Con l’approvazione al Parlamento europeo di Strasburgo (dopo anni di ritardi) del Pacchetto sull’economia circolare non si chiude un cerchio, ma anzi “si apre la strada a un modello di sviluppo nuovo”. A sostenerlo è Simona Bonafé, l’eurodeputata del Partito Democratico italiano, relatrice del provvedimento passato il 18 aprile a larghissima maggioranza: 580 sì su 661 votanti. Tecnicamente è una revisione di quattro direttive sulla gestione dei rifiuti che dovrà poi essere adottata dai Paesi membri dell’Ue entro due anni, che si va ad affiancare ad una serie di provvedimenti della Commissione. Bonafé è stata una delle figure più attive, essendo relatrice, del lavoro parlamentare dietro il Pacchetto CE. Materia Rinnovabile l’ha intervistata nei corridoi di Strasburgo durante i giorni del voto per fare il punto.

Qual è il messaggio politico di questo voto?

“Si rafforza l’idea di un’Europa che sta cambiando modello di sviluppo, passando da un’economia che consuma più materie di quante l’ambiente è in grado di rigenerarne, a una dove la materia può essere rigenerata, recuperandola dai rifiuti, rimettendola nel ciclo produttivo. È un risultato importante, ma non è un arrivo: è solo un inizio. Creerà competizione industriale, posti di lavoro, e solide fondamenta per una vera economia circolare europea.”

Gli obiettivi sono chiari...

“In base alla nuova norma almeno il 55% dei rifiuti urbani domestici e commerciali dovrà essere riciclato. L’obiettivo salirà al 60% nel 2030 e al 65% nel 2035. Il 65% dei materiali da imballaggio dovrà, invece, essere riciclato entro il 2025 e il 70% entro il 2030. Sono stati poi fissati obiettivi distinti per materiali da imballaggio specifico, come carta, cartone, plastica, vetro metallo e legno. In Italia, il mio Paese, si producono 497 chili di rifiuti pro capite (dato 2016) di cui il 27,64% finisce in discarica, il 50,55% viene riciclato o compostato e il 21,81% incenerito. Il Pacchetto Ue invece limita la quota di rifiuti urbani da smaltire in discarica a un massimo del 10% entro il 2035.

Mi piace ricordare agli europei anche tutta la parte che riguarda lo scarto alimentare: per la prima volta introduciamo nella legislazione europea un obbligo di riduzione dello spreco di cibo. Avevamo preso un impegno come Europa in sede di Nazioni Unite con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile (SDGs) di ridurre del 50% lo spreco alimentare. Abbiamo approfittato di questa normativa per inserire l’obbligo di dimezzamento dello spreco alimentare nel 2030. A oggi c’è una definizione: ‘tutto ciò che si butta via’. Ma non c’è una metodologia per calcolarlo. Quando sarà definito dalla Commissione, grazie all’inserimento in norma capiremo chiaramente cosa si dovrà fare per dimezzare lo spreco alimentare.”

Molti si aspettavano un risultato “discarica zero”, si è ottenuto l’obiettivo del 10% entro il 2035. Perché il target è stato annacquato?

“Oggi il panorama europeo sulle discariche è molto variegato: nel 2014 Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Svezia non hanno inviato alcun rifiuto in discarica, mentre Cipro, Croazia, Grecia, Lettonia e Malta hanno interrato più di tre quarti dei loro rifiuti urbani. Ci sono dodici paesi che superano il 50%. Dunque abbiamo dovuto tener conto della posizione di questi paesi che hanno detto ‘siamo pronti, ma dateci flessibilità’.”

Nel Pacchetto si parla anche di prevenzione.

“Per me è stato uno dei capisaldi di questo Pacchetto, anzi addirittura mi sento di dire che si tratta dell’apporto principale del Parlamento europeo sulla proposta della Commissione. Il Parlamento ha avuto un ruolo molto propositivo, anche se le proposte si sono concentrate troppo sui rifiuti urbani, avendo meno implicazioni politiche. Invece rimane il tema dei rifiuti industriali da aggredire. Questo è indubbiamente un limite della normativa fin dal suo nascere.”

Quale impatto avrà l’Epr, l’Extended Producer Responsibility?

“Quando il Pacchetto sarà recepito i produttori saranno obbligati per legge a farsi carico della gestione della fase di rifiuto dei loro prodotti. I produttori saranno inoltre tenuti a versare un contributo finanziario a tale scopo. Nella legislazione dell’Ue sono stati introdotti regimi obbligatori di responsabilità estesa del produttore per tutti gli imballaggi.”

