Il mercato sarebbe quello degli animali da compagnia. Funziona, dicono, perché – questo è vero – il maialino (anche il maialone, per molti aspetti) è un animale che ci piace. E ai bambini, quei rari bambini che riescono a incontrare un maialino in campagna, piace sempre moltissimo. Il progetto nasce da un intervento sul gene della crescita operato su una specie di maiale asiatico, il Bama, che è già di taglia piccola, sebbene si tratti di un animale intorno ai 35 chilogrammi. Bloccando il gene della crescita, come dicevo, si sono ottenuti degli esemplari del peso di circa 15 chili. E questi si sono fatti accoppiare con femmine normali, diciamo così, del tipo Bama. La prole che ne è uscita, com’era prevedibile, si è divisa in modelli large e in modelli small. A questo punto fanno sesso solo gli small e via, raggiunto l’obiettivo.
Non sono mancate critiche. Quelle etiche e culturali: perché fare esperimenti genetici per soddisfare il nostro disneyano desiderio di animalità? Non è che il disneysmo sia da condannare, ma si dovrebbe essere in grado di separare quei bellissimi elefanti blu topazio dei cartoni animati da progetti industriali nei quali si fa fare sesso a rane Blue Arrows con elefantesse nane, ovvero di solo due tonnellate (che se poi acquisiscono l’attitudine al salto, la cosa si fa spessa).
Dietro a questa riflessione ce ne sta pure un’altra. La genetica è uno strumento dalle grandi potenzialità, positive: una tecnica che può, fra l’altro, ottenere risultati notevoli mettendo da parte quel bricolage selvaggio (quanti sono al corrente di questo aspetto?) che gli umani hanno praticato per millenni. Le pannocchie di granoturco – ce lo raccontano le tracce fossili – erano lunghe tre centimetri. E quanti sanno che il bassotto, il levriero, il pastore bergamasco e il San Bernardo, non sono specie diverse ma tutte più o meno “inventate” dall’uomo a partire dal lupo? Ma è del tutto evidente, e comprensibile, che se con la genetica ci spostiamo sul mercato dei gadget viventi, ecco che le diffidenze aumenteranno.
Infine, ci sono anche le critiche di tipo tecnico, in merito al maialino. È più piccolo, ma resta un maiale. Sappiamo tutti che la storia dell’indole zozzona del porcello è completamente falsa. Gli hanno sempre dato, per secoli, da mangiare spazzatura e l’hanno sempre tenuto nel fango ma perché faceva comodo, e lui/lei hanno accettato pazientemente, essendo, invece, soggetti intelligenti che apprezzano – eccome – dei pastoni ben cucinati. Però il maiale è notoriamente un animale molto attivo con le zampe e con il muso, dotato di una dentatura un po’ disordinata ma potente. Un animale pieno di curiosità esplorative. Questo per dire che anche stando sui 15 chili, il piccolo Bama – che non è ancora uscito dai laboratori del Bgi – tenuto in appartamento, potrebbe creare disastri in tutti i settori dell’arredamento, cavi, panni stesi, scarpe, piante, impedendo ogni tradizione a partire dall’albero di Natale. Sappiamo come è finita la moda dei coniglietti, con la loro passione per i fili elettrici. Una sciocchezza a confronto delle potenzialità dei mini-Bama. Quindi: un sacco di maialini abbandonati qua e là. Forse è bene che la nostra rivista già fin d’ora si preoccupi di trovare forme di recupero di questi maialini…