Di recente Karmenu Vella, commissario Ue all’Ambiente, agli Affari Marittimi e alla Pesca, ha definito Umicore come un “grande esempio di azienda che ha completamente reinventato se stessa per far fronte alle sfide del ventunesimo secolo”.
Con circa 10.000 dipendenti e un fatturato di 11,1 miliardi di euro nel 2016 Umicore è un’azienda belga quotata in Borsa. Con sede a Bruxelles e alle spalle una storia di oltre due secoli, è oggi tra le aziende più esperte nel riciclo di materiali complessi (residui industriali e rifiuti elettronici) contenenti metalli preziosi: riesce a recuperare 17 metalli preziosi da oltre 200 flussi complessi di ingresso provenienti da tutto il globo. Oltre all’attività nel settore del riciclo, Umicore è uno dei tre leader globali nella produzione di catalizzatori di controllo delle emissioni per veicoli leggeri e pesanti e per tutti i tipi di carburanti, ed è il principale fornitore dei materiali catodici per le batterie ricaricabili usate in apparecchi elettronici portatili e nelle automobili ibride ed elettriche.
Se estrarre metalli più e meno preziosi da vecchi apparecchi elettronici e cellulari è fondamentale, tuttavia quel che più è interessante di Umicore è il cambiamento radicale di modello di business che l’azienda ha messo in campo negli ultimi due decenni, riuscendo – da impresa impegnata nell’estrazione di metalli (in primis rame e zinco) a diventare un’azienda specializzata nella tecnologia dei materiali e nel riciclo di metalli. In pratica Umicore ha abbandonato totalmente l’estrazione: riciclano i nostri rifiuti da cui estraggono metalli che diventano le cosiddette materie prime seconde.
Tutto ha inizio nel 1906 con la costituzione dell’Union Minière du Haut Katanga (Umhk), che ha operato nel Katanga, provincia dell’attuale Repubblica Democratica del Congo. L’attività estrattiva dell’Umhk, soprattutto riguardante il rame, ha contribuito allo sviluppo economico del Belgio; negli anni l’Union Minière è arrivata a controllare l’esportazione nel mondo di cobalto (nel 1950 ne controllava il 75% della produzione), ma anche di stagno, uranio e zinco.
Nel 1989 dalla fusione dell’Union Minière con Vielle Montagne, azienda produttrice di zinco nata nel 1805, Metallurgie Hoboken-Overpelt, azienda metallurgica, e Mechim, azienda di ingegneria, nasce Umicore. La crisi economica di metà anni ’90 colpisce i profitti dell’azienda e spinge a un più ampio programma di ristrutturazione. Nel 1995 Umicore ricava il 90% del proprio reddito dalle merci e dall’attività di estrazione e solo il 10% da materiali avanzati come cobalto e germanio.
Nello stesso anno inizia il passaggio dal settore estrattivo e dei metalli alle tecnologie pulite e alle sostanze chimiche speciali. L’azienda decide di cambiare direzione, avviando una lunga fase di transizione che ha richiesto tempo, risorse finanziarie, visione e costanza. Il piano industriale ha previsto investimenti per 650 milioni nel riciclo e nei materiali avanzati e disinvestimenti nel settore estrattivo. Nella prima fase di passaggio, corrispondente agli ultimi anni ’90, è stato aperto un nuovo centro di ricerca e sviluppo a Olen, vicino Anversa; si è iniziato a esplorare il settore dei materiali per le batterie in Corea; sono stati avviati nuovi processi produttivi a Hoboken, sede belga di uno storico stabilimento dell’azienda, e sono stati fatti primi investimenti in Cina.
Il radicale cambiamento nel posizionamento dell’azienda ha comportato due decenni di investimenti e contrattazioni, acquisizioni e cessioni utili per uscire definitivamente dal mercato dello zinco e del rame. Oltre a parecchio tempo sono stati necessari molti soldi: 5 miliardi di euro di capex (CAPital EXpenditure ovvero spese per capitale), ricerca e sviluppo e investimenti ambientali.
Gli investimenti ambientali sono serviti anche per affrontare l’eredità lasciata dalle precedenti attività di Umicore. Nel 1990 per fronteggiare l’inquinamento storico dei siti di produzione di Umicore è stato avviato un processo di bonifica, poi incrementato tra il 2002 e il 2003 e tra il 2006 e il 2008. L’amministratore delegato dell’epoca Thomas Leysen (che nel 2008 ha ceduto il posto a Marc Grynberg) si è impegnato ad affrontare ogni problema di eredità ambientale legato agli asset venduti. Le attività di bonifica sono state un problema soprattutto in Francia e Belgio.
