interamente a colmare il gap finanziario. La diplomazia italiana poi dovrebbe fruttare il peso di questi accresciuti finanziamenti nei paesi dove può spingere il sistema italiano dell’economia circolare e green, oggi tristemente assente sui mercati africani, mediorientali e latino-americani (fa eccezione il colosso Enel).
Sarà necessario intervenire anche tramite la cooperazione allo sviluppo. Il governo deve sostenere maggiormente l’AICS, l’agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, aumentando il supporto bilaterale ad azioni dedicate al clima, che dovrebbero coprire almeno la metà dei progetti entro i prossimi due anni (nel 2018 l'Italia ha speso il 16% del suo APS bilaterale allocabile per il finanziamento del clima - la Francia ha dedicato 10 volte il volume dell’Italia e la Germania oltre 40 volte il volume dell’Italia, quest’ultima raggiungendo una quota per il clima del 42%) e cercando di raggiungere l’obiettivo del 0,40 del PIL entro il 2025. I progetti di cooperazione climatica e sociale potranno favorire l’occupazione di esperti formati nelle università italiane e spesso inoccupati. L’Italia ha un bagaglio di competenze tecniche su clima e adattamento tra le migliori al mondo con migliaia di esperti. Questa può diventare una leva del lavoro. Non produrre bottigliette di plastica. Serve visione sistemica. Non solo numeri.