Energica, discreta, autorevole, esplicita, complessa. Ellen MacArthur è la signora dell’economia circolare. Ha convinto Google e il Forum economico mondiale che il modello dell’economia lineare è al capolinea. E che si può davvero cambiare il modo in cui nel mondo si produce e si consuma.
Ellen MacArthur è nata quarant’anni fa in Inghilterra. Allora non sapeva che il suo destino sarebbe stato segnato dalla forma geometrica più perfetta: il cerchio. Nel piccolo villaggio di Whatstandwell nel Derbyshire, lontano dal mare, risparmiò ogni centesimo per comprarsi una barca. Il suo scopo? Circumnavigare il globo, solcare gli oceani come navigatrice. Cosa che ha fatto. Meglio di chiunque altro. Il 7 febbraio del 2005 ha infranto il record mondiale di circumnavigazione solitaria del globo, un’impresa che le ha dato notorietà internazionale. Ha impiegato 71 giorni, 14 ore, 18 minuti e 33 secondi per percorrere le 27.354 miglia nautiche (50.660 chilometri).
Nel 2010 ha deciso di concentrarsi su un altro cerchio. Il 2 settembre di quell’anno si è ritirata dalla sua carriera di navigatrice. Aveva in mente qualcosa di unico. Creare una fondazione (la Ellen MacArthur Foundation, oggi nota in tutto il mondo) per lavorare con il mondo del business e dell’istruzione al fine di accelerare la transizione verso un nuovo tipo di economia. Un nuovo modello in cui tutto è volutamente rigenerativo e ricostitutivo. Un sistema in cui niente viene buttato, nessun materiale rappresenta un valore inutilizzato, in cui il prodotto entra in un ciclo di “reincarnazione” e trasformazione, usando fonti di energia sostenibile e generando un impatto positivo sull’economia. Un’economia che ha la forma di un cerchio, l’economia circolare.
Ellen e la sua fondazione hanno lavorato per dare un ruolo centrale a questo nuovo modello, coinvolgendo il Forum economico mondiale, e grandi aziende come Google, Ikea e Banca Intesa, in partnership con società di consulenza come McKinsey e ispirando pensatori e ricercatori. Le onde non l’hanno mai fermata. E una volta che hai addomesticato l’oceano, niente può più fermarti. Quindi ha deciso di fare qualcosa che richiede ancora più coraggio. Portare la nave-Terra fuori dal modello economico tradizionale lineare e petro-capitalistico. E potrebbe anche stabilire un altro record.
Materia Rinnovabile l’ha raggiunta nel suo ufficio di Cowes, sull’Isola di Wight, per parlare dell’entusiasmante futuro dell’economia circolare e del suo sforzo per arrivare a qualcosa che nessuno è mai stato capace di raggiungere. E di come navigare in solitaria può cambiare il mondo.
Signora MacArthur, sei anni fa lei ha fondato la Ellen MacArthur Foundation, una delle iniziative di maggior successo per creare un nuovo modello industriale, ispirata da pensatori come Amory Lovins, Gunter Pauli e William McDonough. Come è partita questa avventura e qual è lo scopo della fondazione?
“Lo scopo è quello di estendere l’idea di un’economia circolare all’economia globale. Il primo passo che abbiamo compiuto verso il successo è stato lavorare sull’economia circolare, darne una definizione e cercare di capirla nel miglior modo possibile. È in continua evoluzione e attualmente comprendiamo solo una piccola parte di quello che è realmente.
Ma per capire la natura e la mutazione sistemica dell’economia circolare dobbiamo tenere conto delle materie prime, dei cicli biologici, della tecnologia, del settore terziario e di quello bancario: comprende tutto. Inoltre, è fondamentale capire che l’economia circolare è sistemica.