Umicore ha avuto diverse discussioni con le autorità delle Fiandre per raggiungere un accordo collettivo e arrivare a firmare un patto nel 2004, che ha previsto investimenti per oltre 150 milioni di euro in programmi di bonifica per rispondere agli storici problemi di inquinamento.
A distanza di oltre due decenni, i risultati danno ragione all’azienda belga. Se allora il 90% dell’Union Minière era concentrato in merci ed estrazione, oggi il 60% di Umicore è basato su riciclo e mobilità pulita. L’azienda di Bruxelles genera la maggior parte dei propri ricavi e dedica la maggior parte dei propri sforzi nelle attività di ricerca e sviluppo relative alle tecnologie pulite, come i catalizzatori di controllo delle emissioni, i materiali per le batterie ricaricabili e il riciclo.
Il nuovo corso di Umicore ha senso anche economicamente. Se prima della trasformazione il rendimento del capitale investito (Roce – Return on capital employed) era al -2%, oggi è al +15-20%.
La scommessa di puntare su riciclo e tecnologia pulita ha permesso a Umicore di dar vita a un modello di business a ciclo chiuso che rappresenta oggi il suo vantaggio competitivo. Si tratta di investimenti strategici che hanno ampliato Umicore anche territorialmente con nuove attività produttive e tecnologiche in Polonia, Corea del Sud e Thailandia. Attualmente – e nei prossimi anni – 300 milioni sono e saranno investiti nell’espansione in Cina e Corea del Sud per triplicare la capacità dei materiali catodici entro la fine del 2018. Parallelamente, 100 milioni di euro andranno ad ampliare del 40% lo stabilimento di Hoboken, portando da 350.000 a 500.000 tonnellate annue la capacità di riciclaggio dei materiali di questo impianto.
Con una base di clienti e attività in tutto il mondo, Umicore costruisce quotidianamente la propria ricchezza sfruttando tre trend oggi di evidente importanza: la scarsità delle risorse, la riduzione dell’inquinamento atmosferico e l’elettrificazione dei trasporti. Umicore è riuscita a cogliere le occasioni offerte da ognuno di questi tre ambiti e a inserirsi nei relativi mercati. Al tema della scarsità di risorse ha risposto con una capacità di riciclaggio che consente di recuperare più di 20 elementi tra cui molti metalli preziosi. Negli sforzi mondiali verso norme più severe in materia di emissioni ha visto opportunità globali di crescita nei catalizzatori automobilistici, sia per veicoli leggeri sia pesanti. Infine, nel mercato in crescita delle batterie agli ioni di litio, l’azienda è riuscita a guadagnarsi una posizione leader nei materiali catodici per le batterie ricaricabili.
Da questo periodo di trasformazione e di passaggio al riciclo e alla mobilità pulita, Umicore è uscita con significativi risultati economici, ambientali e sociali e avendo raggiunto una posizione di mercato che la vede leader mondiale anche in termini di sostenibilità. L’attività di Umicore risponde, non a caso, al dodicesimo obiettivo degli Sdg (Sustainable Development Goals) dell’Onu, vale a dire “garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo”. La conoscenza acquisita nei materiali, nelle tecnologie e nel settore del riciclo dei materiali permette quotidianamente a Umicore di trasformare i rifiuti in oro.
Info
Intervista a Tim Weekes, direttore Comunicazione del Gruppo Umicore
di A. I. T.
Tecnologia e collaborazione alla base della transizione
Qual è stata la ragione principale della trasformazione da un’azienda estrattiva in una che si occupa di riciclo?
“È stata un’azione finalizzata a uscire da una produzione di commodity molto ciclica, imprevedibile in termini di profitto e che richiedeva notevoli investimenti di capitali. Seppur non in declino, il settore estrattivo sicuramente non rappresentava il posto più interessante in cui trovarsi da un punto di vista di sviluppo di mercato. Noi abbiamo deciso di investire di più nello sviluppo di prodotti a valle e nel riciclo dei materiali che prima producevamo. La ragione principale è stata di permettere a Umicore di avvantaggiarsi di alcune delle nuove opportunità nei materiali, come per esempio quelli utilizzati per le batterie ricaricabili o per il fotovoltaico. Per fare ciò abbiamo dovuto ri-orientare completamente il nostro mercato e i nostri investimenti.”
