Un imprenditore miliardario cede l’azienda di famiglia (e le azioni dal valore di 3 miliardi di dollari) a un fondo ad hoc e a un'organizzazione no-profit per salvare il Pianeta.
Succede per davvero, e succede con una delle aziende leader del settore outdoor e dell’abbigliamento sportivo. Patagonia, da cinquant’anni brand iconico per gli amanti dell’escursionismo, ha annunciato una nuova struttura proprietaria che ha già fatto il giro dei giornali del mondo.
Da adesso in poi, tutti i profitti di Patagonia (circa 100 milioni l’anno) che non verranno reinvestiti nell’azienda saranno ridistribuiti in forma di dividendi per combattere il cambiamento climatico e difendere le risorse naturali.
Una storia di filantropia che reimmagina il modo di fare impresa e crea uno straordinario precedente (per qualcuno forse scomodo) a livello mondiale.
Patagonia reimmagina il “fare impresa”
“Il nostro unico azionista ora è il Pianeta”. Così esordisce Yvon Chouinard nella lettera che da poche ore è online sul sito dell’azienda tessile statunitense. Chouinard, classe 1938, è noto innanzitutto per avere fatto la storia dell’alpinismo e dell’arrampicata su ghiaccio in America, e in secondo luogo per avere dato vita negli anni Settanta a una delle aziende più iconiche di abbigliamento e attrezzature sportive.
Quello che nel ’73 era nato come esperimento di creazione e collaudo di attrezzatura e abbigliamento tecnico, nel giro di cinque decenni si è trasformato in uno dei business più proficui del settore. In questi anni la famiglia Chouinard si è sempre preoccupata di dare un’identità chiara all’azienda: vicina all’ambiente e alla conservazione del territorio.
Già B Corp alla fine del 2011 e prima società benefit dello Stato della California, da tempo Patagonia riserva l'1% delle sue vendite totali a gruppi ambientalisti e progetti di salvaguardia del paesaggio (e anche con questa nuova struttura proprietaria non smetterà di farlo).
“Stavamo facendo del nostro meglio per combattere la crisi ambientale, ma purtroppo non era sufficiente”, spiegano le righe firmate da Chouinard. “Dovevamo trovare delle alternative che ci permettessero di destinare più risorse alla lotta contro questa crisi, mantenendo però intatti i valori dell'azienda. A dire il vero, non c'era nessuna opzione valida. Così abbiamo creato la nostra”.
Così, dopo anni di attivismo, la famiglia annuncia una svolta epocale nella gestione dell’impresa.
La proprietà cambia e passa al Patagonia Purpose Trust e all’Holdfast Collective.
Capiamo di che si tratta e cosa accadrà adesso.
Azioni in mano al Pianeta
Patagonia Purpose Trust è un fondo nato per mantenere nel tempo l’identità (e i valori ambientali) dell’azienda. Possiede tutte le azioni con diritto di voto (vale a dire il 2% delle azioni totali) e avrà il potere di prendere le decisioni chiave, dalla nomina dei membri del consiglio di amministrazione alla scelta di quali modifiche potranno essere apportate allo statuto legale della società, inclusi gli impegni come B Corp.
Il 100% delle azioni senza diritto di voto, invece, passa all’Holdfast Collective, associazione non-profit impegnato nella lotta alla crisi ambientale. Finanziata direttamente da Patagonia, l’associazione utilizzerà “ogni dollaro ricevuto per combattere la crisi ambientale, proteggere la natura, la biodiversità e le comunità, il più rapidamente possibile”.
Come si legge nelle note stampa, a causa della sua natura senza scopo di lucro, potrà anche sostenere campagne e candidati politici, oltre a fare donazioni e investimenti per la causa.
Sempre una B Corp
Tutto questo non renderà l’azienda una no-profit, è bene chiarirlo. Patagonia è sempre stata e resterà un’azienda a scopo di lucro, con l’obiettivo di rimanere leader nel settore e generare profitto. L’impresa di casa Chouinard rimarrà una B Corp e una società benefit, con lo stesso consiglio di amministrazione e Ryan Gellert come CEO. Semplicemente le sue azioni, adesso, saranno “in mano al Pianeta”.
E la portata rivoluzionaria di questa cessione deriva proprio dal mantenimento del suo status L’azienda statunitense, in questo modo, potrà essere faro per la comunità imprenditoriale, indicando la via per uno sviluppo economico responsabile e rispettoso dei limiti planetari.
Perché, come conclude la lettera, “se vogliamo sperare di avere un pianeta vivo e prospero, e non solo un'azienda viva e prospera tra 50 anni, è necessario fare il possibile con le risorse che abbiamo”.
Immagine: Andrew Svk (Unsplash)