Una volta che abbiamo definito cos’è l’economia circolare abbiamo dovuto rendere pubblica l’idea. Per questo negli anni abbiamo presentato otto rapporti e tre libri sull’economia circolare. Il primo rapporto, presentato al Forum economico mondiale del 2012, era focalizzato sulla circolarità media-complessa su un periodo compreso tra uno e dieci anni. Il totale del potenziale economico, stimato nel 2005, era pari a 600 miliardi di dollari. I numeri erano grandi, nonostante fossero riferiti al solo riciclo del 25% dei materiali componenti i prodotti all’anno. Ma il rapporto è stato una rivelazione e ha fatto sì che la gente cominciasse ad aprire gli occhi e a essere più consapevole dell’esistenza di una reale opportunità.
Nel gennaio 2013 poi, siamo andati avanti con un secondo rapporto, incentrato sui Fmcg (Fast-moving consumer goods), i beni di largo consumo, e abbiamo scoperto un potenziale economico di 700 miliardi di dollari nel mercato globale, non così difficile da raggiungere perché il ciclo produttivo dei beni a largo consumo è molto più veloce. Abbiamo guardato gli elementi biologici contenuti nei rifiuti alimentari e le confezioni di plastica come materiali con un alto potenziale. Con il secondo rapporto siamo stati invitati al Forum economico mondiale (Wef) di Davos (siamo al terzo anno di partnership col Wef). Nel terzo rapporto – realizzato insieme al Wef – abbiamo studiato come la global supply chain e la catena del valore possono diventare circolari. Abbiamo avuto un impatto sull’economia globale.”
Da allora come vi siete evoluti? Rivoluzionare l’economia globale, bisogna ammetterlo, non è un compito da poco.
“Quando abbiamo lanciato la fondazione abbiamo stabilito di occuparci di tre settori cruciali.
Primo: lavorare direttamente con le aziende, studiando come potrebbero diventare più circolari. E , all’inizio sapevamo molto poco di questo percorso, avevamo solo una vaga idea di come potesse apparire il successo. In secondo luogo volevamo approfondirne l’analisi, comprendere la razionalità economica. Infine, volevamo studiare le opportunità per l’economia circolare derivanti dalla formazione. Io insisto molto su questo aspetto, proprio perché formiamo dirigenti.
Bisogna andare oltre la semplice pubblicazione di articoli economici: noi mostriamo il valore educativo dell’economia circolare. Portiamo avanti questo progetto educativo per creare business leader veramente ‘circolari’ e allo stesso tempo per offrire un punto di vista che sia d’ispirazione, cosicché le persone vedano che la nostra economia può funzionare in un modo diverso. Ciò vale specialmente per i giovani, che sono ancora in una fase della loro vita in cui le idee si radicano. Abbiamo feedback fantastici da loro, perché all’improvviso c’è così tanto da fare, e più lo facciamo – e più lo facciamo velocemente – più abbiamo possibilità di avere una potente economia ricostitutiva e rigenerativa. Speriamo che, in futuro, arrivi una generazione circolare.”
Come si evolverà il vostro lavoro?
“Credo che la fondazione continuerà a lavorare sulla formazione, a collaborare col mondo del business, con le città e con il governo, a lavorare sulla comunicazione e sulle pubblicazioni, accelerando le idee e promuovendo iniziative sistemiche. Secondo la nostra visione continueremo a focalizzarci su queste cinque aree e a spingere più forte possibile, come abbiamo sempre fatto, come squadra. Ora lavoriamo in molti luoghi: abbiamo persone in Brasile, negli Stati Uniti, qui in Gran Bretagna, in Europa. Abbiamo un team a Bruxelles, in India e in Cina, che osservano gli studi economici e danno vita a iniziative. Il nostro lavoro sta accelerando molto rapidamente, sta diventando globale a una velocità mozzafiato che solo tre anni fa non avrei neanche potuto immaginare. Solo per portare avanti queste cinque cose a livello globale, con la stessa modalità applicata con successo dal Forum economico mondiale, abbiamo ancora molta strada da fare. È tutto così complesso che è impossibile dire a che punto saremo tra dieci anni.”
Il vostro è l’osservatorio più sofisticato e globale sull’argomento. In quali luoghi l’economia circolare si sta maggiormente radicando?
