Quanta anidrite carbonica è stata emessa per produrre le mia giacca a vento preferita? Con quali materiali è stata realizzata? Quanto inquina lavarla in lavatrice? Sono domande che nessuno di noi si pone, eppure sono quelle giuste per capire se i vestiti che indossiamo e i tessuti con cui veniamo a contatto sono o meno sostenibili.
L’impatto ambientale di un qualsiasi prodotto in tessuto – sia esso una felpa, un sacco a pelo o la federa di un cuscino – si misura infatti nell’intero arco della sua vita. Quindi non soltanto nel post-utilizzo, come ci insegnano bene le pratiche di riciclo e riuso di abiti e tessili, ma anche e soprattutto nel momento della sua ideazione e produzione.
La sostenibilità dell’industria tessile passa prima dalla sperimentazione e dall’innovazione tecnologica delle produzioni e dei materiali. E, prima di ogni cosa, dalla volontà delle grandi e delle piccole imprese di investire nella ricerca di materie prime e processi produttivi meno inquinanti.
Ne parliamo attraverso l’esempio di PrimaLoft, società statunitense impegnata nella ricerca e nello sviluppo innovativo di materiali per l’isolamento termico e tessuti ad alte prestazioni, e attraverso il suo report Relentlessly Responsible recentemente pubblicato.
Un’industria tessile implacabilmente responsabile
Relentlessly Responsible, implacabilmente responsabili. Suona bene, al punto da metterci un trademark sopra. È la filosofia del brand PrimaLoft, marchio di un materiale termoisolante in microfibra sintetica sviluppato negli anni Ottanta per l’esercito degli Stati Uniti, originariamente pensato per fornire un’alternativa idrorepellente alla piuma d’oca che vestiva i soldati americani. PrimaLoft oggi è una società di scienza dei materiali che produce i tessuti isolanti per le più grandi aziende dei settori moda e outdoor, arredamento per la casa e abbigliamento per il lavoro, nonché gli originali settori caccia e militare.
Con lungimiranza, negli ultimi anni la società ha deciso di settare l’intero storytelling aziendale sulle produzioni tessili ad alta sostenibilità. Decidendo, quindi, di unirsi alla schiera di realtà imprenditoriali che hanno fatto dell’attenzione per il Pianeta uno degli elementi distintivi del loro marchio.
Ma cosa significa per un’azienda di queste dimensioni essere davvero responsabile? In che modo una produzione su larga scala può impattare meno sulla qualità dell’aria, sull’accumulo degli scarti e sulla pulizia degli oceani e dei terreni? PrimaLoft ci aiuta a formulare una risposta mettendo in chiaro l’operato del 2021 e pubblicando il suo primo Relentlessly Responsible Report. Un report di sostenibilità per presentare le conquiste fatte in materia di decarbonizzazione e tutela ambientale attraverso lo sviluppo del prodotto, la produzione e i materiali.
CO2? Meno, grazie
Da quanto emerge dal report, il focus rimane quello della riduzione dell’impatto ambientale tramite l’utilizzo continuo di materiali riciclati, la circolarità, la riduzione aggressiva di carbonio e, soprattutto, lo sviluppo di tecnologie che utilizzano materie prime non basate sul petrolio.
Nell’ottobre del 2021, PrimaLoft ha individuato nel carbone e nel gas naturale i principali responsabili delle emissioni di CO2 nella tradizionale produzione dell’isolante termico per abbigliamento sportivo, il fashion e l’arredamento per la casa. L’azienda ha perciò sviluppato una propria tecnologia per migliorare l’efficienza energetica di questa specifica produzione, portando a un considerevole calo di emissioni di CO2: ben il 70% in meno. Un risparmio di anidrite carbonica pari a 231,075 kg, quantitativo equivalente a piantare 10.613 alberi, oppure pari alle emissioni di 26 viaggi in macchina intorno alla Terra.
Sintetico e biodegradabile
La maggior parte dei capi, dalla nostra t-shit preferita per andare a correre alle lenzuola su cui dormiamo, sono realizzati con materiali che possono perdere microfibre. Parliamo, per citarne due, del poliestere e del nylon, utilizzati per una varietà sempre più grande di vestiti e accessori. Durante il lavaggio in lavatrice, o attraverso la normale usura, questi tessuti possono rilasciare microfibre che si disperdono nell’ambiente, dai mari ai terreni. Basti pensare che il 35% di microfibre presenti nei nostri oceani proviene da tessuti sintetici. Una semplice giacca in pile, per esempio, rilascia 1,7 grammi di microfibre a ogni lavaggio: all’incirca 1,900 fibre che vengono smaltite attraverso lo scarico.
Nel corso del 2018, l’azienda statunitense ha però esteso la propria linea biodegradabile presentando il primo tessuto sintetico biodegradabile completamente riciclato. Alla base di questa innovazione vi è una nuova tecnologica per la composizione della fibra, che consente una biodegradazione accelerata in determinate condizioni ambientali.
La fibra bio, infatti, è in grado di disintegrarsi quando viene esposta ad ambienti come discariche o oceani, dove vengono rese più attrattive nei confronti dei microbi naturali che abitano gli ambienti anaerobici. In questo modo i microbi smaltiscono le fibre in maniera più rapida, restituendo il materiale all’ecosistema.
Un meccanismo virtuoso che, senza ombra di dubbio, alza l’asticella degli standard industriali per ridurre l’impatto ambientale creato dal comparto tessile.
Immagine: Dulcey Lima (Unsplash)