Che cosa state facendo, ora, come struttura per la resilienza?

“Oggi stiamo mappando i rischi della città – di oggi e di domani – sia in termini di shock, sia di stress. Quelli catalogabili come eventi di stress sono quegli eventi improvvisi, come quelli alluvionali che un tempo erano estremi ed episodici che però oggi hanno una certa regolarità a causa dei cambiamenti climatici. Gli eventi di shock, invece, sono quelli improvvisi come l’incidente ferroviario del 25 gennaio 2017 a Pioltello (dove persero la vita tre donne, nda). Questa mappatura ci porterà a definire la strategia metropolitana di resilienza. Oltre a ciò mi sto occupando della definizione delle linee guida per l’adattamento ai cambiamenti climatici che saranno contenute nel Piano d’azione sul clima del Comune di Milano. Infine sono coinvolto nel gruppo di lavoro sull’economia circolare poiché essa è una delle chiavi per ridurre uno dei principali stress sociali degli ultimi anni: la disoccupazione.”

 

Nel concreto?

“Negli ultimi mesi abbiamo lavorato in sinergia con l’urbanistica, all’interno del processo di revisione del PGT (Piano di Governo del Territorio) inserendo una norma attuativa, l’articolo 10, sulla resilienza e sostenibilità che definisce, nei futuri interventi di manutenzione ordinaria e quelli sul nuovo costruito (se ci sarà, visto che il comune ha definito una riduzione del 4% dell’occupazione di suolo) una serie di progetti di rinaturalizzazione. Diciamo che abbiamo codificato elementi di resilienza all’interno del PGT.”

 

Il concetto di resilienza, quindi, non è solo ecologico, ma anche sociale. Giusto?

“Sì esatto. Punteremo parecchio sul rapporto tra le politiche d’adattamento al cambiamento climatico e l’inclusione sociale. Per esempio la sicurezza del territorio penso che vada gestita non solo attraverso il controllo delle forze dell’ordine, ma anche puntando sulla qualità dello spazio pubblico e la sua vivibilità. Con qualità e vivibilità si possono creare dialogo e partecipazione. Per noi vulnerabili sono le persone, migranti o cittadini, non facciamo distinzioni. Chiaro, ci sono alcune situazioni critiche come la scuola, nella quale la differenza può essere problematica. Uno dei temi della strategia di resilienza guarda anche ai processi d’inclusione in ambito scolastico dove spesso si creano fratture. Queste per noi sono possibilità al fine di lavorare sui processi d’inclusione. In questo quadro stiamo facendo, in collaborazione con la rete delle città resilienti, dei percorsi educativi che non guardano solo ai bambini ma anche alle famiglie e ai genitori che sono spesso i portatori d’esperienze problematiche e complesse nel loro passato. Inoltre per noi, sociale, clima e migrazione sono interconnessi sotto un profilo metodologico: se creassimo gli ennesimi compartimenti stagni, non staremmo praticando la resilienza.”

 

 

Tantissime tematiche. Non è che state mettendo troppa carne al fuoco?

“Direi di no giacché si tratta di questioni tutte interconnesse. Troppa carne al fuoco la mette chi affronta queste tematiche come se fossero separate. Il nostro lavoro è mettere a sistema queste soluzioni. Nelle città non si può più lavorare separando le questioni. Economia circolare, per esempio, vuol dire minore utilizzo delle risorse, efficientamento dei processi economici, ma anche difficoltà o opportunità legate ai cambiamenti climatici. In questo quadro è necessario analizzare l’attivazione di politiche economiche in ambito urbano affinché si possano affrontare questioni come la riduzione dell’occupazione, creando nuove forme d’innovazione economica. In tale scenario vogliamo verificare se possiamo guidare processi d’innovazione che non guardino solo al profitto, ma abbiano anche come obiettivo l’impatto sociale. Quindi penso che, nella creazione della visione e nella messa a punto dei processi, affrontare in questa maniera la complessità non significhi ‘mettere troppa carne al fuoco’.”

 

Mi può fare un esempio circa connessioni di questo tipo?

“Milano è una città che ha tredici fablab, abbiamo una policy molto spinta sul riportare la manifattura in ambito urbano, non solo quella digitale ma anche quella tradizionale, una percentuale del 63,35% di raccolta della frazione organica, attività di rigenerazione urbana che riguardano anche i processi d’innovazione. Queste sono tutte tessere connesse dall’economia circolare, dall’innovazione economica, dall’inclusione sociale. E anche dalla salute perché, per esempio, una grande firma della moda come Ferragamo utilizza un tessuto naturale ottenuto dai sottoprodotti della lavorazione degli agrumi che riduce le allergie.”

 

Quali trasformazioni vi aspettate nel tessuto urbano? E come state agendo?

“Da qui al 2030 avremo un incremento annuo di 30.000 persone che arriveranno in città ogni anno, avremo 15.000 nuovi over 85 ogni anno. Già oggi abbiamo un flusso importante di giovani dal Sud Italia. Abbiamo aumentato del 20% i passeggeri nel trasporto pubblico, del 4% il chilometraggio fatto dai mezzi Atm, 16.000 biciclette in condivisione, 7 operatori del car sharing, una nuova linea di metropolitana che sarà completata nei prossimi due anni, aumentiamo le piste ciclabili, anche se il numero delle autovetture private aumenta, perché aumenta la popolazione. Altre città si spopolano noi cresciamo. E la forte migrazione verso la città non è solo sul fronte economico ma anche per interesse. Quindi o siamo capaci a gestire gli ambiti territoriali in maniera sostenibile, con quelli sociali ed economici oppure falliamo.”