“È più avanti in Europa. Ci sono elementi che si stanno sviluppando in molti paesi, ma pensando che si tratta di un cambiamento sistemico, direi che si sta maggiormente evolvendo in Europa. Oltreoceano il mercato sta cominciando a prendere l’avvio: abbiamo un team in Usa e portiamo avanti confronti incredibilmente positivi, abbiamo partner globali negli Stati Uniti. E anche i mercati emergenti hanno un enorme potenziale nell’economia circolare. Nel mondo occidentale abbiamo costruito il sistema lineare, abbiamo una produzione lineare, un pensiero lineare, una progettazione lineare, è difficile uscirne. Nei mercati emergenti si può sfuggire a questo. Se si costruisce da zero, andare direttamente all’economia circolare ha molto più senso e crea un enorme vantaggio.”
Come state promuovendo le idee dell’economia circolare nelle economie in via di sviluppo? La fondazione ha provato a influenzare le agenzie di cooperazione e sviluppo per fare in modo che creino un ponte tra questi modelli?
“Abbiamo avuto molti colloqui, con organizzazioni come la Banca Mondiale, l’Asian Development Bank e naturalmente il Forum economico mondiale, così come incontri informali con leader economici mondiali. Stiamo puntando in particolare sull’Africa e sul suo potenziale di sviluppo: ci sono molti dibattiti in corso sui benefici dell’economia circolare e in quel continente ci sono tante opportunità. Una volta che ci si rende conto di quanto grande sia questa opportunità, subito si costruisce un modello ricostitutivo, che fa in modo di mantenere i prodotti e i materiali al loro massimo valore. Non si tratta di fare un po’ meno peggio ogni anno, ma ricostruire un modello diverso con un grande potenziale economico. Certo sarà una sfida, ci sono molti ostacoli sul percorso.”
L’Ue ha appena approvato un Pacchetto sull’economia circolare, che contiene una serie di politiche per incentivare l’industria a sviluppare modelli di business basati sull’economia circolare. Pensa che servano politiche più ambiziose di queste?
“Questo fa parte del processo. Sappiamo ancora così poco dell’economia circolare. Come nella politica, cercare di fare la cosa giusta è davvero incredibilmente difficile, perché l’ultima cosa che si vuole è attuare qualcosa con le migliori intenzioni per poi scoprire che genera l’effetto contrario. L’economia circolare è correlata alle politiche, non le prescrive. Quindi le politiche possono aiutare, ma non necessariamente devono definire esattamente cosa bisogna fare. Si tratterà di imparare dagli errori, ne sono sicura, ma ciò che è stato incredibilmente positivo è che la Commissione europea ha cambiato obiettivo, passando dalla semplice gestione dei rifiuti a un vero Pacchetto sull’economia circolare, con un cambiamento sistemico e il lancio, nell’estate scorsa, di una consultazione pubblica, cosa che ha fatto la differenza.
Io penso che il Pacchetto sia stato un inizio di grande successo. Guardate ai feedback venuti dal business, da città e regioni che hanno lavorato su questo per molti anni, che tornano alla Commissione dopo il primo Pacchetto, dicendo che dobbiamo realizzare l’economia circolare, non solo occuparci della gestione dei rifiuti. Penso che abbiamo una reale opportunità di creare una legislazione innovativa: entrambe le parti vogliono creare l’economia circolare.”
Qual è il paese europeo leader in questo campo?
“Di sicuro si sta facendo molto in Olanda. Qui negli ultimi dieci anni si è lavorato parecchio con il governo e la cittadinanza. Nei Paesi Bassi hanno un atteggiamento un po’ diverso, molto aperto. Inoltre, alcune difficoltà che hanno avuto legate alla geografia e alla limitatezza del territorio sono sicuramente un motivo per cui il pensiero circolare è stato diffusamente accettato. Ci sono alcuni esempi sorprendenti di processi industriali. Ma ci sono nicchie in posti inaspettati. Abbiamo lavorato, per esempio, con la città di Phoenix o con Barcellona, luoghi in cui il pensiero è veramente proiettato al futuro.”
