L’ultima sentenza dell'UE è recentissima, ma sono quattro le procedure di infrazione attive nei confronti dell’Italia in tema di collettamento, fognatura e depurazione. L’Europa fa bene a condannarci, ma la strada per una gestione sostenibile della risorsa idrica non passerà solo dalla realizzazione di grandi opere. Dovremo fare sforzi ulteriori rispetto all’attuale normativa comunitaria, abbandonando l’approccio classico “a tubi” e implementando le cosiddette soluzioni basate sulla natura (NBS – Nature-based solutions), ripristinando quella serie di servizi che i sistemi naturali possono generare a favore dell’uomo.

Non c’è due senza tre

Il 6 ottobre scorso la Corte di Giustizia UE ha comminato al nostro Paese la terza condanna in fatto di mancata depurazione. L’inadempienza agli obblighi della Direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane ci costa 30 milioni di euro a semestre. Ma queste sanzioni, che derivano solo dalla prima delle quattro procedure di infrazione attive nei confronti dell’Italia, per ora non aumenteranno. E non è l’unica differenza da segnalare. "La decisione della Corte- afferma il Commissario Unico per la Depurazione Maurizio Giugni - riguarda in questo caso tanti piccoli centri, con una collocazione geografica a macchia di leopardo senza distinzioni di latitudine. Ben diversa dalla procedura 2004/2034 per cui paghiamo già una sanzione pecuniaria all'Europa, che si rivolge ad agglomerati più grandi, prevalentemente al Sud e in particolare in Sicilia.”

Giù per il tubo

Ma quale sarà la natura delle soluzioni proposte, ora che c’è la certezza di nuovi fondi? Il PNRR promette di destinare oltre 15 miliardi di euro alla tutela del territorio e della risorsa idrica e Utilitalia prevede ulteriori investimenti privati per 11 miliardi nei prossimi 5 anni.
Prevarrà l’attuale
approccio end-of-pipe e quindi un trattamento dell’inquinamento a valle o si guarderà anche a tecnologie diverse ed un approccio integrato che miri ad una gestione ecosostenibile delle risorse idriche? Oggi si preferisce buttare tutto “giù per il tubo”, quando esiste. E ciò ha ricadute sullo stato ecologico delle acque superficiali: secondo il Rapporto Annuale del SNPA, nel 2018 solo il 43% dei fiumi e il 20% dei laghi raggiungeva un buon obiettivo di qualità.

Largo alle soluzioni Nature Based (NBS) per la depurazione

“La direttiva 91/271 sulle acque reflue è figlia di un approccio alla gestione degli scarichi del secolo scorso. Con la Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60) l'attenzione si sposta dagli scarichi ai corpi idrici che li ricevono, che devono essere in "buono stato" ecologico e chimico”, spiega a Materia Rinnovabile Giulio Conte, uno dei soci fondatori di IRIDRA, società di ingegneria specializzata in soluzioni nature based. “Oggi in Italia il motivo per cui oltre la metà dei fiumi non raggiunge il "buono stato" non dipende dai pochi centri urbani rimasti senza depurazione, ma dai carichi dovuti a depurazione insufficiente rispetto alle portate del corpo idrico recettore, sfioratori di piena delle reti miste, inquinamento diffuso urbano e agricolo, oltre alla sottrazione di portata e alle alterazioni morfologiche.”
In tutto il Vecchio Continente sono queste stesse cause, come afferma il Joint Research Centre in un report
del 2019, a rendere parzialmente inefficaci gli strumenti che la Direttiva Quadro introduce per intercettare carichi inquinanti come BOD, fosforo, azoto e batteri coliformi. Si può fare meglio. Collettare e trattare gli scarichi rimarrà fondamentale, soprattutto nei grandi centri urbani, ma per avere fiumi in salute servirà implementare rimedi – diversi - che già esistono. Oltre a ridurre la pressione causata dalle modificazioni dell’alveo e dai prelievi non necessari (ad esempio riducendo le perdite medie dei nostri acquedotti, che nel 2020 Arera attesta al 41%), al posto di grandi collettori si potrebbero favorire soluzioni decentrate. IRIDRA, negli ultimi vent’anni, ha realizzato diversi progetti nature based che vanno in questa direzione. A Castelluccio di Norcia nel 2012, la società ha messo in opera un sistema di fitodepurazione in sostituzione di un vecchio impianto a fanghi attivi. I vantaggi? Oltre a facilitare l’inserimento paesaggistico in una zona di alto pregio ambientale, un sistema di fitodepurazione – che sfrutta l'azione combinata tra substrato ghiaioso, piante, refluo e microrganismi – non si deteriora anche se per un lungo periodo resta inattivo per mancanza di reflui. Sebbene il costo di realizzazione sia pari agli impianti tradizionali, la fitodepurazione ha inoltre costi di gestione minori, che possono variare tra il 25% e il 50% rispetto a un depuratore convenzionale. E non è detto che questi sistemi siano adatti solo ai cosiddetti small settlements: nella città di Ohrei in Moldavia IRIDRA ha realizzato il più grande impianto di fitodepurazione d’Europa, pensato per il trattamento dei reflui urbani di circa 20 mila abitanti equivalenti. Come peraltro dimostra l’impianto realizzato da IRIDRA a Gorla Maggiore (Varese), la fitodepurazione consente anche di ridurre quella parte di carichi inquinanti derivanti dall’attivazione degli sfioratori di piena nelle reti miste, che quando si verificano eventi meteorici significativi deviano le acque piovane in eccesso (e quindi i reflui) direttamente nei fiumi, bypassando il depuratore.

Restituire valore ai servizi ecosistemici

Non solo impianti di fitodepurazione. Quelli citati sono solo alcuni degli esempi possibili per raggiungere il traguardo del “buono stato” delle acque prefissato dalla Direttiva Quadro. Nei centri abitati si possono inserire elementi di drenaggio urbano sostenibile (SuDS), approccio scalabile dalla singola abitazione fino ai grandi spazi che circondano le nostre città, sia in un’ottica di riqualificazione sia per ridurre l'inquinamento idrico derivante dal deflusso delle acque in ambiente urbano. Al di là dei singoli interventi, comunque, per adattarci ai cambiamenti climatici è sempre più chiaro che dobbiamo riconoscere il reale valore che i servizi ecosistemici hanno sul nostro pianeta. Una somma che nel 2011 è stata stimata in 125 trilioni di dollari all’anno, merito che difficilmente i nostri “tubi” potranno eguagliare.