Nel 2021 abbiamo guardato con grande attenzione alla rivoluzione finanziaria e industriale legata alla decarbonizzazione. Non passa giorno che non si parli di tassonomia, carbon disclosure, efficientamento energetico, misura emissioni Scope3, piani nazionali clima ed energia. La COP26 di Glasgow ha portato numerose importanti aggiunte dal punto di vista procedurale, nonostante sia mancata una grande ambizione politica. Certo latita ancora la politica e buona fetta del mondo economico. Eppur si muove.
Nel
2022 il grande tema, invece, sarà quello della biodiversità e delle nature-based solution. Non si ripete mai abbastanza quanto il tema della perdita di biodiversità, così interconnessa al cambiamento climatico (sarebbe giusto parlare di global change e crisi sistemica planetaria) sia fondamentale per la salute umana, la sicurezza economica e alimentare, e la stabilità socio-politica planetaria. Ora più che mai va riportata questa tematica al centro dell’attenzione politica ed economica.

Aspettando la COP15 di Kunming

L’incontro della Convenzione sulla biodiversità (CBD COP15) che si terrà a maggio a Kunming, in Cina, è atteso almeno tanto quanto era atteso, nel 2015 a Parigi, il grande Accordo sul clima che ha saputo accelerare il processo di decarbonizzazione. La differenza tra l’azione climatica e quella per la biodiversità è squisitamente geografica. Mentre con le emissioni di CO2 un’azienda contribuisce ad un fenomeno globale, gli impatti sulla biodiversità sono spesso incredibilmente locali, meno facilmente misurabili e con effetti estremamente complessi.
Dunque serve una grande azione di forze locali con una visione globale per contrastare la continua distruzione di habitat, foreste, aree umide, sfruttamento (anche illegale) di animali e piante.
Le risorse economiche, le strategie di monitoraggio e le linee guida sulla biodiversità sono molto meno mature di quelle sul clima, oggi. Così come debole è l’impegno sul tema delle grandi imprese, a partire da quelle del settore alimentare, da sempre le più impattanti sulla natura. Solo una piccola frazione di aziende e multinazionali include la biodiversità nei propri report. Sulla stampa l’attenzione a queste tematiche è spesso ridotta ai grandi report delle agenzie ONU o delle organizzazioni non governative, con pochissimi giornalisti davvero competenti su tematiche come agricoltura rigenerativa, tutela della biodiversità, conservazione degli habitat. Anche tra gli animalisti molto spesso c’è attenzione alla crudeltà sugli animali ma pochissime attenzioni per la tutela degli habitat lontani o il rapporto tra le amate specie domestiche e la natura selvatica.

Misurare gli impatti sulla biodiversità per orientare industria e finanza

Secondo GreenBiz, partner di Materia Rinnovabile, ci sono numerose iniziative per creare nuovi standard e metriche per includere la biodiversità nei report non finanziari. Ad esempio GRI e l'European Financial Reporting Advisory Group stanno collaborando per rilasciare un aggiornamento dello standard GRI sulla biodiversità entro la fine del 2022. Questo standard è utilizzato da oltre 2000 aziende tra cui Shell, Ferrero, Solvay e Brother. L’unico problema? è auto-rivendicato e non è certificato o verificato da terze parti.
Il mondo finanziario, tramite la TNFD, la Taskforce on Nature-related Financial Disclosures, ha annunciato la realizzazione di un framework per gli investimenti rispettosi della biodiversità che spera aiuterà le aziende a spostare gli investimenti dalle attività ad impatto negativo sul la natura. Nel board ci sono società come Bank of America, BlackRock, HSBC, Tata Steel, Natura e Moody's. Si sono incontrati per la prima volta nell'ottobre 2021 e stanno pianificando di fornire una versione beta di questo framework entro l'inizio del 2022. Plachino gli animi coloro che non si fidano delle corporation: alla guida del team c’è Elizabeth Mrema, assistente segretario generale delle Nazioni Unite e segretario esecutivo della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica (CBD).
Anch
e CDP (Carbon-Discloruse Project), diventata gold standard nel reporting delle emissioni di CO2 aziendali, ha realizzato un sistema di analisi per le aziende che vogliono conoscere i propri impatti sulla biodiversità. Il sistema sarà basato sugli standard del GRI e sul framework del TNFD. Ma questo è solo un inizio. Servono leggi, direttive regolamenti, sistemi di watchdog indipendenti. Altrimenti è solo greenwashing.

Un tema sicuramente affascinante, quello della biodiversità, che dovrà necessariamente trovare visibilità nelle discussioni colte così come a livello popolare. Dalla stampa ai film (sull’onda di Don’t Look Up), dai giornali alle conferenze di settore è il momento di tornare a parlare seriamente di questo tema. Parliamo di aria pulita, acqua non contaminata, medicine, nutrimento per il nostro corpo, lotta alle pandemie. Non dimentichiamolo: senza l’insensato assalto alla natura oggi non saremmo qua a piangere le miserie del Sars-Cov2. E non è detto che questa sia l’ultima zoonosi. Meglio iniziare a prendere seriamente in considerazione la questione.

Immagine: Peter Neumann (Unsplash)