A Torino lo chiamano l’Innovation Mile, il “miglio dell’innovazione”. È un triangolo di città, fra il Po e la Dora Riparia, ad alto tasso tecnologico. Alle sedi del Politecnico, all’Istituto Boella, alle Officine Grandi Riparazioni, ora si aggiunge il nuovo Centro per le tecnologie future sostenibili dell’IIT, inaugurato a ottobre negli spazi dell’hub di imprese green Environment Park. Un grande laboratorio open-space di oltre1.000 metri quadrati sul modello dei centri di ricerca internazionali più all’avanguardia. Con tavoli e postazioni che si guardano e interagiscono, per favorire l’approccio interdisciplinare e la sinergia di competenze. Tutti, però, con lo sguardo rivolto verso un unico macro-obiettivo: la sostenibilità del modello economico futuro. Una sostenibilità che passa, necessariamente, per la riduzione delle emissioni di carbonio, ma anche per la cattura, il recupero e la valorizzazione della CO2. Almeno fino a quando (e sarà ancora per molto tempo, come ha ribadito l’ultimo rapporto World Energy Outlook dell’Agenzia internazionale dell’energia) le attività umane si baseranno principalmente su processi di combustione. 

Ne abbiamo parlato con Fabrizio Pirri, fisico della materia e direttore del nuovo ramo torinese dell’Istituto Italiano di Tecnologia.

 

Come nasce il Centro per le tecnologie future sostenibili?

“Nel 2015 l’IIT, Istituto italiano di tecnologia di Genova, era in fase di ristrutturazione del suo piano scientifico, come avviene ogni cinque anni. Si tratta di un reindirizzamento e aggiornamento dei progetti di ricerca in base alle nuove esigenze emerse a livello globale. Visto che Torino è molto fertile nel campo della chimica verde e dell’economia circolare, ho proposto di reindirizzare il centro che già esisteva su questi temi. Contemporaneamente, l’Environment Park ci ha offerto gli spazi per costruire dei nuovi laboratori, più adatti alle nostre esigenze. Cosi, insieme a Guido Saracco, oggi Rettore del Politecnico di Torino, abbiamo progettato gli spazi e reclutato i ricercatori: 27 in tutto, a cui si aggiungono 18 dottorandi, oltre alle collaborazioni con i ricercatori affiliati al Politecnico.”

 

Quali, dunque, i filoni di ricerca a cui vi state dedicando?

“Il tema della sostenibilità è qui declinato in tre filoni: la riduzione della CO2 antropica; l’efficienza di risorse ed energia; l’economia circolare, che guarda alla CO2 come scarto industriale da riconvertire in materia prima. Per raggiungere questi obiettivi, i nostri ricercatori lavorano da un lato allo sviluppo di materiali nano-strutturati per la sostenibilità, dall’altro allo studio di processi per il recupero e la trasformazione della CO2 in combustibili (come il metano) o materiali polimerici, preferibilmente biodegradabili.

Per quanto riguarda la ricerca sui materiali inorganici nano-strutturati, ne stiamo studiando alcune tipologie adatte alla catalisi della CO2 e al suo “intrappolamento” in uscita dai processi industriali.”

 

Quali materiali per esempio? E come si fa a rendere conveniente questo processo?

“Si stanno testando vari ossidi metallici, come l’ossido di rame, di stagno, di zinco. Per innescare la reazione con la CO2 è necessario fornire energia, meglio ovviamente se da fonti rinnovabili come il fotovoltaico. Scopo della ricerca e dei test condotti è ottenere dei materiali reagenti che richiedano meno energia possibile, in modo da avere un saldo positivo. Quindi, da un lato si cerca di diminuire l’energia necessaria a innescare la catalisi, dall’altro di ottimizzare l’area interessata alla reazione, così da risparmiare materiale. Stiamo inoltre testando i tempi di vita degli ossidi utilizzati, che in ogni caso, una volta che non siano più utili per la catalisi, potranno essere recuperati per altri usi senza impattare sull’ambiente.”

 

C’è poi la questione dello stoccaggio di energia, fondamentale per il futuro sviluppo delle fonti rinnovabili. Anche su questo tema si focalizza il vostro studio sui materiali inorganici…

“Infatti. Le batterie oggi in uso si basano su metalli rari e inquinanti, come il litio: puntare, per esempio, a una crescita esponenziale della mobilità elettrica con questo tipo di batterie non avrebbe senso dal punto di vista della sostenibilità. Il nostro obiettivo, allora, è la messa a punto di materiali meno impattanti e meno costosi, che possano costituire un’alternativa alle batterie odierne. Si tratta dei cosiddetti supercapacitori, spesso a base di carbonio, come il grafene.”

 

In un secondo laboratorio ancora in costruzione vi occuperete invece di synthetic biology

“Sì, anche in questo caso siamo nell’ambito dei processi di valorizzazione della CO2. Si tratta di sintetizzare batteri analoghi a quelli che, ai primordi della vita, produssero l’atmosfera terrestre: in grado, cioè, di digerire l’anidride carbonica e restituire metano e polimeri. In pratica, si costruiranno degli impianti in cui introdurre flussi di CO2 per ricavarne materie prime di valore da reimmettere nel ciclo produttivo.”

 

In cosa consiste il progetto ReCode, a cui state lavorando con il sostegno dell’Unione europea?

“Il focus del progetto è il recupero della CO2 rilasciata durante la produzione del cemento e la sua trasformazione in additivi che aumentino le prestazioni del cemento stesso. L’assunto da cui si parte è elementare: una buona parte dei materiali solidi è composta da carbonati (derivati dall’acido carbonico). Scopo del progetto è quindi sequestrare l’anidride carbonica prima che venga immessa in atmosfera e utilizzarla per la sintesi dei carbonati da aggiungere al cemento.

I cementifici sono tra i maggiori produttori di CO2 del settore industriale: cominciare da qui ha dunque un valore emblematico. Per ora il progetto è in fase di test nei laboratori di Torino, ma stiamo già lavorando all’installazione di un impianto pilota nel cementificio Titan di Atene, che permetterà di verificare l’efficacia del processo e sarà il primo passo per una successiva industrializzazione. Il reattore si troverà proprio accanto allo stabilimento così che la CO2 in uscita possa essere subito trasformata in carbonato e riutilizzata in loco dallo stesso cementificio, in un sistema a km zero. Idealmente, un reattore di questo tipo potrebbe essere utilizzato non solo per i cementifici, ma per qualsiasi processo industriale.”

 

Il direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia Fatih Birol, commentando l’ultimo rapporto annuale World Energy Outlook, ha dichiarato che le fonti rinnovabili da sole non bastano a raggiungere gli obiettivi sul clima: dobbiamo diventare più efficienti nella “cattura, stoccaggio e utilizzo del carbonio”. Cosa ne pensa?

“Non posso che essere d’accordo. La grossa fetta di emissioni prodotte dai processi industriali non è azzerabile. L’unica chance quindi è bloccare la CO2 in uscita dai processi industriali e impedire che venga rilasciata in ambiente. La soluzione ottimale in questo momento è arrivare a un menù misto equilibrato di fonti per soddisfare il fabbisogno energetico globale. E imparare a recuperare, rimettere in ciclo e valorizzare il rifiuto della combustione, che comunque ci sarà sempre.” 

 

Centro per le tecnologie future sostenibili, www.iit.it/it/component/content/article/542-club-alpino-italiano-environment-protection

World Energy Outlook, www.iea.org/weo