 

 

Riportare la manifattura in ambito urbano. Non è un rischio ambientale questo?

“Stiamo parlando dei laboratori che sono un grande patrimonio della città e dobbiamo lavorare sui processi di produzione attraverso tecnologie che siano rispettose dell’ambiente. Se si riesce a mantenere i lavoratori in città senza inquinare, si risolve anche il problema della mobilità degli addetti e si ha un impatto complessivo ridotto. Non parliamo di grandi industrie, ma del grande patrimonio del Paese che è rappresentato dalle pmi. Insomma non stiamo pensando di riportare le acciaierie nella metropoli, ma di sfruttare quello che è il know-how diffuso che c’è in città, come il design e la moda e che fan parte della storia della città.” 

 

Parliamo di urbanistica. Ci sono state grandi polemiche sugli ultimi passi urbanistici di Milano. Come si sta muovendo l’attuale amministrazione nella gestione dell’urbanistica rispetto a resilienza e clima? 

“Il PGT attuale prevede 29 parchi, una riduzione dell’indice di consumo di suolo dal 74 al 70%, un nuovo piano di forestazione urbana che ha l’obiettivo di piantumare 300.000 nuovi alberi entro il 2030, tutti i nuovi interventi di costruzione dovranno impiegare il 10% di materiali circolari e devono usare materiali che favoriscano la riflettenza solare (i tetti bianchi per prevenire le bolle di calore, ndr), puntiamo su una diffusione del verde anche in verticale, e abbiamo delle norme con le quali il Comune si riserva il diritto riprendere i manufatti edili lasciati nell’abbandono per oltre 5 anni, per evitare il formarsi di buchi urbanistici e relitti urbani. Tutti questi elementi rendono il PGT molto resiliente e anche legato ai cambiamenti climatici. Inoltre abbiamo un assessore, Pierfrancesco Maran, che caso unico nel contesto italiano raggruppa le deleghe sull’urbanistica, verde e agricoltura.”

 

300.000 cittadini in più in dieci anni, sono il 20% in più di popolazione come state affrontando ciò? Non potrebbero innescarsi effetti per niente resilienti come l’aumento dei prezzi immobiliari e la gentrificazione?

“Dobbiamo recuperare gli spazi abbandonati, sfruttando meglio il costruito, favorendo chi investe in innovazione, nei servizi di prossimità e sui servizi di natura economica e provare a ridurre il numero dei centri commerciali, incrementando i consumi di prossimità. Il tutto anche con strumenti urbanistici.” 

 

 

Sulle questioni energetiche come agirete?

“Stiamo valutando l’autoproduzione di elettricità per esempio, attraverso la quale si può affrontare la povertà energetica e ci stiamo chiedendo se l’autosufficienza energetica può essere un elemento per combatterla, verificando se ci sono tecnologie che possano andare a sostenere il lavoro che c’è da fare a livello sociale. Perché le tecnologie devono rispondere a domande sociali, non viceversa. Su questo fronte, però, bisogna capire cosa può fare la pubblica amministrazione con il proprio patrimonio pubblico e cosa possono fare i privati. Questi due soggetti devono parlarsi e andare di pari passo, con la necessaria distinzione dei ruoli. Io, che sono una pubblica amministrazione, devo capire come nei miei edifici posso generare queste soluzioni che poi possono essere adottate autonomamente dai privati. Poi il pubblico ha anche altri strumenti. Atm, l’Azienda dei Trasporti Milanese, per esempio, ha come piano al 2030 quello di sostituire tutti gli autobus alimentati a gasolio con quelli elettrici, investendo due miliardi di euro. Anche questa è resilienza sia sul fronte delle emissioni, sia su quello dell’adattamento, poiché si diminuisce il calore disperso dai motori endotermici che contribuisce alla formazione delle bolle di calore.” 

 

Tutto ciò che mi ha descritto va in contrasto con una cultura politica che vede nella crescita del Pil e dell’edilizia i due indicatori principali del benessere. Non vede delle contraddizioni?

“Penso che le città debbano fare delle scelte coraggiose e condivise con i propri cittadini. In questa maniera si possono fare scelte che magari non ripagano in tempi brevi sotto il profilo politico, ma di sicuro su tempi medio lunghi dal punto di vista ambientale e culturale. L’ascolto dei cittadini è una condizione essenziale in questo quadro. Ogni municipio di Milano stanzia un milione di euro l’anno per la partecipazione dei cittadini. Abbiamo un bilancio partecipativo per l’apertura dei Navigli, i canali d’acqua della città: abbiamo fatto sei mesi d’incontri, ci sono consultazioni pubbliche, c’è una piattaforma per la partecipazione e stiamo lavorando su una maggiore accessibilità dei dati da parte dei cittadini. Si tratta di elementi che potranno in futuro scardinare l’equazione aumento del Pil, dell’edilizia, uguale benessere.”