Secondo la Fondazione Ellen MacArthur “L’economia circolare è l’unica già progettata per essere ricostruttiva e rigenerativa”. La grande sfida per gli innovatori e i pionieri consiste allora nel progettare prodotti, servizi e attività economiche che facciano bene alle persone, al pianeta e agli affari. Negli ultimi anni alcune aziende hanno iniziato a lavorare a una Guida sulla Progettazione Circolare. Ma in che modo il design può effettivamente aiutare la transizione verso un’economia più circolare? Per comprendere meglio questa trasformazione in corso nel mondo del design e in quello accademico, Materia Rinnovabile ha intervistato Martin Charter, direttore del Centre for Sustainable Design della UCA e co-fondatore del Farnham Repair Café.

 

Grazie a numerosi anni di esperienza ha maturato una profonda comprensione del settore della sostenibilità. Pensa che la transizione verso l’economia circolare sia un processo dall’alto o dal basso?

“Credo che si tratti di un processo complesso che richiede entrambi gli approcci. In Europa la Commissione europea ha sviluppato un piano d’azione per l’economia circolare nel 2015, e anche Stati come Finlandia, Paesi Bassi e Spagna stanno dando vita a piani a lungo termine. La Cina sta riformulando la propria legge per promuovere l’economia circolare e il Giappone, che è sempre stato uno dei più avanzati nel campo dell’uso efficiente delle risorse e della produttività, quest’anno ospiterà il World Circular Economy Forum e prevedo che – grazie a questo evento – entrerà a pieno titolo nel dibattito sulla sostenibilità. Quindi il ruolo degli Stati è fondamentale, ma anche l’approccio dal basso è importante. Si pensi agli Usa: se anche il dibattito sulla sostenibilità non fa ancora parte della loro agenda politica, il movimento per il diritto alla riparazione sta esercitando pressioni affinché si riveda la legge. Molti movimenti dal basso stanno lavorando perché i singoli e i cittadini possano avere il diritto di riparare gli oggetti e abbandonare la logica dell’obsolescenza programmata.” 

 

Pensa che le aziende avranno un ruolo attivo nel rendere i consumatori più consapevoli? 

“Il problema è sempre che se alcuni produttori hanno un atteggiamento proattivo, altri sono reattivi e quindi spingono affinché le cose restino come sono. Nessuna delle grande aziende apprezza l’introduzione di nuove leggi a meno che non vadano a loro beneficio. La politica può giocare un ruolo importante in questa sfida, incoraggiando almeno alcune aziende a seguire la strada della sostenibilità. Il piano d’azione per l’economia circolare è stato l’inizio di un processo di standardizzazione europea in cui l’attenzione è concentrata sul riparare, riutilizzare e rifabbricare. Queste azioni saranno ancora su base volontaria, ma le aziende potranno utilizzare le proprie squadre di progettazione e sviluppo o la propria catena di fornitura per aumentare la riparabilità e la possibilità di smontaggio dei loro prodotti. L’attenzione alla questione della riparabilità è in costante crescita nel Regno Unito.”

 

L’attenzione dei consumatori e delle aziende è in aumento, ma crede che l’atteggiamento nei confronti della riparazione e del riutilizzo sia cambiato negli ultimi anni? 

“Mi occupo del business della sostenibilità dalla fine degli anni ’80: conosco la questione in modo approfondito e vedo che ci sono stati molti cambiamenti. Per esempio adesso nel mondo ci sono 1530 repair café. Ciascun café ha luogo una volta al mese attirando dalle 20 alle 30 persone. Quindi se ragioniamo su scala globale e moltiplichiamo 1530 per 30 otteniamo un gran numero di persone, di cittadini che fanno visita ai repair café. E se riportiamo su grande scala la percentuale di riparazione del 63% che abbiamo al Farnham Repair Café, vediamo che ci sono effettivamente molti prodotti che vengono riparati nel corso di queste iniziative avviate dai cittadini. 

La differenza è che 5 o 10 anni fa queste iniziative non esistevano, e questo è un fatto.

