Durante un’intervista con il New York Times il 22 novembre, Donald Trump ha dichiarato: “il clima è un tema che tengo sotto osservazione. Sono aperto a ogni possibilità. Immagino ci sia una relazione tra il cambiamento del clima e l’uomo. Sono preoccupato, però, di quanto potrà costare alle nostre aziende”. Abilissimo a far marcia indietro sulle proprie stesse dichiarazioni – in campagna elettorale si era detto scettico sui cambiamenti climatici, pronto a bocciare l’accordo di Parigi sul riscaldamento globale e rilanciare il carbone – è difficile dire quali posizioni prenderà realmente il neo presidente quando siederà alla Casa Bianca. Materia Rinnovabile ha raccolto le prime reazioni alle affermazioni di Trump da parte di stakeholder e ambientalisti.
Alla recente Conferenza sul cima di Marrakech, il 22° appuntamento negoziale per implementare l’accordo di Parigi, Trump è stato il vero convitato di pietra, sconvolgendo l’andamento dei lavori e mettendo una seria ipoteca sul futuro del piano più ambizioso mai raggiunto per fermare il global warming. La sua minaccia di voler cancellare la firma degli Usa sull’accordo di Parigi aveva gettato delegati e ambientalisti nello sconforto.
Ma la domanda è: Trump può realmente cancellarlo? “Il presidente – spiega David Victor dell’Università della California a Science – potrebbe chiedere di abbandonare l’UN Framework Convention on Climate Change”, la convenzione delle Nazioni Unite che regola l’implementazione dei negoziati e dell’accordo. Mentre per Michael Oppenheimer dell’Università di Princeton, “basterebbe che Trump non rispettasse gli impegni previsti e cessasse il supporto a livello globale sostenuto dall’amministrazione Obama”.
Europa e Cina vs Usa
In Europa le affermazioni del neo presidente hanno subito raccolto forti critiche da parte di Ministri e Capi di Stato. Non è servito il mezzo passo indietro del 22 novembre fatto da Trump che ha aperto uno spiraglio possibilista. Ma se la reazione dura dell’Europa (seppur debole) era attesa, anche la Cina ha subito alzato la voce contro il presidente appena eletto, affermando di voler proseguire sulla strada della decarbonizzazione. “Se si guarda alla storia dei negoziati sui cambiamenti climatici, questi hanno avuto inizio con l’Intergovernmental Panel on Climate Change sostenuto proprio dai repubblicani durante le amministrazioni Reagan e Bush senior”, ha dichiarato Liu Zhenmin, viceministro agli esteri cinese. “Speriamo che l’America continui a giocare un ruolo di leader nella lotta ai cambiamenti climatici, dato che la popolazione è preoccupata che possa ripetersi quanto successo con il Protocollo di Kyoto, mai ratificato dagli Usa.”
La mobilitazione ambientalista
Ma se il mondo della diplomazia attende la data dell’insediamento per capire meglio la posizione della presidenza Trump, la galassia ambientalista americana non ha perso nemmeno un secondo per riorganizzarsi. E iniziare una lunga opposizione all’uomo dalla chioma arancione. A partire dall’appello rivolto dal comico John Oliver a sostenere economicamente il Natural Resources Defense Council (una delle principali organizzazioni green americane), per passare al boom di donazioni ricevute dall’Earth Justice (una no-profit di avvocati a favore dell’ambiente) per portare in aula ogni possibile contrattacco contro la nuova amministrazione. E, infine, arrivare ai 9.000 nuovi sostenitori iscrittisi nel giro di pochi giorni al Sierra Club, e alle grandi campagne globali in via di preparazione da parte di 350.org, il movimento online creato da Bill McKibben, pronto a combattere “la più importante di tutte le battaglie”.
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“Per fermare l’accordo di Parigi – spiega lo stesso McKibben – basta che Trump non faccia nulla. Facendo in modo – al tempo stesso – che nelle agenzie federali le richieste dell’industria dei combustibili fossili vengano velocemente approvate”.