Come possono una città o una regione diventare leader di un’economia circolare?
“Bisogna coinvolgere tutte le parti in causa. Creare un cambiamento sistemico non è facile perché non lo si può fare da soli, bisogna farlo con molti altri partner. Per riuscirci è necessario riunire tutti intorno a un tavolo.”
Molti temono che il modello circolare abbia un impatto negativo sull’occupazione. Cosa dice la vostra ricerca?
“Quando abbiamo effettuato lo studio sull’Europa, all’inizio della consultazione pubblica per il Pacchetto circolare, abbiamo lavorato specificamente con il German Employment Economic Group, cercando in particolare di capire quale influenza avrebbe avuto l’economia circolare sul mondo del lavoro. Ci sarà un aumento o un calo dell’occupazione? I risultati hanno mostrato che – molto probabilmente – ci sarà un impatto positivo. Effettivamente l’occupazione potrebbe diminuire nell’industria della lavorazione delle materie prime, ma aumentare in quella della rilavorazione e nei servizi. Prendiamo Airbnb come esempio di economia circolare: enormi hotel si costruiscono in tutto il mondo – chiaramente seguendo un modello lineare – quando improvvisamente arriva Airbnb e dimostra che c’è un sacco di spazio inutilizzato all’interno degli edifici, che può invece essere usato. E attraverso la rivoluzione digitale dell’IT sblocca spazi precedentemente non disponibili, quasi introvabili. Improvvisamente abbiamo questa visibilità all’interno degli spazi ancora liberi dell’economia globale. Si potrebbe trattare di materiali di riserva, attrezzature di riserva, qualsiasi cosa: di colpo tutto può essere connesso. E questo crea posti di lavoro. È il momento ideale per l’economia circolare perché abbiamo la tecnologia informatica che facilita la realizzazione di tutto ciò. Cinque anni fa non avremmo potuto predire che effetto avrebbe avuto la rivoluzione digitale sull’occupazione, tutto a un tratto l’economia informale, la condivisione e l’economia circolare stanno svelando delle opportunità.”
Come cambierà il commercio con l’economia circolare?
“Nell’impresa tradizionale si acquista il prodotto e lo si vende, e poi lo si rivende in caso di vendita al dettaglio. Fine dalla storia. Questo cambierebbe perché i clienti non possiederanno i materiali, li useranno solo per un po’ di tempo. Per l’azienda quell’attrezzatura sarà ‘a casa di qualcun altro’ per un po’. In realtà per il settore finanziario questo sarà un cambiamento enorme. Le società finanziarie stanno cercando di capire come un business che ha adottato un modello circolare sbloccherà un maggiore potenziale economico e stabilirà il suo modello di gestione del fatturato. È fondamentale che il settore finanziario capisca la differenza tra lineare e circolare.”
La Fondazione compie molti studi. Collabora con tanti centri di ricerca?
“Abbiamo 14 partnership con le università, per supportare l’insegnamento e la ricerca sull’economia circolare: dalla London University all’Università Bocconi di Milano.
Stiamo vedendo un crescente interesse nelle partnership di ricerca. I professori vogliono essere coinvolti, vedono l’opportunità, vogliono capire l’economia circolare più in profondità. Ci sono molti modelli da comprendere, le conseguenze della loro adozione, prendiamo Uber o Airbnb come esempi. Faremo le cose diversamente, creeremo l’opportunità di avere veicoli di riserva, edifici di riserva, per rilavorare tutto, e dobbiamo trovare un modo per utilizzarli, per trarre beneficio da questi processi. Stiamo realizzando un’immagine di cos’è l’economia circolare: più completa sarà l’immagine, più facile sarà per altre aziende, città, regioni entrare nello spazio circolare.”
Come è successo che una navigatrice da record sia diventata l’icona dell’economia circolare?
