L’acqua è il miglior esempio di circolarità in natura. Chiunque ricorda con chiarezza i diagrammi che raccontavano il ciclo dell’acqua sui libri di biologia delle scuole secondarie. Innevamento, pioggia, tributari, laghi, mari, evaporazione, nutrimento delle piante, fonte di vita per gli animali, materia fondamentale per lo sviluppo economico e sociale dell’uomo. In un ciclo continuo di passaggi di stato e mutazioni ontologiche.
Un ciclo perfetto con una geografia complessa, che incrocia una scala globale (l’acqua è un bene sovranazionale, che circola ininterrottamente) e una scala regionale a-territoriale (i bacini idrici non si fermano ai confini amministrativi o nazionali).
Ed è proprio geografica la questione odierna che interessa l’acqua come bene essenziale per l’uomo.
Geografia politica e geografia fisica spesso si scontrano, non collimano. Un fiume finisce al confine di uno Stato? Può un Comune gestire autonomamente a monte l’acqua senza badare alle necessità del Comune a valle? Le falde inquinate in uno Stato, ma sono bevute in un altro, sono una responsabilità inerente chi? Chi paga per questo? Soprattutto: di chi è l’acqua?
Oggi un numero sempre maggiore di persone si contendono l’acqua, un bene che sta diventando prezioso.
La disponibilità di questo bene oggi è a rischio e richiede uno sforzo per reintegrare e ripristinare il suo ciclo, un tempo perfetto, che le attività umane, l’agricoltura, la cementificazione e una crescita demografica hanno alterato sostanzialmente, impattando ecosistemi, falde, qualità dell’acqua, limitandone il diritto all’accesso per animali e persone. La sfida del cambiamento climatico e la risalita di oltre tre miliardi di persone lungo la catena alimentare e sociale (più carne, più consumi) rende questo momento critico per futuro dell’approvvigionamento idrico. Se non si trovano soluzioni innovative di economia circolare per questo bene prezioso, la domanda globale di acqua al 2030 potrebbe superare del 40% l’offerta. Con conseguenze facili da immaginare: guerre per averne il controllo, crisi alimentari, peggioramento delle condizioni di igiene.
In vari paesi europei, da sempre ricchi d’acqua, la situazione che si profila è inquietante.
A incidere sulla disponibilità di acqua saranno per primi i cambiamenti climatici che determineranno in Europa – secondo uno studio del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) – una diminuzione dell’innevamento medio e un incremento dei fenomeni piovosi di grande intensità.
“Gli impatti derivanti dal clima – spiega Alessandro Russo, Presidente di Gruppo Cap, una delle principali aziende pubbliche italiane – comportano sempre più spesso un elevato stress sugli impianti di depurazione, e anche un prelievo importante da falde e rete idrica, con un andamento discontinuo del riempimento dei bacini”.
Mentre il consumo di acqua resterà elevato, visto il peso del settore agricolo. Maglia nera, in particolare, per l’Italia: secondo il libro Eating Planet, del Barilla Center for Food and Nutrition, il nostro paese con oltre 5.000 litri pro capite è il secondo consumatore d’acqua del Vecchio Continente.
Per gli osservatori più acuti la questione oggi è completamente fuori dai radar dei player di settore: attori amministrativi, tecnici pubblici, aziende private di gestione delle acque, municipalizzate, addetti alla sicurezza del territorio.
“Ci sono troppi attori frammentari e non coordinati – spiega Rosario Lembo, presidente del Comitato italiano contratto mondiale sull’acqua – che non si parlano e non collaborano. E soprattutto non capiscono che l’acqua è un diritto fondamentale”. Pochi hanno capito il valore dell’oro blu, tranne alcune imprese private che da tempo hanno intuito il valore strategico delle sue riserve. Solo pochi paesi hanno una strategia di sicurezza nazionale legata all’acqua: tra questi Israele, da sempre all’avanguardia nella gestione delle risorse idriche.
Italia, il sistema idrico imperfetto
In Italia, dopo i referendum per rendere l’acqua risorsa pubblica, tutto è tornato alla calma. Nessuna riforma del sistema di gestione delle acque, nessun piano di water-resilience. Persino i comitati sono rimasti attenti al proprio cortile e nulla più.
Con il risultato che la gestione del ciclo dell’acqua nel nostro paese rimane un caos, tra sovrapposizioni, ingerenze, scarsa integrazione di sistema e mancanza di piani a lungo termine legati all’adattamento al climate change. Troppi attori: ci sono le Province (che passeranno a breve i dossier alle Regioni), la Protezione e il genio civile (che ha il compito di sorveglianza degli argini e la gestione emergenze in caso alluvione o contaminazioni di larga scala) e l’Agenzia Interregionale per il fiume Po (Aipo) che si occupa degli interventi sulle opere idrauliche di prima, seconda e terza categoria sul bacino del Po.