Un altro aspetto interessante è che nel Regno Unito (e io non penso che il Regno Unito sia uno dei paesi più ecologici in Europa) la BBC sta trasmettendo una seconda serie di episodi della durata di mezz’ora che spiegano come riparare gli oggetti. E se la BBC trasmette una seconda serie su come riparare, significa che il programma fa audience.” 

 

Questa trasformazione culturale è comune a tutti i paesi europei? 

“Non sta avendo luogo dappertutto allo stesso modo, ed è interessante osservare da una prospettiva culturale questi cambiamenti e la nascita di queste iniziative guidate dai cittadini. L’80% dei nostri repair café si trova in Germania, Belgio e Olanda, e stupisce che praticamente non ce ne siano nei paesi scandinavi. Una cosa sorprendente se si pensa per esempio alla Svezia che in molte aree è davvero ‘verde’ e orientata alla comunità. Ho cercato di capirne di più: forse la ragione per cui in Svezia non ci sono questi repair café è che probabilmente le persone riparano gli oggetti direttamente a casa propria, nei loro laboratori, in cantina; oppure lo fanno nei maker spaces o in realtà simili.”

 

Questo per quanto riguarda i consumatori. Cosa succede invece da parte delle aziende? 

“Durante il processo di creazione del nuovo standard BS2001, il primo sull’economia circolare, abbiamo incontrato molte aziende e leader. Il rischio con le aziende, come abbiamo potuto osservare in un caso specifico, è la mancanza di coinvolgimento dei portatori di interesse, nessuna visione di cosa significhi l’economia circolare per un’azienda. L’elemento chiave è che è sempre utile coinvolgere e radunare almeno una volta all’anno le persone che non hanno familiarità con il soggetto. Lo facciamo con gli studenti di master, e anche con studenti che hanno 40 o più di 50 anni. Sono proprio loro che mi hanno lanciato la sfida chiedendomi cosa ci sia di nuovo nell’economia circolare.” 

 

Cosa c’è di nuovo nell’economia circolare?

“Per me il contesto è sempre quello dello sviluppo sostenibile, una prospettiva molto più ampia definita grazie ai 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. Io vedo la circolarità del prodotto come uno degli elementi di questa prospettiva. Non lo vedo come un cambiamento sostanziale, come lo sta presentando ad esempio il governo olandese, ma un piccolo elemento in un contesto più ampio. In termini di transizione dall’economia lineare a quella circolare, la circolarità nel business è un nuovo elemento chiave anche tra i leader (che non sono così indietro come si tende a pensare). Naturalmente molti di questi argomenti come la riparazione, la rigenerazione e il riciclaggio non sono cose nuove. Il ruolo della progettazione costituisce una novità, come anche il fatto di mettere insieme tutti gli elementi in modo sistematico e sistemico e di pensare a come massimizzare il valore e allungare la vita dei prodotti.”

 

Ha fondato il Farnham Repair Café nel Regno Unito. Quanto è importante il movimento che promuove la riparazione degli oggetti nella transizione verso l’economia circolare?

“Ho creato il primo repair café in Inghilterra in forma di attività no profit un anno fa, ma noi lavoriamo già da tre anni. Abbiamo volontari tra i membri della comunità locale, alcuni sono pensionati o semi-pensionati che vogliono condividere le proprie competenze. Anche il repair café fa parte di questa economia di condivisione, perché ha a che fare con la condivisione di competenze. Attraverso i repair abbiamo evitato che due tonnellate di materiale finissero in discarica, ossia da 10 a 15 tonnellate di carbonio. Abbiamo anche fatto risparmiare all’economia della nostra cittadina 45.000 sterline, perché riparando le cose non se ne sono dovute comprare di nuove.”

 

Repair Café – Wikicommons/Ilvy Njiokiktjien

 

Qual è la lezione più importante imparata da questa esperienza?

