Da molti anni ormai Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, si occupa di economia circolare. Da ben prima che in Italia approdassero i protocolli di Life Cycle Assessment e il concetto di Simbiosi Industriale, il grande ente pubblico di ricerca aveva già avviato progetti pilota coinvolgendo imprese, territori e istituzioni. Ora che, anche grazie alla spinta delle nuove strategie europee, l’economia circolare sembra essere diventata un must per le politiche di sviluppo sostenibile, Enea spinge per concretizzare e mettere a sistema il patrimonio di conoscenze ed esperienze accumulato in questi anni. Se ne discuterà in vari appuntamenti alla prossima edizione di Ecomondo, a Rimini dal 26 al 29 ottobre.
Materia Rinnovabile ne ha intanto parlato con Claudia Brunori, responsabile della divisione “Utilizzo efficiente delle risorse e chiusura dei cicli” di Enea.
Su quali filoni di ricerca, in ambito di economia circolare, sta oggi puntando Enea?
Enea è impegnata in questo campo su tantissimi fronti e da ben prima che in Italia si cominciasse a parlare di economia circolare. I progetti in campo sono molteplici e riguardano sia lo sviluppo di tecnologie per l’uso più efficiente delle risorse (materie prime, scarti di produzione, acqua, bio-risorse) sia l’implementazione di strumenti e metodologie per la valutazione scientifica dei livelli di sostenibilità e, appunto, efficienza raggiunti. Parliamo ad esempio della banca dati LCA nazionale sviluppata con il progetto Arcadia, o della piattaforma Symbiosis, la prima in Italia ad occuparsi di simbiosi industriale.
Oltre a partecipare a progetti con partner istituzionali, in primis con il Ministero dello Sviluppo economico e quello della Transizione ecologica, abbiamo anche collaborazioni con il settore produttivo e con quello civile. Per una vera transizione circolare è infatti fondamentale adottare un approccio intersettoriale o interdisciplinare per fornire risposte complete a quelli che sono problemi complessi, è necessario allargare la cerchia delle parti interessate e avere una visione olistica del contesto.
Parlando di approccio integrato, da diversi anni Enea promuove network e piattaforme che cercano appunto di mettere in contatto i vari attori coinvolti nella transizione circolare: istituzioni, imprese e società civile. Un esempio importante è l’Italian Circular Economy Stakeholder Platform o ICESP. Di cosa si occupa?
La piattaforma ICESP, che è il ramo italiano di quella europea ECESP (European Circular Economy Stakeholder Platform), è nata nel maggio 2018. Coordinata da Enea con una quindicina di partner fondatori, si è poi allargata e conta oggi 140 membri firmatari e 800 esperti da 260 organizzazioni. Il 60% dei membri proviene dal settore produttivo, ma sono anche rappresentati i settori delle istituzioni, della ricerca e della società civile.
A Ecomondo, uno degli eventi di Enea sarà dedicato proprio agli aggiornamenti sulle attività di ICESP, che lavora a livello nazionale per mettere in evidenza le buone pratiche già in atto: non solo per raccoglierle, ma anche per darne una valutazione e suddividerle in categorie, ad esempio per tipologia di settore in cui viene applicata la pratica o per fase (produzione, consumo o l’intero ciclo di vita). Si cerca quindi di fare una vera e propria mappatura delle buone pratiche in Italia, creando però anche una connessione con l’Europa. L’obiettivo è portare in Europa la via italiana all’economia circolare, in un confronto che ne evidenzi i punti di forza ma ne indichi anche le debolezze in modo da poter intervenire e migliorare.
Rimanendo sempre in ambito di networking, si parlava prima del Symbiosis Users Network. Di cosa si tratta?
È un progetto che va avanti ormai da alcuni anni. La piattaforma è stata lanciata nel 2012, prima che si parlasse di simbiosi industriale in Italia, a seguito della partecipazione a un progetto di eco-innovazione in Sicilia.
