Alimentata dalla domanda europea, l’industria della gomma sarebbe responsabile di una massiccia opera di deforestazione nell’Africa centro-occidentale quantificata in 520 km2 dal 2000 ad oggi. Lo rivela un rapporto diffuso dalla Ong Global Witness. Il fenomeno impatta gravemente sull’ambiente e sulla vita della popolazione locale anche a causa dell’assenza di adeguate iniziative di legge a livello continentale. “Il settore della gomma è una minaccia per la terra, i mezzi di sussistenza e i diritti delle comunità locali e sta distruggendo un fondamentale bacino di assorbimento del carbonio”, spiega una nota dell’organizzazione.
I numeri del report di Global Witness
La ricerca di Global Witness punta il dito sulla riconversione del suolo per lo sviluppo delle piantagioni di alberi della gomma. Questa operazione, che comporta la distruzione delle foreste originarie, ha interessato in modo particolare sei Paesi: Camerun, Gabon, Liberia, Nigeria, Costa d’Avorio e Ghana. Analizzando i dati satellitari e le informazioni sulle concessioni, gli autori hanno potuto quantificare per la prima volta il peso della domanda europea nella crescita del settore ottenendo numeri sorprendenti.
“L’Unione Europea importa il 30% di tutta la gomma spedita dai principali produttori africani, per un valore 12 volte superiore alle sue importazioni di olio di palma dalla stessa regione”, si legge nello studio. Inoltre, “la domanda è in aumento: il settore è cresciuto del 9% nel 2021 e si prevede che il suo giro d’affari possa salire di un terzo entro il 2030″.
La Ong, nell’occasione, ha evidenziato l’impatto di questo mercato contestando alcune stime diffuse da uno studio del 2019 ripreso da una delle principali organizzazioni di settore: la European Tyre & Rubber Manufacturers Association (ETRMA). Secondo l’associazione del comparto, gli acquisti europei di gomma, zucchero, caffè e cacao rappresenterebbero tutti insieme meno del 5% dei prodotti legati alla deforestazione importati nel Vecchio Continente. Nel caso della gomma, tuttavia, il calcolo tiene conto solo della materia prima grezza e non dei prodotti finiti – a cominciare dagli pneumatici – acquisiti ogni anno.
Tre multinazionali della gomma nel mirino
Le piantagioni di gomma prese in esame da Global Witness appartengono quasi esclusivamente a tre grandi multinazionali: le società Olam e Halcyon Agri, con sede a Singapore, e la belga Socfin, una public company quotata alla borsa del Lussemburgo. Le tre aziende sono fornitrici di alcuni dei maggiori produttori europei di pneumatici come Michelin e Continental.
“Queste aziende non vendono solo nel mercato UE ma sono finanziate da alcune delle più grandi banche europee”, prosegue lo studio. “Tra il 2016 e il 2020, Olam ha stipulato accordi di credito per oltre 1 miliardo di dollari (882 milioni di euro) con Rabobank e 768 milioni di dollari (677 milioni di euro) con BNP Paribas. Nel 2020, Deutsche Bank ha fornito un prestito “di sostenibilità” del valore massimo di 75 milioni di dollari (66 milioni di euro) a Halcyon Agri”.
Sono proprio questi movimenti finanziari a evidenziare le carenze della regolamentazione europea. Il progetto di legge per la tutela delle foreste allo studio della UE, infatti, non vieta alle banche continentali di finanziare i gestori della piantagioni e non limita gli acquisti di gomma legata alla deforestazione o al degrado forestale.
Le norme UE non convincono
Alla base del mancato divieto c’è la contestata esclusione della gomma dall’elenco dei settori coperti dalla normativa. La legge, che dovrebbe essere approvata alla fine di quest’anno, vieta infatti gli acquisti di prodotti legati alla deforestazione limitatamente ad alcuni comparti tra cui olio di palma, carne bovina e soia.
Lo scorso anno, non a caso, gli eurodeputati Verdi hanno contestato l’efficacia delle norme pensate dalla Commissione europea criticando l’assenza di controllo per alcuni prodotti critici (oltre alla gomma è escluso anche il mais) e la mancata tutela di altri ecosistemi essenziali diversi dalle foreste ma non per questo meno importanti come le savane, le zone umide e le torbiere.
Le aziende, inoltre, non sarebbero obbligate a verificare se le materie prime che utilizzano siano legate a violazioni dei diritti umani. Si stima che le importazioni europee contribuiscano al 16% della deforestazione tropicale legata alle attività agroindustriali e commerciali.
Foreste tropicali decisive nella mitigazione climatica
Oltre ad alimentare la povertà e l’insicurezza dei residenti, che stanno perdendo l’accesso alla terra, rileva la Ong, la distruzione delle foreste nell’Africa centro-occidentale impatta negativamente sul cambiamento climatico. Questi ecosistemi, infatti, offrono un grande contributo alla riduzione delle emissioni assorbendo ogni anno una quantità di CO2 tre volte superiore all’ammontare rilasciato dalla Francia.
Secondo i più recenti dati della FAO, tra il 2000 e il 2018 l’Africa ha perso 49 milioni di ettari di aree forestali, confermandosi come la seconda regione più colpita dopo il Sudamerica (68 milioni). Nel periodo in esame il 90% del disboscamento globale ha riguardato le foreste tropicali che, in totale, hanno subito la distruzione di 157 milioni di ettari di territorio. Un’area grande quanto l’Europa occidentale.
Immagine: Markus Spiske (Unsplash)