Nel mercato c’è chi scende e c’è chi sale. Come un’altalena, le sorti di materie e aziende oscillano senza pietà. Innovazioni, scenari, trend fino a pochi anni prima inconcepibili prendono rapidamente piede a livello globale e divengono sostanziali alterando radicalmente la domanda di un prodotto. Nulla ultimamente è più dinamico del mondo delle materie prime, in particolare per il packaging e gli oggetti monouso. In questo momento assistiamo a una contrazione sul mercato dei materiali originati da fonti fossili. Non c’è bisogno di nominare quale materiale oggi è sempre più osteggiato, in alcuni casi apertamente demonizzato – basti pensare alla rapida sostituzione dell’acqua in bottiglia non di vetro con valide alternative o al bando delle cannucce. È innegabile che il consumo di quelle materie, soprattutto per alcuni utilizzi, vedrà un forte rallentamento. A trarne vantaggio però non sono solo gli equivalenti polimerici bio-based, sempre più diffusi e performanti, dalle buste alle bottiglie, ma anche materiali “classici”, consolidati da centinaia di anni di ricerca e sviluppo. In primis, la carta.

Se si riduce – ma non scompare affatto – il suo ruolo come supporto per la conoscenza umana, per la veicolazione delle notizie e come supporto di poesie, pensieri, banali note di quotidianità, cresce esponenzialmente l’uso della carta in altri ambiti, e soprattutto nel packaging. Dal retail online (Amazon) al fast food (McDonald’s), passando per le cannucce e le confezioni in bulk (Coca-Cola), con il colosso di Atlanta che da solo ha sostituito con la carta, in una sola mossa, 4.000 tonnellate di imballaggi, gli esempi sono sempre più numerosi e interessano compagnie di grandissime dimensioni. In questi casi sostituire un materiale con un altro può rivoluzionarne in poco tempo la domanda.

Questo nuovo scenario globale, unito al crescente affermarsi di strategie di bioeconomia nell’uso delle risorse forestali – come ben analizza Mario Bonaccorso in queste pagine – ha ridato confidenza a un settore – quello della carta e del riciclo della carta – che ha saputo cogliere l’attimo, ritornando a essere dinamico e innovatore. Basta vedere la pletora di nuovi contenitori innovativi, come la Green Fiber Bottle, del gruppo danese Carlsberg, una nuova bottiglia realizzata in fibre per le proprie bionde e ale, come parte della sua strategia emissioni zero, oppure i tubi per i cosmetici del gruppo L’Oréal.

L’obiettivo ovviamente è quello di avere soprattutto packaging di carta riciclata (al punto che ci si chiede se la domanda di carta riciclata supererà quella di carta vergine). L’Europa, con l’Italia nei ranghi più alti della classifica dei paesi che riciclano materiale cellulosico, è in grado oggi di offrire quantità importanti di questo prodotto, ben avanti rispetto agli Usa, che invece ancora buttano immense quantità di prodotto in discarica. Oggi però anche il Nord America, perennemente in ritardo su differenziata e riciclo, grazie anche a numerosi attori europei che stanno investendo pesantemente nel migliorare la raccolta differenziata e gli impianti di riciclo, sta cambiando le proprie strategie. Lo stop alle esportazioni di rifiuti verso Cina e Sudest asiatico ha indubbiamente contributo, unitamente al boom di richiesta dai grandi retailer, all’accelerazione di questo processo.

Il nodo centrale per la carta da materia prima vergine rimane invece la gestione sostenibile delle foreste. I marchi di certificazione come FSC e PEFC migliorano di anno in anno le proprie performance, ma il vero problema sono i grandi conglomerati che ancora non rispettano pienamente i requisiti di sostenibilità o che devono compensare per i danni realizzati. La deforestazione, nonostante gli sforzi internazionali in molti paesi, aumenta. La più grande perdita di terra della foresta pluviale primaria lo scorso anno è stata osservata in Brasile, dove sono scomparsi circa 1,35 milioni di ettari e quest’anno c’è da scommettere che i dati saranno ancora più drammatici a causa della rovinosa politica ultraliberista di Jair Bolsonaro. Malissimo anche la Repubblica democratica del Congo, l’Indonesia (nonostante gli sforzi di alcune compagnie come APP), la Colombia e la Bolivia. L’Europa migliora sempre più – aumenta la superficie forestale – ma solo perché si rimboschiscono aree rurali abbandonate. Fanno eccezione i paesi nordici che sempre di più stanno investendo nella bioeconomia del legno e delle cartiere.

Oggi però è arrivato il momento di fare un salto importante. È necessario creare una filiera davvero circolare, dove ogni output è valorizzato, dove i prodotti possono essere riutilizzati, prima ancora di essere riciclati, e realizzati in modo da essere durevoli. Questa è la vera economia circolare della carta, un trend che vanta già molti casi di successo. Tanti altri arriveranno in futuro, si spera da tutto il mondo. Gli alberi possono giocare un ruolo centrale nella sfida climatica e la carta, nuova e riciclata, può esserne protagonista se la filiera saprà essere circolare, tanto in Italia quanto a livello globale, senza eccezioni.