Qual è stata la sfida principale in questo passaggio?
“All’inizio una delle sfide principali è stata trovare il modo di separare e vendere con profitto le attività che erano più cicliche e commoditizzate (ovvero senza nessuna differenza qualitativa sul mercato). È stata una sfida riguardante la gestione del portafoglio: bisognava essere sicuri di vendere l’asset giusto e investire nel giusto progetto nel momento adatto. Per esempio, abbiamo dovuto aspettare il 2003 per fare una grande acquisizione che ci ha permesso di entrare nel settore dei catalizzatori per autoveicoli. Certo occorre anche avere un po’ di fortuna, non sono affari e occasioni che capitano tutti i giorni.”
Quanto è stata importante la comunità degli investitori? Cosa hanno pensato di questo passaggio?
“Abbiamo avuto comprensione dagli investitori, anche se all’inizio ci sono state alcune difficoltà. Alcuni investitori per esempio erano in Umicore semplicemente perché rappresentavamo un modo interessante di guadagnare sul prezzo delle merci: il prezzo di zinco e rame era alto e quindi il prezzo delle azioni di Umicore sarebbe stato alto. Con loro è stato difficile perché non volevano più investire in Umicore. Dal 2000 al 2007, però, sono entrati alcuni nuovi investitori che veramente credevano che il potenziale dell’azienda fosse sottostimato e che eravamo un’azienda in una fase di transizione, il cui valore sarebbe stato presto evidente sul mercato. Per esempio, vendendo gli asset nello zinco e nel rame, nel 2003 ci siamo spostati in alcune nuove attività come quella dei prodotti di metalli preziosi. Questi investitori hanno capito che si trattava di un investimento di lungo termine in una buona azienda che guardava lontano.”
Scarsità delle risorse: quale sarà l’elemento chiave?
“Credo che la tecnologia sarà fondamentale. Umicore ha sviluppato un modello di business molto competitivo, centrato su un approccio circolare e sul ciclo chiuso. Le risorse e la loro scarsità crescente saranno sempre più un fattore trainante non solo per Umicore, ma per l’economia in generale. Per esempio una delle aree maggiormente in crescita per Umicore è quella dei materiali per le batterie ricaricabili. Noi abbiamo già sviluppato un sistema per il fine vita delle batterie al litio. Quando i veicoli elettrici che stanno via via entrando nel mercato arriveranno a fine vita e bisognerà riciclarli, noi abbiamo la tecnologia per farlo. Ciò permetterà di alleviare i problemi legati alla disponibilità dei materiali grezzi come cobalto, nichel o litio. Servono tecnologie in grado di riciclare. É richiesta molta innovazione e tanti sforzi, ma ne vale la pena.”
Quale suggerimento dareste a chi lavora in settori tradizionali – per esempio quello chimico e delle costruzioni – e sta pensando di avviare la transizione?
“È difficile dare consigli. I metalli sono molto indicati per l’economia circolare: rappresentano una sorta di elementi protetti e hanno precise proprietà fisiche. I metalli che escono alla fine del processo di riciclo sono nello stesso stato in cui sono entrati, possono essere riciclati all’infinito. Siamo fortunati in questo. Tuttavia in questi anni abbiamo imparato che serve collaborazione lungo tutta la value chain, per esempio partendo dai fornitori per capire le operazioni che avvengono e conoscere la loro l’impronta ambientale. La collaborazione è importante in tutti i passaggi: anche con le industrie che usano i tuoi prodotti e con i consumatori finali. Soltanto collaborando con tutti questi soggetti si può trovare il modo di riportare i materiali indietro nel cerchio del riciclo. Avere una completa comprensione dell’intera value chain e della vita del prodotto ha un’importanza crescente. Nel settore delle batterie o dell’elettronica per esempio bisogna lavorare con i produttori per essere certi che i prodotti siano facili da disassemblare. È necessario risalire al design, a quali materiali sono stati utilizzati, in che proporzione, da dove arrivano per essere sicuri che l’impronta ambientale lasciata sia la più bassa possibile. Credo che in tutti i settori industriali la collaborazione sia l’elemento chiave per attivare una corretta transizione.”