Ogni essere vivente è il frutto d’interrelazioni, soggette all’influenza del contesto e, a loro volta, capaci di influire sull’ambiente naturale e sociale. Siamo sistemi aperti con dinamiche circolari al proprio interno, inseriti in un ecosistema terrestre che ha le medesime caratteristiche. La circolarità ci appartiene come esseri viventi e dunque quando la interrompiamo generiamo un problema a livello di sistema.
In questo scenario, la prospettiva che offre il cibo è un punto di osservazione privilegiato per andare alla scoperta delle proprietà e delle potenzialità del pensare circolare. Il cibo è il tramite attraverso cui inizia il processo circolare di metabolizzazione della materia nel corpo umano e la sua consequenziale trasformazione in energia per la vita. Flussi d’informazioni caratterizzano i meccanismi circolari di feedback che danno origine e sono il motore dell’evoluzione della specie. Il cibo è unità base di connessione, e costituisce un campo prioritario per la sperimentazione di un nuovo modo di intendere la produzione e la fruizione di beni, un nuovo approccio alla materia prima e allo scarto, un nuovo paradigma di costruzione di relazioni economiche e sociali integrate e positive per tutti.
Partire dal cibo per sviluppare un nuovo modello di economia vuol dire riportare l’attenzione alle comunità, alla qualità delle relazioni e alla sostanza dei comportamenti. Perché il cibo è un agente strutturante dei territori in quanto è ancora connesso alla verità dei bisogni. Non significa occuparsi solo di ciò che ci tiene in vita, al contrario significa esplorare territori complessi che attengono alla socialità, alla comunità, all’identità, alla spiritualità di ciascun essere umano, a qualunque latitudine e di qualunque estrazione sociale e culturale.
L’economia lineare ed estrattiva, basata sulla massimizzazione del profitto e sulla continua erosione dei costi, imperniata sul concetto di rifiuto e scarto, ha lentamente ma inesorabilmente colonizzato il nostro immaginario e il nostro pensiero, omologando sempre più spesso i nostri processi mentali a quelli produttivi. Questo fenomeno è ancora più evidente nell’ambito del cibo, dove le pratiche proposte si scontrano con scenari produttivi che continuano a porre le persone e le risorse primarie in una condizione di sfruttamento e dove un’omologazione diffusa, basata principalmente sulle regole rapaci dell’economia finanziaria, genera impatti negativi sul capitale naturale, sociale e culturale del pianeta. È necessario rilevare a questo proposito che rispettare il pianeta vuol dire in primis avere cura di noi stessi e dare l’opportunità agli ecosistemi futuri di fruire di quanto rimetteremo alla loro gestione.
La nostra quotidiana gratificazione deve quindi porsi dei limiti per rimanere nei confini planetari e sociali di un sistema che non dobbiamo distogliere dal suo equilibrio dinamico.
Per questo è necessario sviluppare nuove alleanze per condividere valori e obiettivi, per porre un freno all’uso irrazionale delle risorse e per provare a ricucire un tessuto sociale che deve essere assieme il punto di partenza e il volano principale del cambiamento che auspichiamo. Perché l’economia la fanno le persone, e un modello che depaupera le risorse naturali va per forza di cose di pari passo con lo sfruttamento del lavoro, con l’iniquità nella distribuzione del reddito e con la marginalizzazione degli interessi comunitari e sociali. In sostanza, non possiamo fare distinzioni tra la crisi ambientale e la crisi sociale a cui assistiamo. Non c’è un problema di risorse planetarie da un lato e uno di equità sociale globale dall’altro. Le due questioni sono intimamente interconnesse e integrate, e come tali vanno affrontate. Non c’è ambientalismo senza lotta alla povertà e non c’è promozione sociale senza ecologia.
Oggi è necessario sviluppare questo dialogo, ripensando e ridisegnando un’economia rigenerativa, circolare, attenta a preservare il sapere che possiamo attingere da quella straordinaria biblioteca che è il pianeta. Pensare per sistemi è la condizione necessaria per comprendere come le parti s’influenzano a vicenda, come possiamo passare da un modello di competizione a uno di collaborazione tra gli attori di uno stesso sistema, come il concetto circolare non possa essere ridotto a una mera definizione di “economia del rifiuto”. Non sprechiamo l’occasione di cambiare paradigma, ne abbiamo un disperato quanto urgente bisogno.
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