Al termine della Seconda guerra mondiale la marina militare statunitense pensò subito alla costruzione di un reattore nucleare per i sommergibili. La Westinghouse ne ricavò immediatamente un modello per usi civili e per i decenni successivi non si vide altro in circolazione, sebbene già a metà degli anni ’50 fossero apparsi i primi progetti di reattori a sicurezza intrinseca, ovvero quelli che adesso si definiscono di quarta generazione. Enormemente più sicuri, a parte, naturalmente, la gestione delle scorie. Nessun rimpianto per un nucleare perduto; qui ciò che conta è il meccanismo dell’innovazione che, per un insieme molto preciso di ragioni economiche e anche politiche, può congelare una soluzione e ignorare le molte sue possibili evoluzioni.
La scienza dei materiali sta generando, di fatto, una forte pressione per grandi deviazioni di percorso. Una delle più recenti sembra destinata a creare una stagione conflittuale fra le miniere di calcio e le uova.
Ivan Cornejo, ricercatore cileno operativo negli Stati Uniti, ha studiato i danni ambientali prodotti dalle miniere di calcio, in Asia per esempio, e ha lavorato su una possibile alternativa: estrarre il calcio dai gusci delle uova che finiscono nella spazzatura. E poi oltre al calcio ha anche scoperto che diversi tipi di materiali vetrosi si possono recuperare dai rifiuti alimentari: gusci di arachidi, bucce di banane e di granoturco. È vero, può sembrare strano che si passi dalle miniere alle verdure che si trovano nei mercati, ma non dobbiamo sorprenderci perché l’universo è certamente sconfinato ma quando puntiamo i nostri spettroscopi verso corpi celesti lontanissimi si trova sempre la stessa zuppa di elementi. E questo è un fatto prodigioso e allo stesso tempo molto utile per capire come la sostenibilità è un obiettivo che si può praticare con intelligenti alchimie sostitutive.
Dopodiché si può segnalare che – non per quelle a cielo aperto, tuttavia – la Fondazione Edmund Mach di Trento ha sviluppato un progetto per la conservazione delle mele nelle miniere abbandonate, interessante per una semplice ragione: c’è fresco naturale e quindi niente frigoriferi che consumano molta energia. Ma di frigoriferi e verdura ne parliamo un’altra volta.
Insomma, scaviamo miniere da un sacco di tempo ma molti materiali si trovano in tanti luoghi e forme intorno a noi. Oggi abbiamo gli strumenti per recuperarli (magari è già da un po’ che li abbiamo...). Per esempio: durante la pulizia delle strade si potrebbero ricavare metalli preziosi dalla polvere che su di esse si deposita. Platino, palladio, rodio. È tutta roba che esce dalle marmitte catalitiche. Angela Murray (Università di Birmingham, UK) ha messo a punto un sistema per farlo.
Mats Eklund, dell’Università di Linköping, Svezia, ha analizzato quanto ferro, rame e alluminio, si trova interrato nella rete di cablature d’ogni tipo che giace sotto le strade delle nostre città, come cavi e congegni vari non utilizzati. Hanno fatto un esperimento su tre cittadine svedesi, e proiettando i risultati sulla situazione nazionale hanno stimato la presenza di 630 milioni di dollari di materiale recuperabile, a costi inferiori a quelli necessari per estrarlo dalle miniere.