Si tratta di una piattaforma operativa per censire le aziende e gli impianti di trattamento in un determinato territorio e mappare i materiali in input e in output delle varie aziende, ovviamente con tutti i requisiti di riservatezza necessari. Dopodiché si individuano, con una sorta di matrice, le potenziali sinergie tra le aziende di uno stesso territorio, in modo che gli scarti di un’azienda possano diventare risorse o input di valore per imprese di altri settori produttivi.
Sarà la simbiosi industriale il vero motore per lo sviluppo dell’economia circolare nel prossimo futuro?
Sì, perché è proprio a questo livello che si può fare la maggiore prevenzione dei rifiuti. Gli scarti invece di essere classificati rifiuti saranno sotto-prodotti e come tali materie prime che tornano nel ciclo produttivo. L’analisi condotta attraverso la nostra piattaforma si può poi allargare dalle materie prime ad altre risorse, come l’energia, l’acqua, i servizi, cercando sempre di promuovere l’approccio collaborativo fra le le aziende, che oggi spesso, anche se “vicine di casa”, neanche si conoscono. Per farlo tuttavia non si può lavorare solo a livello digitale e di data base, ma bisogna instaurare un rapporto di fiducia tra le imprese, che noi cerchiamo di agevolare tramite facilitatori locali, come le sezioni locali di Confindustria. Questo passaggio è fondamentale, perché in genere le aziende non sono molto propense a fornire dati.
Su quali territori siete fino ad ora riusciti ad applicare questo sistema?
Al momento abbiamo avviato progetti in Sicilia, Emilia Romagna, Lazio, Umbria, Lombardia e ora stiamo valutando altri territori.
L’accesso ai dati è anche il cuore del progetto Arcadia...
Sì, Arcadia è però una banca dati che raccoglie gli studi Life Cycle Assessment o LCA di risorse e materiali all’interno di 15 filiere specifiche individuate dall’allora Ministero dell’Ambiente e che fanno parte dei comparti edilizio, energetico e alimentare.
A proposito di agroalimentare, Enea ha qualche nuovo progetto anche in questo campo?
Ci sono naturalmente varie iniziative sul riutilizzo degli scarti alimentari, ma oltre a questo c’è anche il tema dell’uso dei reflui in agricoltura. In questo ramo abbiamo sviluppato il progetto Value CE-IN in Emilia Romagna, dedicato alla valorizzazione dei reflui e dei fanghi in ottica circolare. È un progetto di ricerca industriale avviato nel luglio 2019 e che ha come obiettivo l’ottimizzazione dell’intera catena del valore del trattamento depurativo dei reflui municipali e industriali.
C’è infine il tema dell’economia blu, un termine usato spesso in modo un po’ ambiguo. Come lo intende Enea?
Per noi l’economia blu è l’economia del mare, a tutto tondo, come risorsa da proteggere e come centro di una serie di attività produttive da valorizzare attraverso un approccio circolare e di uso efficiente delle risorse. Le nostre progettualità sono focalizzate sulle risorse connesse al mare – risorse ittiche, trasporti marittimi ecc. - ma anche territoriali, come i porti. Oggi si parla spesso di “porti verdi”, ma solo con l’accento sull’energia. Il porto è tuttavia il centro di connessione tra aree industriali, aree urbane e il mare, è centro di passaggio e smistamento di merci e persone. Dal nostro punto di vista è un interessantissimo caso studio dove creare progetti pilota di economia circolare blu, proprio perché si possono mettere in connessione gli aspetti energetici con le materie prime e le risorse, incluse le persone. L’idea è di gestire il porto come un grande contenitore in cui entrano ed escono i flussi di risorse. Pensare solo all’aspetto energetico è limitante rispetto alle grandi potenzialità che i porti potrebbero avere in ottica circolare, soprattutto per l’Italia.
