Chi non ha mai guardato con attenzione la tavola periodica degli elementi, ideata nel 1869 dal chimico russo Dmitrij Ivanovič Mendeleev, ha poca contezza della realtà che attraversa nel breve arco di vita organica che ci è concesso in questo angolo di Universo. “La chimica è una cosa che serve a tutto. Serve a coltivarsi, serve a crescere, serve a inserirsi in qualche modo nelle cose concrete”, diceva lo scrittore e chimico Primo Levi. Ogni elemento, dall’Idrogeno (H) all’Oganesson (Og), ognuno con il suo numero atomico (cioè il numero di protoni presenti nell’atomo) che ne determina la natura, costituisce il nostro universo, il nostro pianeta, il nostro corpo, generando energia, materiali, armonie di un’eleganza infinita.

Cerchiamo di controllare la chimica da millenni: dal fuoco alla fermentazione (le prime “birre” hanno origine fra il 7000 e il 6600 a.C. in Mesopotamia e nella regione del Caucaso meridionale), passando per i pigmenti di Lascaux, in Francia, dove 17.000 anni or sono usarono ocra rossa e ocra gialla a base di ematite (Fe₂O₃) e limonite (FeO(OH)·nH₂O), minerali di manganese, come la pirolusite (MnO₂), carbone, caolino e argilla.

Da allora abbiamo saputo imbrigliare reazioni di sintesi, soluzioni, riduzioni, polimerizzazioni, elettrolisi, fermentazioni per una miriade di scopi, dall’alimentare alla produzione di nuovi materiali, dall’energia alla medicina, scoprendo sempre nuovi elementi fino al completamento della tavola periodica (e futuri nuovi elementi che potranno arrivare dopo il centodiciottesimo).

Lo sviluppo della chimica moderna ha reso possibile la civiltà complessa, prospera, longeva (e consumistica) che conosciamo oggi. Senza la rivoluzione polimerica non avremmo avuto il boom della classe media occidentale prima e asiatica dopo. Senza le scoperte della medicina e dell’agrochimica avremmo ancora un’aspettativa di vita media di 30-35 anni, come accadeva nel 1924. Senza la chimica dei materiali superconduttori, scoperta da Karl Müller e Johannes Bednorz nel 1986, non ci sarebbero un sacco di prodotti di elettronica e l'imaging a risonanza magnetica (MRI). Senza il processo di Haber-Bosch non avremmo sintetizzato l'ammoniaca dall'azoto e dall'idrogeno, rivoluzionando la produzione di fertilizzanti.

Oggi il mondo della chimica è chiamato a una nuova rivoluzione, quella circolare. Dall’efficientamento energetico e decarbonizzazione dei processi all’innovazione dei chemical building block, dall’economia circolare delle sostanze chimiche alle trasformazioni del mercato della chimica polimerica, questo numero di Materia Rinnovabile fa una complessa e difficile ricognizione in questo settore chiave dell’industria, chiamato a fare la sua parte nella transizione.

Partiamo dai Transition Pathways europei per ridurre gli impatti della filiera, per andare poi a scoprire i nuovi modelli di Chemical-as-a-Service e l’impatto delle nanotecnologie, sempre più impiegate per il trattamento delle acque e in agricoltura. Andiamo poi a vedere da vicino la transizione della bioeconomia circolare, l’apporto del waste-to-chemical e della CO2 come building block chimico, e la rivoluzione introdotta dall’intelligenza artificiale nei laboratori di ricerca. Senza dimenticare però gli impatti a volte disastrosi dell’industria chimica, come raccontano le foto drammatiche da Bhopal, in India, a quarant’anni dal più grande disastro chimico della storia.

“Nuove entità stanno emergendo”, elementi chimici che mettono a rischio il nostro pianeta e la nostra salute, spiegano Sarah Cornell e Patricia Villarrubia-Gomez dello Stockholm Resilience Centre in un’intervista esclusiva rilasciata al vicedirettore di MR Marco Moro. Microplastiche, materiali sintetici, metalli pesanti e composti farmaceutici (come gli antibiotici) che vengono dispersi nella natura, invece che trattati come scarti e reintrodotti nei sistemi produttivi. Anche per questo abbiamo bisogno sempre più urgentemente di una chimica circolare, il vero elemento che manca alla nostra tavola periodica.

 

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Immagine: Oleg Moroz, Unsplash