È un approccio per nulla diffuso, ma che sta crescendo. C’è una sua versione spuria, che si potrebbe definire di “apertura” verso gli utilizzatori, che sono naturalmente i soggetti centrali per l’obiettivo finale. Nel nostro progetto erano i disabili. Spuria significa questo: c’è un team di ricerca che lavora sugli strumenti da produrre, che ha certamente una sensibilità verso gli utenti e quindi li convoca ogni tanto, diciamo così, per verificare le proprie proposte. È una modalità che può produrre risultati dignitosi, ma le manca un fattore che può moltiplicare l’efficacia complessiva: l’empatia che può emergere da una frequentazione costante, fin dall’inizio, una empatia che genera qualità tecnica del prodotto finale. Il motivo è semplice: una persona disabile racconta solo una parte dei suoi pensieri e delle sue emozioni. È una storia lunga, segnata da mille condizioni al contorno, carica di vecchie immagini e pesi che giungono da lontano. Mancano definizioni soddisfacenti ma quella che, grezzamente, si avvicina, è un sentimento di vergogna. Viviamo in un’epoca che senza dubbio presta molta più attenzione di una volta ai diversamente abili. Se andate su Teche Rai, il grande archivio delle trasmissioni televisive delle reti nazionali andate in onda dai primi anni ’50 del secolo scorso, troverete delle sequenze di show dove Adriano Celentano imita uno sciancato che cammina e tutti ridono. Abbiamo avuto comici di grande successo famosi per un loro personaggio balbuziente. Non parliamo della presenza di gobbi in un numero sterminato di film. Oppure di “scemi del villaggio” presi a sberle da cosiddetti normo dotati. Ma lo scenario è molto ampio e diversificato, declinandosi in piedi piatti, gambe storte. Uno scenario infinito. Le cose sono molto cambiate. Sotto, in profondità, c’è tuttavia ancora un segno forte.
Le cose difficili da dire, c’è scritto nel titolo. Uno dei progetti su cui ha fatto ricerca uno dei gruppi di progettazione è uno strumento di galleggiamento per consentire a persone con rilevanti disabilità motorie di andare in piscina. Per un uomo o una donna che passa la vita con grandi problemi nella movimentazione del proprio corpo, galleggiare è una condizione di grande piacere. La gravità è il fenomeno fisico più aggressivo nei confronti delle difficoltà motorie.
Muoversi in acqua, però, si porta appresso un possibile sgradevolissimo evento per i disabili: il controllo spesso molto o del tutto carente sulle proprie deiezioni. E una piscina inquinata va svuotata, pulita, e nuovamente riempita, per legge.
In un clima di confronto aperto, ravvicinato, sereno, questi problemi emergono. E si può lavorare con molte precisione sulla loro soluzione.
Tutto ciò, a guardar bene, descrive uno strumento di conoscenza che è ben lontano dall’essere molto difficile da praticare. Voglio dire che un acceleratore di particelle è una “macchina” che ha richiesto 2.500 anni di strati successivi di conoscenze e di tecnologie prima di presentarsi come uno straordinario strumento di conoscenza. Invece, il prendere in considerazione che un “habitat” umano confortevole, sensibile, tendenzialmente poco competitivo – se si accetta di coprogettare è evidente che bisogna ridurre la rigidità dei propri punti di vista – ecco, è un potenziale evidente, dietro l’angolo, ma ancora ben poco praticato. Attenzione: qui l’aspetto centrale non è che la coprogettazione è una cosa bella, umanamente. Di questo ne parliamo un’altra volta. Il fatto è che funziona di più.
Progetto Crew, www.progettocrew.it