“Certo nei prossimi quattro anni non rimarremo in difesa, leccandoci le ferite”, ha dichiarato Micheal Brune, direttore esecutivo del Sierra Club. “Se Trump prova a fare marcia indietro sul clima, incorrerà nella protesta di una gran massa di cittadini che gli faranno guerra nei tribunali, al Congresso e nelle strade. Se il mondo della società civile e del business inizierà a sostenere il fatto che Trump non ascolta la voce della scienza, il neo presidente potrebbe arretrare sul alcune posizioni”, continua McKibben, che per anni ha lavorato facendo pressione sulla Casa Bianca e riuscendo a bloccare il megaprogetto dell’oleodotto Keystone.
Secondo Richard Heinberg, fellow del Post Carbon Institute, esiste una duplice strategia per rallentare l’azione di Donald Trump. “Da un lato sostenere attraverso i Democratici al Congresso azioni di comunicazione su stampa e social e proteste. Credo che nei prossimi quattro anni ci sarà una grande mobilitazione, e non solo su questioni ambientali”. Ma quello che più interessa a Richard Heinberg è l’azione dal basso, intesa soprattutto come azione delle città e delle comunità.
“L’opposizione dovrà organizzarsi necessariamente a livello locale”, spiega Richard Heinberg nel suo ufficio a Santa Rosa, California. “Molte città hanno dimostrato di saper diventare post-carbon velocemente, prima che a livello federale. Questo sforzo ora si deve accentuare. Le aree urbane sono in mano ai democratici e questo potrebbe aiutare. Inoltre i repubblicani sono tradizionalmente contrari alle ingerenze del livello federale su quello locale”.
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Il business green
Ma si stanno muovendo anche le imprese. A fine novembre circa 400 aziende – alcune di queste incluse nella lista Fortune 500 – hanno inviato alla Casa Bianca una comunicazione chiedendo di non interrompere i finanziamenti per sostenere la transizione verso un’economia a basse emissioni. “Se la creazione di un’economia low carbon fallirà, metteremo a rischio la prosperità del nostro paese”, si legge sulla lettera, pubblicata su lowcarbonusa.org. Tra i firmatari colossi del calibro di DuPont, Gap Inc., General Mills, Hewlett Packard Enterprise, Hilton, HP Inc., Kellogg Company, Levi Strauss & Co., L’Oreal Usa, Nike, Mars Incorporated, Schneider Electric, Starbucks, VF Corporation, e Unilever. Non certo nanetti dell’economia globale. Che promettono investiranno milioni di dollari a Washington DC per fare lobbying.
“È fondamentale che la comunità del mondo degli affari mostri il suo impegno per fermare il cambiamento climatico”, ha commentato Barry Parkin, responsabile sostenibilità di Mars Incorporated. “È un momento cruciale nella storia politica ed economica e dobbiamo essere uniti per risolvere la sfida del secolo per il pianeta.”
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Economia circolare
E considerato che Donald Trump rimane un businessman pragmatico, con una forte inclinazione protezionista, potrebbe comunque essere interessato a sostenere l’introduzione di modelli di economia circolare. Un tema da presentare come una strategia nuova ai suoi elettori, andando a sostenere le grandi multinazionali che stanno lavorando in questo segmento per rendere più resiliente e sostenibile il proprio business. Del resto, di economia circolare ha iniziato a discutere persino la US Chamber of Commerce, la potente Camera di commercio americana, tradizionalmente conservatrice e molto vicina alla nuova amministrazione repubblicana.
“Parlare di cambiamento climatico e di scarsità delle risorse ha una maggiore connotazione politica in Usa che in Europa”, spiega Sally Uren, Ceo di Forum for the Future, un gruppo no profit di consulenza su temi ambientali. “Per imprese che non vogliono avventurarsi in questioni politiche potenzialmente perniciose, l’economia circolare è neutrale e dunque rassicurante. Inoltre è connotata con un chiaro modello di business: se riusi la materia, riduci il rifiuto, aumenti il valore d’uso, ti aiuterà a risparmiare. E nessuno può negarlo.” Dunque, anche con un’amministrazione poco amica del clima, il mondo del business americano potrebbe trovare spazio per lanciare modelli di economia circolare nelle grandi imprese e corporation, anche con il sostegno governativo, se troveranno la forza di fare lobbying in questa direzione mentre una parte continuerà la strenua lotta per difendere le regolamentazioni dell’Epa e l’accordo sul clima.
Forum for the Future, www.forumforthefuture.org