Lo stop alla cessione del credito e allo sconto in fattura sancito dal decreto-legge 11/2023 rischia di “cancellare l’unica politica per l’efficienza energetica e la riqualificazione del patrimonio edilizio” nel nostro Paese, ovvero il Superbonus. È il parere di associazioni come Legambiente, Kyoto Club e WWF Italia. Del resto, come dimostra lo studio CESEF 2022 di Agici Finanza d’Impresa, ridurre i consumi di energia è il primo passo per il successo della transizione energetica. Dello stesso parere è l’Unione europea che, con la revisione della direttiva Green Building, mira a velocizzare il raggiungimento della neutralità climatica da parte del settore dell’edilizia. Le tempistiche sono molto sfidanti: sarà fattibile centrare gli obiettivi previsti? È solo una delle domande che abbiamo posto a Mario Gamberale, presidente di Innovatec Power, con cui abbiamo parlato anche del progetto House Verde per la riqualificazione energetica degli edifici.
Quali sono i risultati ottenuti grazie al Superbonus?
Il Superbonus, introdotto con il decreto Rilancio del maggio 2020, ha dimostrato di essere una misura straordinaria per aiutare il Paese a ripartire dopo la pandemia. Nel 2021, quando il PIL è risalito in maniera significativa rispetto al crollo dell’anno precedente, il valore aggiunto del settore costruzioni è aumentato del 21,6 per cento, stando alla Fondazione nazionale dei commercialisti, a fronte di una variazione del 6,7 per cento per l’intera economia. Il Superbonus ha contribuito, inoltre, alla riqualificazione profonda degli edifici: oltre il 75 per cento degli interventi avviati da Innovatec nell’ambito della campagna House Verde ha determinato un incremento dell’efficienza energetica superiore alle cinque classi, portando il 20 per cento delle unità abitative in classe A4, la massima possibile. La maggior parte delle ristrutturazioni ha riguardato abitazioni di fasce sociali medio-basse nelle regioni meridionali che, in assenza del 110% e soprattutto di sconto in fattura e cessione del credito, non avrebbero mai potuto riqualificare l’immobile radicalmente.
Autorevoli studi mostrano come il Superbonus non debba essere considerato una spesa, ma un investimento: a fronte di un minor gettito lordo per l’erario, infatti, gran parte delle risorse sono recuperate da maggior prelievo di IVA e altre imposte, emersione dal nero, mancati concordati preventivi, fallimenti, casse integrazioni, redditi di cittadinanza che lo Stato avrebbe dovuto sostenere soprattutto nei mesi immediatamente successivi alla pandemia. Risulta illuminante, in questo senso, uno studio della Luiss Business School e di Open Economics del 2021, pubblicato anche sul sito del Dipartimento di Programmazione economica e finanziaria del MEF. I ricercatori hanno stimato in via preliminare che, con un incremento delle spese edilizie di 8,75 miliardi di euro, si registrerebbe un aumento del valore aggiunto complessivo del Paese di 16,64 miliardi nel periodo di attuazione del provvedimento (cui si sommerebbero 1,91 miliardi nell’economia sommersa) e di ulteriori 13,71 miliardi negli otto anni successivi (oltre a 1,35 miliardi nell’economia sommersa).
Quali sono le criticità legate all’attuazione del provvedimento?
Purtroppo, il Superbonus è oggi in una fase di stallo causata dalla crisi della macchina del credito. Il legislatore nel 2020 aveva pensato a un programma che, al 2021, non avrebbe dovuto superare i 13,5 miliardi di euro, perfettamente assorbibili dal sistema bancario. A dicembre 2021, il meccanismo non aveva ancora sforato, nella sostanza, il budget assegnato. Nell’estate del 2021, però, tutto l’arco parlamentare ha spinto (con 800 emendamenti alla legge in discussione a favore dell’estensione) affinché il meccanismo fosse esteso nel tempo ad altre categorie, senza riduzione dell’aliquota. Le estensioni al 2022 e poi al 2023 dei condomini, il mantenimento dell’aliquota massima, l’aumento dei prezzi massimi operato con DM nel marzo del 2022 e gli allargamenti ad altri soggetti hanno fatto lievitare la spesa, arrivando a saturare la capacità delle banche di acquistare il credito.
Esistono alternative al blocco alla cessione del credito imposto dal governo?
Con il DL del 17 febbraio 2023, il governo ha deciso di bloccare sconto in fattura e cessione del credito, linfa vitale del meccanismo. È una decisione spinta dalla necessità di porre un freno alla spesa, ma con lo strumento sbagliato. Sono tre le misure che, a nostro avviso, dovrebbero essere adottate dalla politica.
