La richiesta di maggior distanziamento sociale e la necessità di creare delle barriere fisiche di separazione hanno fatto crescere esponenzialmente negli ultimi mesi l’utilizzo del plexiglass, materiale di origine fossile, che ha indubbie proprietà fisiche e meccaniche. Il suo utilizzo in maniera così massiccia sul lungo termine è sostenibile? Esistono delle alternative green?

Improvvisamente il plexiglass è ovunque. Nella primavera 2020, parallelamente alla diffusione del Covid-19 e delle misure per arginarne la diffusione, negozi di alimentari, farmacie e non solo si sono affrettati a installare strati di protezione anti-starnuto per tutelare lavoratori e utenti. Oggi, mentre le attività commerciali e gli uffici provano a riaprire in questo nuovo mondo di distanziamento sociale, i divisori trasparenti sono onnipresenti, insieme a igienizzanti e disinfettanti. Il plexiglass è diventato negli ultimi mesi la risposta più immediata alle esigenze imposte dalle nuove misure. Diventa barriera di separazione tra le scrivanie, tra i tavoli dei ristoranti, tra i lavabo delle toilette. È presente nei centri estetici così come nelle sale cinematografiche, ed è usato come protezione facciale negli ospedali. Mentre il suo utilizzo pare al momento scongiurato in spiaggia, nonostante i diversi prototipi circolati nei mesi scorsi, è necessario interrogarsi sulla sostenibilità di questo materiale di cui pare non si possa più fare a meno.

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Plexiglass o plexiglas?

I fogli trasparenti, comunemente noti come plexiglass o acrilico o vetro acrilico, sono realizzati in polimetilmetacrilato, o PMMA, materia plastica formata da polimeri del metacrilato di metile. Si tratta di un termoplastico rigido, alternativa più economica del vetro, rispetto al quale ha anche un punto di rottura superiore. Inventato nel Regno Unito nel 1928 e registrato con il nome commerciale Perspex, il PMMA è fondamentale in ambito medico per la sua elevata resistenza agli agenti atmosferici e ai detergenti chimici.
Contemporaneamente anche in Germania il chimico Otto Röhm da inizio ‘900 lavorava sugli acrilati e metacrilati arrivando a lanciare il PMMA sul mercato nel 1933 con il marchio registrato Plexiglas®. Per questo in Germania il termine ‘plexiglas’ ha finito per indicare il materiale stesso e non più solo la marca (al contrario dei Paesi anglosassoni dove il termine usato è, invece, ‘plexiglass ‘con doppia ‘s’; la differenza di ‘s’ è semplicemente dovuta al termine vetro: ‘glass’ in inglese e ‘glas’ in tedesco).

Un mercato in ascesa e i suoi impatti sull’ambiente

Al di là dei marchi registrati e del primato dell’invenzione conteso tra Regno Unito e Germania, il mercato di questo materiale è oggi in indubbia ascesa. Nel Regno Unito l’azienda Perspex ha aumentato la produzione di lastre acriliche del 300% da febbraio a marzo 2020. Non sorprende il suo utilizzo massiccio viste le sue numerose qualità: è versatile, durevole, flessibile, leggero, robusto, non subisce perdite di colore e ha buone capacità ottiche, oltre ad un basso costo.
D’altro canto, però, le lastre acriliche, essendo costituite da fibre artificiali,
nascono con un impatto ambientale negativo. La produzione di 1 kg di PMMA richiede circa 2 kg di petrolio e rilascia nell'ecosistema circa 5,5 kg di anidride carbonica. Oltre alle materie fossili utilizzate nel processo di produzione, il sole, che batte sulle lastre acriliche, porta alla decomposizione del carbonio e al rilascio di frammenti di particelle di diossido di carbonio che vanno a finire nello strato di ozono. Da molto tempo, quindi, gli scienziati hanno posto l’accento sulla necessità di ridurre al minimo l’uso delle lastre acriliche, di ottimizzarne il processo di produzione e ridurre il consumo di energia nelle diverse fasi di lavorazione. Inoltre, mentre i fogli acrilici sono in teoria riciclabili, il processo di riciclaggio non è facile, e ciò ha spesso causato il rilascio non gestito nell’ambiente di numerosi materiali di scarto acrilici, con conseguenti impatti su flora e fauna.

Il plexiglass green

Esistono tuttavia alcune aziende che hanno brevettato e messo in commercio delle alternative verdi all’acrilico o al plexiglass standard realizzate totalmente o parzialmente da contenuti riciclati pre e post-industriali. L'acrilico riciclato è altrettanto trasparente, resistente ai colori e ai raggi UV delle varianti non riciclate. Può essere riciclato più volte e riutilizzato. A differenza del PMMA standard, realizzato con materie prime vergini a base di petrolio, Ecocrylic® e Greencast® sono due acrilici realizzati con materiale di riciclo. Una delle varianti di Ecocrylic®, ad esempio, è realizzata tramite processo di estrusione da materiale proveniente da schermi LCD usati o da scarti di produzione.

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Greencast

Con proprietà di flessibilità e robustezza diverse, ma sempre proveniente da materiali di riciclo è Greencast®, realizzato nello stabilimento di Cinisello Balsamo dall’italiana Madreperla Spa, azienda lombarda fondata nel 1959. Si tratta del primo e unico acrilico colato - il colato è otticamente più trasparente rispetto all'acrilico estruso - realizzato al 100% in acrilico riciclato pre e post-consumo.

Innovazione e legno trasparente

Accanto alle tipologie di plexiglass più verdi, sono numerosi gli studi e le ricerche che hanno indagato la possibilità di produrre il vetro acrilico con materie prime naturali e con un processo di produzione biotecnologico più attento all’ambiente. Purtroppo i risultati sono ancora di là da venire. Nel primo decennio del ventunesimo secolo presso l'Helmholtz Centre for Environmental Research (UFZ) di Lipsia, in Germania, un gruppo di scienziati aveva concentrato le proprie ricerche su un enzima che prometteva di trasformare zucchero, acidi grassi e sostanze di origine naturale nei materiali desiderati. All’entusiasmo iniziale non è seguita, però, un’effettiva immissione sul mercato di questi materiali.

TrasparentWood alternativaPlexiglass
Transparent Wood

Quello che negli ultimi anni sembra promettente, per quanto ancora in fase di ricerca e sviluppo, è il legno trasparente (in inglese transparent wood), considerato uno dei materiali dell’edilizia del futuro e realizzato rimuovendo la lignina dal legno in modo da permettere alla luce di passarvi attraverso. Da diversi anni gli ingegneri dell’Università del Maryland e del KTH Royal Institute di Stoccolma studiano le innovazioni nelle fibre di legno trasparenti. Il legno trasparente è, in teoria, biodegradabile, ma si sta cercando di renderlo anche più sostenibile. Infatti, al momento, la lignina estratta è compensata con l’introduzione di un polimero a base di petrolio che ripristina le solide proprietà strutturali del legno. Il legno trasparente promette di diventare anche un sostituto delle tradizionali finestre di vetro e un candidato ideale per i pannelli solari di nuova generazione perché le venature naturali del legno raccoglierebbero meglio la luce. Il transparent wood è al centro di alcuni importanti progetti finanziati dalla Commissione europea e combinati con le nanotecnologie.

Considerate le innegabili proprietà del plexiglass e che alternative davvero competitive e green sono di là da venire, la grande sfida odierna resta quella di riuscire a ponderarne l’uso senza esserne invasi, evitando la sua diffusione superflua e ingiustificata, puntando magari sulle sue varianti più verdi, sul suo riciclo e su modelli di business circolari.