“Le COP sono perlopiù utilizzate da leader e potenti come un’occasione per attirare l’attenzione, servendosi di diversi tipi di greenwashing”. Anche se ormai ha quasi vent’anni, Greta Thunberg non ha certo perso la scomoda abitudine di gridare a tutti che il re è nudo. Così, facendo pesare la sua assenza alla COP27 apertasi il 6 novembre a Sharm el-Sheikh, ha puntato il dito contro il più grosso e grasso elefante nella stanza della Conferenza sul clima delle Nazioni Unite: il greenwashing sugli impegni climatici.
Non è un caso dunque che il primo importante documento presentato dall’Onu nella sede del summit egiziano sia proprio una guida contro l’ambientalismo di facciata e i falsi impegni per il clima dichiarati da multinazionali, mondo della finanza, città ed enti territoriali. Un elenco di dieci raccomandazioni che tracciano una linea netta fra ciò che è azione concreta ed efficace e ciò che invece è solo una pennellata di verde. Perché, come ha dichiarato Catherine McKenna, a capo del gruppo di esperti delle Nazioni Unite che hanno redatto il report, “il pianeta non può più permettersi ritardi, scuse o altro greenwashing”.
Un appello all’integrità e trasparenza negli impegni climatici
Il report Integrity Matters: Net Zero Commitments by Businesses, Financial Institutions, Cities and Regions è il risultato di sette mesi di consultazioni e del lavoro di 17 esperti di alto livello incaricati dal Segretariato generale delle Nazioni Unite.
L’intento non è di bacchettare o denunciare le pratiche di greenwashing, purtroppo sempre più diffuse, quanto piuttosto di definire con precisione che cosa sono gli impegni climatici e cosa devono fare gli attori non statali (città, regioni, aziende e istituzioni finanziarie) per mettersi sulla buona strada verso l’obiettivo delle zero emissioni. “Sappiamo quello che c’è da fare – scrive McKenna nell’introduzione al report - raggiungere il picco delle emissioni globali in soli tre anni, entro il 2025, e ridurre le emissioni della metà in meno di otto anni, entro il 2030. E gli attori non statali svolgono un ruolo fondamentale nel raggiungimento di questi obiettivi”.
Non c’è più tempo, insomma, per ambiguità, deboli promesse, impegni di facciata e scarico di responsabilità. Servono invece chiarezza, rapidità e pragmatismo. In questa direzione va quindi il documento delle Nazioni Unite, che definisce innanzitutto 5 principi a cui d’ora in poi dovrà guardare qualsiasi climate pledge che voglia essere preso sul serio: l’ambizione nei propri obiettivi di riduzione delle emissioni; l’integrità nell’allineare le proprie azioni e investimenti agli impegni dichiarati; la trasparenza nel rendere pubblici i propri progressi; la credibilità dei dati forniti, sempre basati sulla scienza; l’impegno per equità e giustizia.
Le raccomandazioni delle Nazioni Unite contro il greenwashing
Cosa fare e cosa non fare, allora, per essere credibili, trasparenti e soprattutto concreti nei propri impegni per il clima? Il cuore del report Onu sono appunto dieci linee guida molto specifiche e dettagliate su come annunciare, definire e realizzare un Net Zero Pledge.
Si raccomanda innanzitutto di non sbandierare impegni generici, ma di dare concretezza ai propri obiettivi di riduzione delle emissioni definendo dei piani di transizione con azioni dimostrabili, delle tempistiche precise e stabilendo dei target di breve, medio e lungo termine, così da poter poi misurare gli effettivi traguardi raggiunti. I tempi, tuttavia, non devono essere troppo lunghi: bisogna fare in fretta in modo da allinearsi il più possibile allo scenario degli 1,5°C.
Non valgono, inoltre, scorciatoie come l’acquisto di carbon credits “a buon mercato”, che spesso non sono opportunamente verificati. Bisogna invece impegnarsi a tagliare direttamente le proprie emissioni lungo tutta la catena del valore e utilizzare sistemi di carbon offset affidabili solo alla fine del percorso, come un traguardo aggiuntivo. Non va bene neanche concentrarsi sulla riduzione dell’intensità di emissioni, invece che sul taglio delle emissioni assolute.
Gli esperti Onu sottolineano poi un punto che parrebbe ovvio, ma che è in realtà troppo spesso disatteso: per nessun motivo ci si può dichiarare sulla strada per il net zero se si continua a investire in fonti fossili o iniziative distruttive per gli ecosistemi come la deforestazione.
È considerato greenwashing anche dichiarare i propri impegni climatici e poi fare pressioni, dirette o indirette, per indebolire le politiche climatiche di governi e organismi pubblici. Si dovrebbero, anzi, allineare investimenti, appoggi politici e promozione verso gli obiettivi di decarbonizzazione annunciati.
Infine, per dare sostanza alle dichiarazioni, è necessario essere trasparenti sui propri progressi, presentando dei report pubblici annuali, che dovranno essere valutati in base a standard riconosciuti. E qui le Nazioni Unite toccano un altro punto spinoso, quello dei regolamenti: basta iniziative volontarie, insomma, i climate pledge dovranno essere inquadrati in normative chiare e uguali per tutti.
“Nessuno oggi può ignorare la necessità di tagliare immediatamente e drasticamente le emissioni. - conclude Catherine McKenna - Se l'industria, le istituzioni finanziarie, le città e le regioni intendono ciò che dicono nei loro impegni climatici, adotteranno queste raccomandazioni ".
Immagine: Marek Piwnicki (Unsplash)