Da Bangalore, capitale tecnologica dell’India, arriva il modello Saahas Zero Waste che punta su partnership con grandi aziende, responsabilità estesa dei produttori e riciclo per formalizzare la gestione di rifiuti nelle metropoli indiane e assicurare ai lavoratori del settore migliori condizioni lavorative.

Una città che vede la sua popolazione raddoppiare in poco più di 15 anni ha inevitabilmente un problema di gestione di rifiuti. Il problema è ancor più difficile da gestire se questa crescita avviene in maniera incontrollata in una città non pensata per accogliere così tante persone in arrivo dai paesi e delle campagne circostanti. È quello che è successo e sta succedendo a Bangalore, ufficialmente Bengaluru, capitale dello stato indiano del Karnataka, nota anche come la Silicon Valley dell’India. Dove la popolazione è esplosa dai 6.769.000 abitanti del 2005 ai quasi 11 milioni del 2017.

 

 

Oggi Bangalore è un cantiere aperto, nuovi grattacieli sono costruiti quotidianamente, i lavori per l’ampliamento della metropolitana vanno avanti incessanti giorno e notte e l’adozione di stili di vita occidentali si sta lentamente facendo strada con le immagini degli ultimi modelli di smartphone e dei luccicanti sari indossati da modelle che si susseguono sui manifesti giganti che costellano la città. 

Proprio qui a Bangalore, nel 2001, nasce, come organizzazione no profit, Saahas da un’idea della fondatrice Wilma Rodriguez, ex guida turistica costernata di fronte al problema crescente dell’errato smaltimento dei rifiuti, che costellano gli angoli e le periferie e deturpano i paesaggi indiani. L’anno non è casuale. Nell’anno precedente, nel 2000, per la prima volta l’India si è dotata di una politica nazionale riguardante i rifiuti. La legge sui rifiuti approvata è la miccia che accende l’idea della Rodriguez di creare un’associazione che si occupi di incrementare la consapevolezza della popolazione sui problemi di inquinamento e di realizzare progetti pilota su corporate social responsibility ed educazione ambientale. Nel 2013 accanto all’associazione no profit nasce l’impresa sociale Saahas Zero Waste. 

Da allora Saahas Zero Waste si è concentrata sulla raccolta dei rifiuti nel settore privato. Ha sviluppato il proprio modello di business stringendo accordi e offrendo soluzioni ‘a domicilio’ alle aziende private, in particolare ai grandi generatori di rifiuti come i complessi di uffici e le aziende tecnologiche. Per poter operare Saahas ha bisogno di un’autorizzazione a offrire il servizio da parte del comune di Bangalore. Dopo di che, là dove si producono enormi quantitativi di rifiuti, nel retro degli uffici di aziende quali Microsoft, General Electric, Shell Saahas Zero Waste dà vita ad un modello decentralizzato end-to-end di raccolta e separazione dei rifiuti. Il servizio consente allo stesso tempo a Saahas Zero Waste di raccogliere dati sui rifiuti prodotti che poi condivide con le aziende su base mensile per facilitare la riduzione e una migliore separazione dei rifiuti generati. Tutti i rifiuti biodegradabili sono compostati in loco per produrre concime organico di buona qualità. I rifiuti non biodegradabili sono inviati al Material Recovery Facility per essere ulteriormente divisi in 15-20 categorie prima di essere imballati e inviati presso le rispettive strutture di riciclo autorizzate. L’attività dell’azienda di Bangalore rappresenta un enorme passo in avanti in un Paese dove il riciclo informale di rifiuti non ha permesso mai prima d’ora la raccolta di dati sui rifiuti che ne quantificassero lo status quo

 

 

Oggi Saahas Zero Waste gestisce 30 tonnellate di rifiuti al giorno, con l’ambizioso obiettivo di arrivare a oltre 300 tonnellate al giorno nel 2021. 

Parallelamente al riciclo dei rifiuti, l’azienda ha anche avviato la creazione di una linea di prodotti riciclati o sovraciclati. Nascono così libri, carta igienica, quaderni, penne, ma anche portapenne, sedie, scrivanie, scaffali che in particolare sono ricavati dal riciclo del cartone Tetra Pak senza l’aggiunta di alcuna colla, ma semplicemente sfruttando il calore come collante. La scelta di puntare sulla produzione di cancelleria e mobili di arredo permette agli oggetti prodotti di essere utilizzati nelle scuole indiane e di sensibilizzare ed educare le nuove generazioni a valutare l’impatto positivo di una corretta gestione dei rifiuti.