“La lezione fondamentale del Farnham Repair Café viene dai dati che abbiamo raccolto in questi anni. Gestiamo il Repair Café come iniziativa comunitaria, ma l’abbiamo organizzata anche come living lab, quindi abbiamo raccolto numerosi dati. Abbiamo ospitato circa 1.500 persone riparando circa 500-600 prodotti in totale. Abbiamo un tasso di riparazione del 63% entro le due ore, e ciò significa che anche se i prodotti non sono stati progettati con questo obiettivo, con competenze adeguate possono essere riparati. Abbiamo scoperto che molti dei problemi degli oggetti che si rompono sono dovuti a una scarsa manutenzione da parte di utilizzatori e consumatori. Se utilizzatori e consumatori fossero più consapevoli, e i produttori favorissero questa consapevolezza, molti oggetti potrebbero durare più a lungo.”

 

Nell’ambito della value chain, dove pensa si perda la maggior parte di valore? E come possiamo massimizzarlo? 

“Anche grazie alla mia esperienza nel progetto Circular Ocean penso che la circolarità del prodotto non riguardi la fine della vita di un prodotto, bensì la prospettiva di un ciclo di vita più esteso, con maggiore attenzione alla fase di utilizzo dei prodotti. Non riguarda i rifiuti, ma come mantenere valore il più a lungo possibile nel sistema. Sto lavorando a un libro su questo argomento, che parlerà di leggi, modelli aziendali, progettazione e sviluppo, e conterrà anche molti casi studio.” 

 

Qual è il suo ruolo nel progetto Circular Ocean?

“Come University for the Creative Arts – UCA Farnham siamo un partner fondamentale del progetto, ci occupiamo in particolare degli aspetti di eco-innovazione dei prodotti. Abbiamo studiato che cosa succede nella zona portuale, abbiamo esaminato i materiali presenti in quell’area e abbiamo cercato, attraverso degli hackathon, di capire come utilizzare le reti da pesca di scarto. Gestisco un webinar mensile per aziende e piccole e medie imprese per mostrare loro come ricavare nuovi oggetti dalle reti da pesca, dalle funi e da varie componenti.” 

 

Che ruolo possono giocare le università e le scuole nell’economia circolare?

“L’educazione ha un ruolo importante in termini di contenuti e di curriculum. La UCA – University for the Creative Arts è specializzata nei settori creativi, come architettura e design. Molti studenti sono fortemente interessati alla sostenibilità, parecchi hanno sempre a che fare con materiali o tessuti, quindi i rifiuti e la circolarità sono aspetti facili da comprendere per loro. 

D’altra parte la sostenibilità e l’economia circolare devono essere parte del curriculum per poter ricevere il massimo dell’attenzione possibile ed essere facilmente accessibili. Quindi il Consiglio di Amministrazione dell’Accademia, che decide sul curriculum, ha un ruolo fondamentale nel favorire l’incontro dei nostri studenti con i temi legati alla sostenibilità. Deve esserci una forte motivazione da parte degli alti livelli. Alcune università stanno adottando il tema della sostenibilità in senso più ampio anche ispirandosi agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. La questione è la stessa per università, governi o aziende: se non si fa della sostenibilità e dell’economia circolare una priorità, non otterrà l’attenzione che merita.” 

 

Nota un interesse in crescita da parte dei vostri studenti sul tema dell’economia circolare?

“Io non riesco a capire i millennial, mi confondono: in teoria sono ‘verdi’, ma le loro pratiche non lo sono molto. I dati del sondaggio Global Shapers del 2017 del World Economy Forum mostrano che i cambiamenti climatici li spaventano e per loro rappresentano una vera sfida, e anche che in molte start-up create da millennial la sostenibilità fa parte del loro core business. D’altra parte vedo gli studenti interessati solo a quello che è più facile, e non a pianificare veramente le cose. Le persone che vengono ai repair café hanno in media più di 50 anni: l’elemento che li accomuna è che non vogliono sprecare gli oggetti, per cui se c’è un modo semplice per ripararli lo utilizzeranno. Non so se i millennial condividono gli stessi valori considerato che sono cresciuti un un’epoca di fast fashion e di tecnologia in rapida evoluzione.” 

 

 

Centre for Sustainable Design, cfsd.org.uk

Farnham Repair Café, repaircafe.org/en/locations/repair-cafe-farnham

Circular Ocean, www.circularocean.eu

Sondaggio Global Shapers, www.shaperssurvey2017.org