In primo luogo, sostenere le migliaia di aziende con i cassetti fiscali pieni di crediti (19,9 miliardi di euro) in drammatica crisi di liquidità che impedisce loro di completare i cantieri in corso e li condanna ad un probabile fallimento, il quale travolgerebbe anche i clienti proprietari di immobili che non vedrebbero terminati i lavori di ristrutturazione e sarebbero costretti a pagarli di tasca loro senza avere, nella maggior parte dei casi, le risorse per farlo. La proposta dell’ABI di consentire alle banche di utilizzare i crediti incagliati per compensare gli F24 delle PMI sembrerebbe una soluzione idonea a risolvere il problema.
In secondo luogo, concedere una proroga tecnica ai proprietari delle case con accesso autonomo che non hanno la possibilità di completare i lavori al 31 marzo 2023 a causa del blocco di oltre un anno della macchina del credito; proroga che non avrebbe un impatto aggiuntivo sull’erario essendo l’elenco delle abitazioni unifamiliari ammesse al meccanismo ormai circoscritto a quelle che hanno perfezionato il SAL 1 al 30 settembre 2022.
Infine, ripristinare lo sconto in fattura, la cessione del credito e il 110% almeno per le classi meno abbienti e per gli edifici danneggiati dal terremoto nei Comuni del Cratere. Per i condomini ordinari si potrebbe invece prevedere una riduzione drastica dell’aliquota, pari per esempio all’80 per cento nel 2023, al 70 per cento nel 2024 e al 65 per cento nel 2025.
Quali sono gli interventi su cui si è concentrato finora il progetto House Verde?
La campagna House Verde si basa sul coinvolgimento capillare di partner territoriali che promuovono la riqualificazione nei territori di appartenenza. Finora, sono stati sottoscritti 1.193 contratti, per un valore di quasi duecento milioni di euro. Gli interventi si sono concentrati soprattutto in Puglia, Sicilia, Calabria, Campania e Lazio e hanno riguardato 1.793 unità immobiliari, di cui 689 condomini e 1.104 abitazioni unifamiliari. 350 le ditte installatrici coinvolte, 170 i professionisti.
Le tecnologie adottate sono praticamente tutte quelle promosse dal Superbonus, in quanto la filosofia della campagna è stata quella di spingere a fondo la riqualificazione portando gli edifici a ridurre i loro consumi energetici quasi a zero. Più del 70 per cento dei proprietari è intervenuto sia su cappotto e infissi, sia sugli impianti. Il 75 per cento ha installato impianti fotovoltaici e sistemi di accumulo abbinati a colonnine di ricarica per i veicoli elettrici. La quasi totalità (il 96 per cento) ha optato per l’installazione di sistemi di building automation.
Qual è stato l’impatto del progetto sulla prestazione energetica degli edifici e sulla decarbonizzazione del settore?
Il 73 per cento delle unità immobiliari partiva da classi di efficienza energetica F o G. Nel 76 per cento dei casi, si sono verificati dai cinque ai nove salti di classe, dimostrando l’efficacia del meccanismo nell’abbattere drasticamente i consumi di energia primaria e, di conseguenza, le emissioni climalteranti.
Parlando della revisione della direttiva europea sulla prestazione energetica nell’edilizia, come aiuterà la crescita di House Verde e dell’intero settore?
La modifica della EPBD (Energy Performance of Buildings Directive) proposta dal Parlamento europeo impone un’accelerazione alla riqualificazione energetica di edifici pubblici e privati in tutti gli Stati membri. Stabilisce, in particolare, che tutti i nuovi edifici debbano essere ad emissioni zero dal 2028 (dal 2026 quelli utilizzati o gestiti dal pubblico e quelli di proprietà di enti pubblici). Il solare diventa obbligatorio per le nuove costruzioni entro il 2028 (ove tecnicamente ed economicamente fattibile), ed entro il 2032 per gli immobili residenziali in fase di ristrutturazione. Il riscaldamento a combustibili fossili viene messo al bando, ad eccezione delle caldaie che possono impiegare anche fonti rinnovabili. Tutti gli edifici residenziali dovranno essere almeno in classe energetica E entro il 2030 e in classe D entro il 2033, mentre i non residenziali e i pubblici dovranno raggiungere le medesime classi rispettivamente entro il 2027 e il 2030.
I risultati della campagna House Verde ci dicono che tali obiettivi sono ampiamente realizzabili. Dimostrano, infatti, che interventi a 360° su involucro e impianti garantiscono agli edifici anche 5-9 salti di classe di efficienza energetica. Per raggiungere la classe D al 2033 sarebbe sufficiente dotare gli immobili di una parte delle tecnologie promosse dalla campagna, sostituendo i vecchi infissi e installando impianti fotovoltaici abbinati a pompe di calore ad alta efficienza. Anche abbandonare i combustibili fossili è possibile: in tutte le abitazioni sarde coinvolte nel progetto, il gasolio è stato sostituito dalla combinazione fotovoltaico, accumuli, pompe di calore. La stessa cosa è avvenuta in decine di abitazioni sull’intero territorio nazionale.
Immagine: Envato Elements