A differenza della raccolta di rifiuti informale in cui non si conoscono le destinazioni finali dei materiali e i rifiuti di basso valore vengono bruciati o scaricati in discarica, Saahas Zero Waste propone una raccolta formale e riconosciuta, partner di riciclo noti e l’invio dei rifiuti di basso valore verso forni da cemento per il coincenerimento.

 

Situazione normativa

Nel 2016 l’India si è dotata di una legge sulla gestione dei rifiuti che prevede la separazione dei rifiuti in sei diverse categorie: rifiuti solidi, rifiuti pericolosi e di altro tipo, rifiuti da costruzione e demolizione, rifiuti elettronici, plastica, rifiuti bio-medicali. La nuova normativa prevede inoltre che la responsabilità di strutturare una logistica inversa for la raccolta dei rifiuti post consumo sia a carico dei produttori (vedi intervista a seguire). I produttori di packaging, in particolare, devono munirsi di un sistema di raccolta. Infine, la separazione dei rifiuti all’origine è obbligatoria. 

Il modello di Saahas Zero Waste – che dopo Bangalore si è esteso anche a Chennai, città da 7 milioni di abitanti – punta ad arrivare a Delhi e Mumbai, metropoli che insieme sfiorano i 50 milioni di abitanti.

Con la popolazione totale indiana che supera il miliardo e trecento milioni, di gran lunga superiore agli abitanti di Europa e Usa messi insieme, lavorare alla costruzione di un’India a zero rifiuti è di fondamentale importanza per il Paese stesso e per l’intero pianeta.

 

Saahas Zero Waste, saahaszerowaste.com

Immagini ©Saahas Zero Waste

 


  

Intervista a Vishal Kumar, E-Waste Program Manager presso Saahas Zero Waste

di A. I. T.

 

Così aiutiamo le aziende a gestire gli scarti 

 

Accanto allo Zero Waste Program portato avanti direttamente in loco per i grandi generatori di rifiuti, Saahas Zero Waste ha da diversi anni, anche prima della normativa del 2016, avviato il programma EPR – Extended Producer Responsibility. Quanto è difficile collaborare con le aziende parlando di rifiuti e di responsabilità dei materiali?

“C’è spazio per avere un forte impatto con entrambi i programmi: espandere la responsabilità dei produttori nei confronti dei materiali è a mio avviso di fondamentale importanza. Zero Waste Program è il nostro progetto verticale di punta attraverso cui promuoviamo la gestione decentralizzata dei rifiuti e la separazione alla fonte. L’ERP ha un potenziale enorme per migliorare il riciclo dei rifiuti in India. Abbiamo messo in piedi l’intero meccanismo di logistica inversa di collezione, separazione e aggregazione dei rifiuti prima che questi siano inviati ai partner di riciclo autorizzati. I produttori ci pagano una commissione per coprire le spese delle operazioni per soddisfare le norme EPR sancite con la legge del 2016.

Abbiamo creato progetti pilota con i produttori di packaging multistrato per raccogliere ampi volumi di questo materiale non riciclabile e incanalarlo verso i forni da cemento per il coincenerimento. Negli ultimi mesi, siamo riusciti a scalare questi progetti di raccolta da 15 tonnellate a oltre 300 tonnellate mensili.”

 

La responsabilità estesa dei produttori riguarda anche i prodotti elettronici in India?

“Sì, in India esiste una normativa riguardante l’e-waste dal 2011, che è stata modificata nel 2016 per includere nuovi target di raccolta. Saahas Zero Waste si occupa anche di raccogliere prodotti elettronici a fine vita per conto dei produttori e inviarli allo stesso tempo alle aziende di riciclo autorizzate dallo State Pollution Control Board. Il Central Pullution Control Board è l’organo indiano che controlla la corretta applicazione della normativa in materia dei e-waste. Il riciclo di apparecchi elettronici è un argomento davvero complesso.