“È stata una cosa assolutamente inaspettata; non avrei mai immaginato di farlo. Tutto ciò che volevo fare da quando avevo quattro anni era navigare in barca, e ho passato tutto il mio tempo libero pensando alla navigazione. Per anni ho risparmiato i soldi che avevo per la scuola per potermi comprare una barca, ho lasciato la scuola a 17 anni per diventare un’istruttrice di navigazione, a 18 anni ho pianificato il mio giro del mondo in solitaria. Tutto era navigazione, stare sul mare, trovare uno sponsor, uscire e stare sull’acqua, e io lo amavo più di ogni altra cosa. Anche oggi lo amo come sempre, essere sul mare per me è una vera calamita. Non c’era assolutamente nessun motivo per smettere, dovrei essere ancora lì a farlo. Ma qualcosa mi ha fatto smettere. È incredibilmente difficile andare per mare. Immagini di stare per partire oggi dall’Italia per circumnavigare il mondo, senza soste, porterebbe tutto quello che è necessario alla sua sopravvivenza. Tutto. Ha una barca, il suo piccolo mondo, e mette tutto lì sopra, per sopravvivere tre mesi, o quattro o cinque, a seconda di quanto è veloce la barca. Ora quando parte, è tutto lì. Il suo collegamento con la terraferma finisce, e si prepara a essere in mare per l’intera durata del viaggio. Se esaurisce qualcosa non ce n’è più, non può fermarsi a comprarne ancora, nell’oceano aperto si è a 2.500 miglia dalla città più vicina, a cinque giorni di distanza dal luogo di arrivo della tappa e da qualunque altra cosa: si è davvero isolati e si sviluppa davvero un altro modo di pensare. Ci si abitua e ci si predispone in una modalità diversa. E improvvisamente – durante il secondo giro del mondo – ho pensato che la nostra economia non è tanto diversa dalla barca, visto che abbiamo un mondo con risorse limitate. Anche se in barca quando finisco il mio viaggio torno indietro, mi rifornisco e riparto. Mentre noi non possiamo farlo, non abbiamo altre risorse.
E questo all’improvviso mi ha colpito, non sapevo niente dell’economia circolare, ovviamente non avevo mai sentito neanche il termine, non ci avevo mai pensato. Questo è ciò che mi ha portato a cercare di capire l’economia globale. Ho cominciato a leggere tutti i libri che potevo, ho incontrato esperti, scienziati, economisti, educatori, cercando di capire. Se l’attuale modello che utilizziamo non funziona, quale può funzionare? E inizialmente si punta sul ‘dobbiamo usare meno, dobbiamo viaggiare meno’. Ma poi ci si rende conto che tutto questo è essenziale, dobbiamo assolutamente essere attentissimi a quello che usiamo ora, perché le nostre risorse non sono infinite. Non si tratta di educare tutti i giovani del mondo, dicendo loro ‘dobbiamo usare tutto un po’ meno’. Si sa che non funziona, perché abbiamo dei desideri. E allora si comincia a pensare ‘allora cosa funziona?’. E improvvisamente si scopre che se cambiamo il sistema, possiamo recuperare tutti i materiali, possiamo usare la progettazione biomimetica, condividere modelli economici – il che porta all’utilizzo estremo dei prodotti – e utilizzare un’economia di performance in cui si potrebbe fare la stessa cosa con prodotti più complessi. Di colpo si vede che il pensiero sistemico può cambiare tutto. Ed è il viaggio personale che ho intrapreso che mi ha fatto realizzare che il sistema non funziona, l’economia lineare non funziona sul lungo termine. Ecco come ho cominciato a pensare, da sola sulla mia barca, a una nuova economia, in grado di essere ricostitutiva e rigenerativa, per ricostruire il capitale naturale, che fondamentalmente si è degradato dall’inizio della Rivoluzione industriale. E ora il viaggio è iniziato!”
Pubblicazioni Ellen MacArthur, www.ellenmacarthurfoundation.org/publications
Ellen MacArthur Foundation, www.ellenmacarthurfoundation.org