Sul tavolo europeo ha preso forma l’idea di un fondo da 500 miliardi di euro da alimentare con l’emissione di bond a lunga scadenza. Un risultato della diplomazia franco-tedesca e della spinta italiana e spagnola. È indubbio che l’accordo Germania-Francia ha dato un’accelerazione al Recovery Fund tanto atteso dai paesi dell’Europa meridionale, in particolare dall’Italia, che si garantirebbe 100 miliardi per la ripresa economica, e dalla Spagna, la quarta economia dell’Unione e uno dei paesi più colpiti dalla pandemia. A rompere l’empasse è stata la Germania, con Angela Merkel che ha promesso un ruolo chiave del suo governo: “Contribuiremo con il 27% del fondo”. Inizialmente i paesi della sponda nord del Mediterraneo avevano chiesto tra i 1600 e 1000 miliardi di euro sotto forma di grant. Ma per il primo Ministro Italiano Giuseppe Conte la base di partenza è considerata accettabile “ed esiste ancora margine di manovra»” prima del 27 maggio, data finale di approvazione.
I pilastri dell’accordo e la transizione ecologica
Quattro i pilastri dell’accordo: uno è il fondo, il secondo è la sovranità sanitaria, il terzo la sovranità economica (tra riforma delle leggi sulla concorrenza europee e diversificazione delle catene del valore), il quarto si compone delle transizioni ecologica e digitale dell’Unione, con particolare attenzione al Green Deal comunitario e all’accelerazione delle reti 5G (con buona pace dei complottisti). Merkel e Macron avrebbero trovato l’accordo sul come finanziare il Green Deal, il piano europeo per indirizzare ogni settore economico verso una green recovery: introduzione di una carbon border tax e il rilancio dell’emission trading scheme, il mercato europeo del carbonio (Eu Ets) con incluso un prezzo minimo per le emissioni di CO2. Una proposta interessante che porrebbe le basi, insieme ad una Web Tax e ad una tassa societaria minima europea, in contrasto ai paradisi fiscali di Olanda o Irlanda, per una riforma confederata del sistema fiscale Europeo. Non a caso Olaf Scholz, il ministro delle Finanze di Berlino, ha citato Alexander Hamilton, segretario al Tesoro americano che nel 1790 scaricò su tutti gli stati dell’Unione il carico fiscale per coprire l’indebitamento federale.
Le posizioni contrarie
Al momento a mettersi di traverso sono quattro paesi nordici, poco propensi a suddividere la propria ricchezza per garantire la stabilità dell’unione. Olanda, Austria, Danimarca e Svezia hanno già fatto sapere che punteranno i piedi. Ma la posizione è un assunto più populista che politico. Sanno bene che una riforma di questo tipo potrebbe rafforzare di molto l’Unione Europea in una fase di indebolimento degli Stati Uniti, in mano a Trump, e della Cina. Servirebbe ulteriore ambizione sugli obiettivi green, per cercare di istigare in Italia una rivoluzione delle infrastrutture in chiave di sostenibilità (trasporti pubblici, mobilità elettrica), dell’edilizia green (coperture per il Bonus 110%), dell’economia circolare (bioraffinerie e nuovi impianti riciclaggio), turismo innovativo e slow (cicloturismo e ospitalità nei centri minori), ricerca (agenzia per l’innovazione green) e cultura (editoria e eventi).