“Questa giornata segna il trionfo del pianeta sulla plastica monouso”. Ha commentato così la direttrice esecutiva del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (Unep) Inger Andersen, poco dopo la firma della risoluzione che punta a porre fine all'inquinamento da plastica e stringere così un accordo internazionale legalmente vincolante entro il 2024. “Questo è l'accordo ambientale multilaterale più significativo dall'accordo di Parigi”. Per la prima volta infatti i capi di Stato, i ministri dell'ambiente e i rappresentanti di 175 nazioni, riuniti a Nairobi per la quinta Assemblea delle Nazioni Unite sull'Ambiente, si sono impegnati ufficialmente per affrontare come comunità internazionale uno dei problemi ambientali e di salute più pressanti per la società umana.
Da Nairobi, verso un accordo giuridicamente vincolante
La risoluzione, basata su tre bozze iniziali di varie nazioni, istituisce un Comitato intergovernativo di negoziazione (Inc) e inizierà i lavori nel 2022, con l'ambizione di completare una bozza di accordo globale giuridicamente vincolante entro la fine del 2024. Come spiega l'Unep, è previsto di arrivare ad “uno strumento giuridicamente vincolante, che rifletta diverse alternative per affrontare l'intero ciclo di vita della plastica, la progettazione di prodotti e materiali riutilizzabili e riciclabili e la necessità di una maggiore collaborazione internazionale per facilitare l'accesso alla tecnologia, il rafforzamento delle capacità e la cooperazione scientifica e tecnica”.
Secondo Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna inquinamento di Greenpeace Italia: “La risoluzione adottata oggi riconosce che l’intero ciclo di vita della plastica, dall'estrazione dei combustibili fossili necessari a produrla fino allo smaltimento, crea impatti notevoli per le persone e per il pianeta”. Un passo decisivo secondo l'Ong “che manterrà elevata la pressione sulle aziende dei combustibili fossili e sulle multinazionali che impiegano enormi quantità di imballaggi usa e getta, affinché riducano subito il loro impatto ambientale e trasformino radicalmente i loro modelli di business in favore di soluzioni basate sullo sfuso e sulla ricarica”.
L'inquinamento da plastica è una crisi planetaria
Sono passati quasi sessant'anni da quando l'Accademia Svedese delle Scienze di Stoccolma conferiva il Nobel per la chimica all'ingegnere chimico Giulio Natta del Politecnico di Milano per la scoperta della polimerizzazione stereospecifica, processo chimico che cambiò per sempre l'industria della plastica e con essa anche la nostra vita. Un materiale duttile, durevole, dalle infinite applicazioni, ma che col tempo è entrato nei cicli naturali e sta mettendo a serio rischio interi ecosistemi e la stessa salute dell'uomo, perché non correttamente gestito lungo l'intero ciclo di vita della materia, dalla sua produzione, progettazione e smaltimento.
Da quando è entrata a far parte della nostra quotidianità, la plastica è aumentata da 2 milioni di tonnellate prodotte l'anno nel 1950 a 460 milioni di tonnellate nel 2019 (dati Ocse), diventando un'industria globale del valore di 522,6 miliardi di dollari, mentre si prevede che raddoppierà la sua capacità entro il 2040. Ma cosa accade a tutta questa materia una volta terminato il proprio utilizzo? Secondo il documento redatto dall'Ocse e intitolato “Global Plastics Outlook”, l'attuale ciclo di vita della plastica è ben lontano dall'essere circolare. A livello globale, i rifiuti di plastica sono più che raddoppiati in vent’anni, passando dalle 156 milioni di tonnellate nel 2000 alle 353 milioni di tonnellate nel 2019. Di questi solo il 9 % viene riciclato, mentre il 19% è stato termovalorizzato, mentre quasi la metà finisce nelle discariche gestite. Il restante 22% è invece smaltito in discariche incontrollate, bruciato a cielo aperto o disperso nell'ambiente. Si stima inoltre che ogni minuto un camion pieno di plastica finisca negli oceani.
E la pandemia non ha certo migliorato la situazione, anzi. Sempre secondo l'Ocse i rifiuti di plastica monouso sono aumentati, nonostante il blocco delle attività produttive del 2020 abbiano ridotto l'uso della plastica del 2,2% rispetto ai livelli del 2019. Con il rimbalzo dell'economia, si prevede inoltre che l'uso della plastica riprenderà a crescere, portando ad un aumento dei rifiuti di plastica e alle relative pressioni ambientali.
Un aiuto determinante dall’economia circolare
Anche il Wwf ha accolto con favore la firma dell'accordo ma precisa che “i leader mondiali devono ora mostrare ancora più determinazione nello sviluppo e nell'attuazione di un trattato che affronti la nostra attuale crisi da inquinamento da plastica e consenta un'efficace transizione verso un'economia circolare della plastica”. Il passaggio a un'economia circolare potrebbe infatti ridurre il volume di plastica che entra negli oceani dell'80% entro il 2040.
L'Italia dal canto suo è stata in prima linea nel contrasto dell'inquinamento da plastica: ha vietato per prima in Europa l'utilizzo di shopper di plastica già nel 2011, mentre nel 2018 ha vietato l'uso di sacchetti di plastica per gli alimenti, dal primo gennaio 2019 ha vietato l'uso di bastoncini di plastica e ovatta per usi igienici e dal primo gennaio 2020 l'uso di microplastiche nella cosmesi da risciacquo. Si tratta certo di un piccolo contributo ma che con la firma di oggi può far ben sperare in una collaborazione collettiva a livello internazionale per la risoluzione di uno dei grandi problemi che affliggono la società e che, si spera, non faccia la fine dell'accordo di Parigi.