I canali di riciclo informali pagherebbero i materiali che raccogliamo anche dieci volte di più rispetto alle aziende di riciclo formali, ma non sono autorizzati, non soddisfano le leggi sul lavoro e non hanno tecnologie appropriate per gestire i materiali chimici pericolosi presenti negli apparecchi elettronici, quindi li evitiamo.” 

 

 

Quanto è diffusa la pratica del riciclo informale in India?

“Molto. Le percentuali di riciclo in India sono estremamente alte, molto più alte di quel che si possa immaginare. Il problema è che gran parte di questo riciclo avviene grazie al settore informale, che è difficile da controllare e porta con sé problemi quali il lavoro infantile e la scarsa sicurezza di chi raccoglie componenti riciclabili o riutilizzabili dalle discariche. Tutto ciò che ha un valore – dagli apparecchi elettronici e medicali, al rame, fino alla plastica – viene raccolto informalmente e inviato a riciclatori informali. Il problema presenta molte sfaccettature perché la persona che raccoglie i materiali in teoria sta facendo un buon lavoro in quanto evita che questi vengano bruciati o finiscano nei corsi d’acqua. Tuttavia, chi raccoglie rifiuti informalmente lo fa senza protezioni, senza scarpe e guanti adeguati, con l’alto rischio di contrarre malattie e senza essere pagato abbastanza pur lavorando tra le 15 e le 20 ore al giorno. Il settore informale riesce a essere estremamente redditizio per chi lo gestisce anche perché questi ultimi non pagano salari minimi ai lavoratori e scaricano/ bruciano tutti i materiali di basso valore invece che gestirli in sicurezza.”

 

Cosa fate come Saahas Zero Waste per contrastare le pratiche di riciclo informale?

“Lavoriamo per formalizzare il settore informale. Abbiamo nel nostro staff circa duecento persone in campo che a tempo pieno smistano rifiuti nel corretto canale di riciclo. Ricevono protezioni, uniformi, fondi di previdenza, assicurazione, più del salario minimo e lavorano dalle 9 alle 17 con molta dignità. Sono assunti da noi: sono un grande costo, ma ciò ci permette di risolvere il problema dei rifiuti anche da un punto di vista sociale, fa parte della nostra missione. Vogliamo dimostrare che è un modello economicamente attuabile. È una sfida quotidiana far vedere che il modello funziona per l’ambiente, per le persone e per l’economia.”

 

La rigenerazione degli apparecchi elettronici può essere una soluzione più valida del riciclo, per esempio?

“Anche la rigenerazione è molto diffusa in India. I tassi si aggirano intorno all’80%. Basti considerare che un telefono ha, in media, 3 o 4 cicli di vita, vale a dire 3 o 4 proprietari. Il primo proprietario vende il proprio vecchio telefono a canali informali che lo ricondizionano e lo rivendono. Dopo due o tre anni lo stesso telefono ritorna indietro, viene ricondizionato e riacquistato e così via per altri cicli. Alla fine, quando non si può utilizzare più, i componenti ancora funzionanti e di valore vengono estratti. In quest’ultima fase il settore informale estrae dalla scheda madre del computer, ad esempio, l’oro che è però sciolto con acidi che rilasciano sostanze tossiche e chimiche nell’ambiente e nelle acque che vanno ulteriormente ad inquinare e complicare la situazione.” 

 

 

Sembra che il settore informale ostacoli il corretto e sicuro riciclo dei rifiuti in India. Cosa pensa della legge sui rifiuti approvata nel 2016?

“I canali informali, pur essendo vietati per legge, sono davvero difficili da controllare. È molto costoso lavorare in maniera formale mentre non ci sono forti disincentivi ai canali informali.

La legge nazionale sui rifiuti del 2016 è un grande passo in avanti nella gestione dei rifiuti contemplando sei diverse tipologie di rifiuti. Si tratta di una legge abbastanza progressista, ma l’implementazione è molto lenta e davvero graduale. Il settore informale non può essere completamente sorpassato poiché molti vivono di ciò. È necessaria, piuttosto, la creazione di sistemi in cui il settore informale sia integrato nei sistemi di raccolta e il riciclo sia incentivato per i riciclatori formali autorizzati con un forte monitoraggio e in accordo con il Pollution Control Boards. In fondo, è ora responsabilità dei produttori di istituire sistemi di raccolta e riciclo. Solo il tempo dirà quanto bene queste politiche verranno implementate.”