Sugli impatti economici e occupazionali ci sono tante cifre, non sempre allineate e che a volte sembrano anche esagerate. Materia Rinnovabile ne scriverà in uno dei prossimi numeri per capire i veri impatti occupazionali della circular e bioeconomy. Qual è secondo lei una stima verosimile?

“Prendiamo come riferimento tre studi: lo studio della Ellen MacArthur Foundation, l’Impact Assessment della Commissione e quello del Parlamento europeo. Sono studi molto simili che danno dei range diversi, ma se dovessi guardare nel mezzo possiamo ipotizzare la creazione di 500.000 posti di lavoro. Chiaramente sono posti di lavoro in settori specializzati: innovazione, nuove tecnologie, informatica, ingegneria dei materiali.

Sulla crescita economica ci sono dati che dicono che si può raggiungere il 7% in più del Pil da qui al 2035. Mi pare eccessivo, ma rimanendo nella media possiamo pensare un 5%. Si stima un risparmio annuo per le aziende di 600 miliardi di euro legato alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti. Sulle emissioni di CO2 si prevede che la circular economy, sempre al 2035, possa ridurle di 617 milioni di tonnellate.”

Oggi dagli investitori finanziari, che cercano equity o azioni in imprese che hanno abbracciato modelli realmente circular, al mondo consumer, inclusa la gdo, interessando settori trasversali che vanno dall’agricoltura all’edilizia, c’è una grande necessità di circolarità. Come si definisce e misura la “circolarità” di un’impresa. Cosa può fare l’Ue?

“Al momento di certificazioni ambientali europee ce ne sono diverse, che possono in parte servire allo scopo. Io mi sono posta personalmente il tema di come misurare la circolarità e l’uso efficiente delle risorse. Non sono temi facili, perché quando parliamo di economia circolare parliamo di materiali e settori merceologici diversi. Con costi differente. Riciclare la plastica ha dei costi diversi, anche ambientali, rispetto a quelli legati alla produzione di plastica vergine, considerato anche che il costo del petrolio è in discesa. In proposito abbiamo chiesto alla Commissione di aprire un tavolo di lavoro.”

Per iniziare a lavorare sugli altri due pilastri dell’economia circolare, PaaS (Product as a Service) e life-extension dei prodotti, la Commissione deve iniziare a prendere in mano la direttiva EcoDesign. Come siamo messi al momento?

“La discussione procede, ma sarà ancora più complessa del Pacchetto CE. Credo che l’Italia, da sempre culla del design e dell’artigianato abbia grandi competenze da spendere. Settori come il legno, il vetro, l’arredamento e l’industria della moda possono dare suggerimenti importanti.”

Quando si parla di ecodesign si deve affrontare il tema dell’End of Waste (EoW), ovvero le condizioni secondo cui un materiale e prodotto di scarto cessa di essere inquadrato dalla legge come rifiuto e diventa sottoprodotto o materia prima seconda.

“Queste sono due leve dell’economia circolare, che vanno nella direzione di generare meno rifiuti. Affinché funzioni l’EoW non deve creare distorsioni competitive: se un prodotto non lo consideri più rifiuto in uno Stato membro ma continui a considerarlo rifiuto in un altro, è chiaro che hai due costi economici diversi. Noi abbiamo previsto un quadro che vuole essere il più uniforme possibile. Poi spetterà ai Paesi membri implementarlo.”

Esporteremo i principi dell’economia circolare anche in Usa?

“Oggi gli Usa decidendo di non ottemperare agli accordi di Parigi hanno fatto una scelta precisa, che è quella di non investire sull’economia verde. Di fondo non ci credono. Invece ci sta credendo moltissimo la Cina. E l’Europa su questo ha vantaggio competitivo, che dovrà essere sfruttato in pieno.”

Prossimi passi?

“È appena uscita la strategia sulla plastica, oggi un tema main stream, che si può spalmare su tutte le politiche che fa l’Unione europea. L’altra cosa che mi aspetto è un’azione più incisiva sulla finanza sostenibile, perché adesso il salto in avanti si può fare se ci sono opportunità di investimento, che interessino sia il settore pubblico che quello privato.”

Parlamento europeo, Circular economy: More recycling of household waste, less landfilling, tinyurl.com/y7bq3tda