Poi c’è il complesso reticolo dei consorzi di bonifica, enti di diritto che curano l’esercizio e la manutenzione delle opere pubbliche di bonifica e controllano l’attività dei privati sul territorio di competenza, il cosiddetto comprensorio di bonifica. Si occupano della sicurezza idraulica e della gestione delle acque destinate all’irrigazione e alla tutela del patrimonio ambientale e agricolo. Sovrapponendosi così con le Regioni e in parte con l’Aipo. Vanno poi aggiunte le società per l’acqua potabile pubbliche per il servizio idrico integrato, che include captazione, la gestione della falda, potabilizzazione, distribuzione, collettamento, e la depurazione finale.
Una vera matassa da sbrogliare per ottimizzare la gestione e rendere di nuovo circolare il flusso, senza dispersioni, contaminazioni e sprechi energetici e ambientali.
Basta però andare in Germania per capire che le soluzioni ci sono e sono economiche. “Nell’area della Ruhr, una legislazione speciale ha creato le associazioni di gestione acque: ne sono membri municipi e imprese. In questo modo le decisioni sono prese a larga scala, in maniera strategica”, spiega Simone Raskob, vicesindaco della città di Essen, che può vantare una public utility per l’acqua, la Stadtwerke Essen, vecchia 145 anni. “La responsabilità per un’intera regione fa sì che gli investimenti siano più efficienti da un punto di vista economico. Inoltre possono essere portati avanti una serie di benchmarking projects in modo da permettere ai decision makers di scegliere i migliori”. A Essen viene usato un approccio olistico e integrato. Per anni le acque di fogna, quelle piovane e gli scarichi dei lavandini sono stati gestiti in maniera separata. Grazie a un investimento di 4,5 miliardi di euro nella regione (490 milioni di euro solo nell’area municipale di Essen) la Emscher Conversion per la gestione idrica della regione è diventato uno dei più grandi progetti infrastrutturali in Europa, destinato a diventare un esempio per tutte le città europee in termini di gestione integrata delle acque. Entro il 2027 infatti l’Emscher avrà raggiunto il più alto standard ecologico di gestione ambientale delle acque secondo la EU Water Framework Directive. Acqua di grande qualità, a costi minimi.
Lombardia, l’Italia che cambia
La Lombardia è il ground zero italiano per comprendere la questione idrica e la necessità di una gestione del ciclo dell’acqua attraverso una governance a scala di bacino idrico. Da un lato serve più acqua per l’agricoltura e per la popolazione che aumenta. Simultaneamente crescono gli effetti metereologici di grande intensità, come dimostrato dalle numerose bombe d’acqua e conseguenti piene dei bacini fluviali, mentre cala l’innevamento e il conseguente apporto idrico legato allo scioglimento delle nevi. Questo preoccupa i gestori dell’acqua potabile, visto che le cosiddette “bombe d’acqua” finiscono sempre più spesso in fogna in grandi quantità, con il risultato di un sovraccarico nei depuratori. E i rischi aumentano.
C’è poi una questione particolare. “A Milano le acque di falda – spiega Alessandro Russo – hanno raggiunto dei livelli record. Di fatto sotto la città c’è un vero e proprio lago”.
Le rilevazioni piezometriche mensili, che permettono di approfondire la dinamica della circolazione idrica sotterranea, hanno mostrato come negli anni della grande industrializzazione – tra i ’50 e i ’60 – importanti imprese come la Falk pompavano grosse quantità d’acqua. Alla fine degli anni ’80 la falda è tornata a salire. Da sei metri, oggi è salita fino a soli quattro metri dalla superficie. Con conseguenze importanti su infrastrutture: metro, cantine, garage, spesso costretti a pompare acqua con le idrovore per evitare allagamenti.
Un ulteriore problema che si va profilando sono le acque di risulta provenienti da impianti di scambio termico. Per intenderci l’acqua distillata, cioè completamente priva di impurità, che esce da condizionatori e scambiatori di calore. Quest’acqua finisce anch’essa in fognatura, mentre “potrebbe entrare tranquillamente in ambiente essendo acqua pura – spiega Michele Falcone, direttore generale del Gruppo Cap – invece che gravare ulteriormente i depuratori, già ampliamente stressati”.
Soluzioni: verso un approccio multiscalare, multidisciplinare e circolare
Una prima risposta integrata al problema della frammentazione di competenze e la mancanza di una visione olistica sul sistema idrico arriverà il 4 luglio a Milano con la conferenza internazionale, organizzata da Gruppo Cap, dove esperti dalle utilities italiane ed europee si confronteranno sulle migliori soluzioni per le aree metropolitane e i bacini idrici.
