Ogni nuovo nato, in Italia, si porta in dote nella culla 135 metri quadrati di cemento. È la conclusione sconcertante a cui giunge l’ultimo rapporto Ispra sul consumo di suolo nel nostro Paese. Un fenomeno che, contrariamente a quello che direbbe il buon senso, non va di pari passo con la crescita demografica: a fronte delle 420mila nascite e del calo di 120mila abitanti nel 2019, abbiamo infatti consegnato alla cementificazione ben 57 milioni di metri quadrati di territorio, al ritmo, confermato, di 2 metri quadrati al secondo. Insomma, in Italia il cemento cresce più rapidamente della popolazione.
Il rapporto Ispra sul consumo di suolo
Da sette anni il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (Snpa) con l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) redigono il “ Rapporto su consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”. Il lavoro, che analizza le trasformazioni del territorio italiano e gli impatti della copertura artificiale del suolo, si arricchisce per questa edizione dei contributi provenienti da 12 Osservatori delle Regioni e Province autonome, anche grazie al progetto Soil4Life.
Il rapporto offre un’analisi dettagliata del fenomeno del consumo di suolo, inquadrandolo nelle dinamiche delle aree urbane, agricole e naturali e valutando in particolare la perdita delle funzioni e dei servizi ecosistemici generata.
I dati di quest’anno evidenziano in particolare due trend che purtroppo si trascinano già da diversi anni: lo spreco di suolo in aumento in aree “delicate” come quelle a rischio sismico e idrogeologico; l’incremento delle superfici artificiali e della densità del costruito nelle aree urbane e periurbane, a scapito sia delle aree agricole e naturali circostanti, ma anche delle aree verdi all’interno delle stesse città.
La mappa della cementificazione tra regioni e città
La copertura artificiale del suolo continua ad avanzare nelle zone più sensibili del Paese, quelle a rischio idrogeologico e sismico. Nel 2019 risulta ormai sigillato il 10% delle aree a pericolosità idraulica media e quasi il 7% di quelle classificate a pericolosità elevata. La Sicilia è la regione con la crescita percentuale più alta nelle aree a pericolosità idraulica media, mentre la Liguria ha il valore più alto di suolo impermeabilizzato in zone a pericolosità idraulica (quasi il 30%). Il cemento ricopre anche il 4% delle zone a rischio frana, il 7% di quelle a pericolosità sismica alta e oltre il 4% di quelle a pericolosità molto alta.
Per quanto riguarda le regioni a maggior consumo di suolo, il Veneto si conferma al primo posto con +785 ettari nel 2019, seguita da Lombardia (+642 ettari), Puglia (+625), Sicilia (+611) ed Emilia-Romagna (+404). Tra le città, Roma è la peggiore, con un incremento di suolo artificiale di 108 ettari. Milano, Firenze e Napoli sono invece riuscite a consumare meno di un ettaro di terreno nell’ultimo anno.
Il trend è positivo per le aree protette, dove cala la perdita di suolo: nel 2019 sono 61,5 gli ettari di suolo compromesso, valore dimezzato rispetto al 2018. Purtroppo, invece, lungo le coste, già cementificate per un quarto della loro estensione, il consumo di suolo aumenta a un ritmo 2-3 volte maggiore rispetto al resto del territorio.
Degrado e perdita di servizi ecosistemici
Il rallentamento progressivo del consumo di suolo che si era osservato negli anni passati, soprattutto a causa della crisi economica, si è purtroppo fermato. La velocità di trasformazione del territorio italiano, dicono i dati Ispra, si è ormai assestata attorno ai 50 km quadrati all’anno.
Questa continua erosione del suolo fertile della Penisola si traduce anche in perdite di produzione agricola: in soli 7 anni, tra il 2012 e il 2019,, si stima una perdita di 3.700.000 quintali di prodotti agricoli. Il danno economico stimato è di quasi 7 miliardi di euro, che salirebbe a 7 miliardi e 800 milioni se tutte le aree agricole fossero coltivate ad agricoltura biologica.
E al consumo di suolo va aggiunto anche il degrado del territorio (in aumento dal 2012 per quasi un terzo del Paese), dovuto alla perdita di produttività e di carbonio organico, all’erosione, alla frammentazione e al deterioramento degli habitat, con la conseguente perdita di servizi ecosistemici. Tutto questo compromette – come si legge sul rapporto Ispra – la “nostra capacità di combattere la desertificazione, realizzare la neutralità del degrado del territorio (Land Degradation Neutrality - LDN) e di far diventare più inclusive, sicure, resilienti e sostenibili le città entro il 2030, come previsto dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite”.
“L’iniziativa delle Regioni e delle Amministrazioni locali sembra essere riuscita marginalmente, per ora, e solo in alcune parti del territorio, ad arginare l’aumento delle aree artificiali, rendendo evidente l’inerzia del fenomeno e il fatto che gli strumenti attuali non abbiano mostrato ancora l’auspicata efficacia”, lamentano gli autori del rapporto. Sarebbe urgente, a questo punto, la “definizione di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale”.
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