Tra i regni animali, il gruppo più vario di organismi è sicuramente quello degli insetti, che annovera al suo interno oltre un milione di specie (cifra che potrebbe arrivare fino a 10 milioni secondo la Royal Entomological Society). Oltre a svolgere un ruolo essenziale per i vari ecosistemi terrestri, gli insetti vengono ormai impiegati anche nei processi di produzione, esercitando, tra le varie cose, una funzione fondamentale nella lotta contro lo spreco alimentare.
È il caso delle mosche soldato, protagoniste del progetto Flies4Value, promosso dall'Università di Modena e di Reggio Emilia e sostenuto da Confconsumatori.
La vocazione circolare delle mosche soldato
La mosca soldato è un insetto originario del continente americano, della zona neotropicale, e diffusosi nel tempo a livello globale. Da mezzo secolo è presente anche in Italia.
La caratteristica che rende le mosche soldato cruciali nella lotta contro lo spreco alimentare è il loro regime dietetico. Le larve di questo insetto sono infatti saprofaghe, ovvero si nutrono di materia organica, animale o vegetale, in avanzato stato di decomposizione.
Il progetto Flies4Value (cofinanziato dalla Regione Emilia Romagna tramite il POR FESR 2014-2020 e dal Fondo di Sviluppo e Coesione) utilizza proprio questo particolare tipo di insetto per valorizzare gli scarti dell'industria agroalimentare e ottenere, come prodotto finale, mangimi per le galline ovaiole e altre sostanze di alta qualità per il settore agoralimentare.
Ne parla nel dettaglio a Materia Rinnovabile la Dottoressa Lara Maistrello, Professore Associato in Entomologia Generale ed Applicata presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, che ha guidato il gruppo di lavoro che ha sviluppato la ricerca.
“Si è trattato di un progetto transdisciplinare, poiché è andato a toccare un ampio range di discipline – spiega Maistrello – L’obiettivo finale era dimostrare la fattibilità di un processo che partiva da sottoprodotti della filiera agroalimentare dell’Emilia Romagna, sia vegetale sia lattiero-casearia, per ottenere un mangime per galline ovaiole in modo tale da sostituire parte della componente proteica e lipidica dell’attuale mangime con la farina prodotta a partire dalle larve di mosca soldato. La frazione proteica utilizzata fino a questo momento deriva infatti dalla soia d’importazione, proveniente da Brasile, Argentina e Stati Uniti.”
Chiudere il cerchio: dagli scarti agricoli alla farina di larve
Si tratta di un processo completamente circolare. Le aziende partner - Molini Pivetti, Macè e Mutti - hanno fornito rispettivamente crusca, scarti di verdura e scarti di lavorazione del pomodoro. Per quest’ultimo, trattandosi di un prodotto stagionale ed essenziale per ottenere la pigmentazione tipica del tuorlo d’uovo, è stato necessario individuare delle tecnologie di stabilizzazione per avere una disponibilità costante del prodotto.
Essendo un progetto completo, dopo aver individuato un mix nutritivo ottimale per le larve e un habitat ideale – che trattandosi di un insetto tropicale deve essere intorno ai 27 °C – è stato necessario determinare il modo migliore per sopprimere gli insetti in modo da riuscire a mantenere la maggior parte delle sostanze nutritive ottenute dagli scarti. Lo step successivo è l’essicatura, necessaria per la produzione della farina, utilizzata per intero nella produzione del mangime.
Le analisi finali per controllare i parametri di qualità delle uova hanno determinato che le galline ovaiole, nutrite con un mangime composto anche da farina di larva, risultavano avere il tuorlo più rosso rispetto alle uova deposte dal gruppo di controllo, nutrito con il mangime classico.
In tutto questo processo “non si butta via nulla – continua Maistrello – Siamo partiti dagli scarti, poi le larve ci hanno fornito un prodotto ad alto valore aggiunto, cioè questo mangime con una pigmentazione naturale, e in più il frass, i residui biologici e i rimanenti della muta delle larve, lo abbiamo utilizzato per altri scopi. Può essere infatti impiegato in ambito agronomico come fertilizzante, ad esempio nella coltivazione della lattuga. Inoltre, sono in corso delle prove anche sulle colture di bietola. Si tratta comunque di un prodotto in via di definizione ma che dimostra la completa circolarità del progetto, dove nulla viene buttato, ma tutto viene riutilizzato.”
Circolarità tra territorio e consumatori
“Abbiamo fatto anche una valutazione della vocazione territoriale – spiega ancora Lara Maistrello – scoprendo che l’Emilia Romagna si presta particolarmente bene per il potenziale sviluppo di questa filiera, essendo ricca di aziende che producono scarti e di allevamenti di galline ovaiole. Tra tutte, la provincia più adatta è quella di Piacenza.”
L’ultimo step è consistito nel sottoporre a 600 consumatori un questionario che ha restituito risultati molto incoraggianti: quando si spiega che la farina di larve rende il processo di produzione più sostenibile e locale, molte persone si dichiarano favorevoli all’utilizzo di questo nuovo prodotto.
Il progetto ha avuto un notevole successo, come dimostrato anche dall’ampia partecipazione al convegno finale che ha avuto luogo il 15 febbraio 2022 presso il Tecnopolo di Reggio Emilia. Un passo verso una filiera agroalimentare sempre più circolare, e che vuole imitare i processi della natura, dove non ci sono scarti e ogni cosa è risorsa.
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