Obiettivo è comprendere come gestire il rapporto tra fenomeni metereologici, acque di risulta dagli scambi termici e l’uso cogente di acqua di falda e raccolta per ridurre sprechi, sovraccarico della depurazione, preservando una qualità dell’acqua elevata ed evitando competizione e sovrapposizione sulla gestione della risorsa idraulica.
Gruppo Cap presenterà innanzitutto due proposte.
La prima consiste in un progetto di ricerca, portato avanti dalla facoltà di Agraria dell’Università Statale di Milano per mappare il reticolo secondario del bacino lombardo. La Lombardia oggi ha un reticolo idrografico meno articolato di quello che alimentava la provincia nel Quattrocento. Furono i monaci cistercensi di Chiaravalle e di Morimondo nel 12° secolo a reinventare nella Bassa milanese i coltivi, i prati a marcita, l’allevamento e la lavorazione della lana e l’intricato complesso che li alimentava. Seguirono i Visconti e gli Sforza, che completarono il lavoro dei cistercensi con il reticolo del Naviglio Pavese, e le sue infinite rogge, il Naviglio Grande (usato per trasportare i marmi del Duomo di Milano), e infine il Naviglio della Martesana che Francesco Sforza volle per arricchire l’area e per controllare il flusso della linea di displuvio della Brianza (le acque piovane discendenti dalle zone collinari), con un sistema di raccolta più razionale regolata tramite un sistema di rogge alimentate da bocche di portata controllata. In questo modo oltre 25.000 ettari di terreno, spesso inondato, e centinaia di risorgive furono recuperate e messe a frutto.
Un reticolo intricato e smart che potrebbe tornare in vita con lo scopo di “governare con ragione” le acque del territorio. “Stiamo lavorando con il consorzio del Villoresi per recuperare il tessuto del reticolo secondario dell’area sud e nord-ovest, che include reticoli, rogge, canali cistercensi, vecchi fontanili e chiuse”, spiega Falcone. “Noi vogliamo vedere e studiare la fattibilità di verificare la possibilità di una volanizzazione (la volanizzazione è la resa volatile dell’acqua, ovvero la suddivisione del carico affinché sia assorbita meglio dal reticolo, ndr) diffusa, non localizzata, partendo dai dati geografici e idrografici della pianura milanese”.
In questo modo, ripristinando centinaia – forse migliaia – di chilometri di reticolo, si potrebbero recuperare importanti quantità d’acqua, sia dall’innalzamento di falda sia da rovesci, che potrebbero essere usati per sostenere l’irrigazione – in crisi a causa del climate change e delle siccità prolungate – migliorando la qualità della depurazione (e i consumi correlati).
Migliaia di ettolitri d’acqua rimessa in circolo. Insieme a un buon impatto ambientale. “Ricreare ambienti fluviali o umidi ha anche l’effetto positivo di ricreare habitat per molti animali, come gli aironi o le garzette. E anche per le piante, quali la tifa (Typha latifolia), la fragmite (Phragmites).”
L’altro ambito di studio – che può essere fonte di ispirazione in tutta Europa – è l’integrazione tra i livelli di gestione. “Il sistema idraulico della città deve essere ripensato a livello metropolitano adattando una visione olistica” dice Alessandro Russo. “Per questo dobbiamo capire quali sono i sistemi virtuosi. All’estero l’attività della bonifica idraulica è assegnata a istituzioni che si occupano anche del servizio idrico, cioè si occupano dell’acqua potabile che va poi in fogna e poi depurata. Quando la fognatura interagisce con il reticolo e quindi con la difesa idraulica e il tema dissesto idrogeologico, si capisce subito che non possiamo frazionarci tra mille enti. Noi abbiamo chiesto al legislatore di concederci di avere in tariffa le opere di sistemazione idraulica del territorio. Saremmo pronti subito ad agire. Ma per ora rimane tutto frammentato.” Altro che economia circolare.
Come iniziare? Innanzitutto mettendo insieme partecipate e consorzi di bonifica. Come racconteranno i sindaci di Barcellona, Rotterdam ed Essen al convegno organizzato da Cap occorre studiare le best practices estere per massimizzare i risultati, prestando attenzione alle soluzioni di contesto. D’altronde buoni esempi ci sono già in Italia e Europa… Si tratta per una volta di copiare e adattare al proprio contesto.
Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici, www.cmcc.it/it/
Barilla Center for Food & Nutrition, Eating Planet. Cibo e sostenibilità: costruire il nostro futuro, Edizioni Ambiente 2016; www.edizioniambiente.it/libri/1106/eating-planet/
Comitato italiano contratto mondiale sull’acqua, contrattoacqua.it/
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