Parlando di porti e flusso di merci, con la pandemia è venuto al pettine il grosso nodo dell’approvvigionamento di risorse per l’industria, in particolare per quanto riguarda le materie prime critiche, sempre più necessarie per la transizione digitale ed elettrica…
Questo è infatti un altro dei temi di cui parleremo a Ecomondo ed è uno dei problemi emergenti in tutti i settori economici. Sulle materie prime critiche l’Unione Europea si è concentrata molto negli ultimi dieci anni con varie strategie, fino ad arrivare all’Alleanza europea per le materie prime lanciata lo scorso anno. Sempre di più ci si è resi conto di come l’approvvigionamento delle materie prime sia fondamentale anche per garantire l’autonomia dell’economia europea. Con la pandemia finalmente la questione, su cui noi predichiamo da tanti anni, è balzata agli occhi di tutti. Gli scenari mostrano come tutti gli investimenti per la transizione energetica e digitale siano condizionati dalla capacità di approvvigionamento di materie prime critiche e non critiche (si pensi al ferro ad esempio). La situazione attuale mostra chiaramente come ci sia un rallentamento nella produzione a causa della carenza di materie che prima non mancavano. Serve una visione allargata e bisogna dare importanza alle materie prime così come se ne è data finora all’energia.
Questo significa che dobbiamo sempre di più imparare a recuperare e riciclare quello che abbiamo. In questa direzione va il progetto ROMEO. Di che si tratta?
È un impianto pilota, realizzato nel Centro ricerche di Casaccia e di cui mostreremo alcuni video a Ecomondo, per il recupero di oro, argento, rame e piombo dalle schede elettroniche. È stato progettato con un approccio modulare e flessibile per adattarsi al trattamento anche di altri materiali, visto che il mercato cambia in continuazione e ci potranno essere in futuro prodotti diversi da trattare. In questo modo potrà continuare ad essere utilizzato anche tra vent’anni.
Un’ultima domanda: come giudica lo sviluppo del modello circolare in Italia fino ad ora? Quali opportunità ci sono in vista con i fondi del PNRR?
Sicuramente l’Italia è partita molto bene e questo lo posso dire con una certa contezza, visto che abbiamo partecipato all’elaborazione del report sullo stato dell’economia circolare con il Circular Economy Network. Come paese siamo tra i primi su alcuni indicatori della circolarità, però ci fa difetto una governance specifica sul tema. Ci sono tantissime iniziative ed eccellenze italiane che sono però isolate, manca un sistema dietro. Ad esempio, per il settore della riparazione siamo forse il paese con il maggior numero di aziende operanti, ma si tratta per la maggior parte di piccole imprese. Mentre paesi come la Germania hanno magari numeri minori ma con fatturati molto più alti, perché c’è stato appunto un investimento di sistema.
C’è dunque bisogno di una governance: lo diciamo noi come Enea ma lo sostengono anche tanti altri attori della economia circolare. Servono misure politiche, normative, fiscali. Serve poi, come dicevamo, un approccio intersettoriale oltre ad una maggiore penetrazione nei territori e coinvolgimento della popolazione. Il PNRR, con una linea di attività dedicata all’economia circolare, vuole andare in questa direzione. Ed era ora, visto che siamo in ritardo di parecchio rispetto ad altri paesi. Tuttavia, anche se gli investimenti sono consistenti, sono decisamente pochi se confrontati a quelli destinati, ad esempio, alle energie rinnovabili. Inoltre il PNRR si concentra perlopiù sulla raccolta e gestione dei rifiuti, mentre l’economia circolare dovrebbe partire dai processi di produzione e dalla progettazione.
Insomma, ci si concentra a valle ma non si considera la parte a monte…
..che dovrebbe invece essere quella fondamentale!
Sono però previsti altri investimenti per la produzione stanziati dal Ministero per lo Sviluppo attraverso lo sportello lanciato nel dicembre 2020, che intende finanziare proprio l’innovazione di processo. Per questo sportello, Enea si occupa della valutazione tecnica delle proposte. La misura non è probabilmente tra quelle più interessanti per le aziende, visto che prevede semplicemente un 50% di finanziamento agevolato dalle banche. Tra le proposte pervenute ce ne sono comunque molte interessanti, anche se in generale c’è ancora un po’ di confusione su cosa si possa o non si possa considerare un processo circolare. Ma questo è normale, dal momento che ancora non è chiara la posizione dell’Italia sull’economia circolare. Se ne parla tanto, adesso però sarebbe il momento di mettere a terra qualcosa di concreto.