C’è la Biennale d’Arte, quella di Architettura e adesso quella dello Scarto. È un’idea di Rodolfo Lacquaniti, artista e bioarchitetto toscano, che dopo un primo esperimento digitale nel 2018 diventa tangibile con un’edizione diffusa nella Maremma grossetana.
La Biennale dello Scarto 2022/2024 è una mostra di arte contemporanea a cielo aperto, in bilico fra i linguaggi della land art e quelli del ready-made, dove la materia prima non è prodotta, bensì recuperata. Materiale sottratto alla discarica – e prima ancora ai garage, alle soffitte e ai magazzini dimenticati di fabbriche, aziende e privati cittadini – che si trasforma in scultura e installazione artistica.
Un progetto animato da una coscienza ecologica vera e collettiva, genuino nell’idea e monumentale nella resa, che la Regione Toscana ha abbracciato per valorizzare il paesaggio naturale-urbano di Grosseto e di Castiglione della Pescaia. Iniziativa che proseguirà in direzione di Cinigiano nel 2023 (per convivere con la singolare bioarchitettura del Monastero di Siloe) e di Firenze nel 2024.
Sostenibile veramente: un’arte più onesta
Tutto inizia a Venezia durante la Biennale d’Arte del 2017. All’interno del padiglione di Israele ai Giardini, Lacquaniti ha un’epifania. Se uno degli obiettivi dell’arte del nostro tempo è sensibilizzare sui temi critici, la maggior parte degli artisti a noi contemporanei agisce curandosi più dell’impatto visivo ed emotivo rispetto a quello ambientale.
Perché sì, anche la realizzazione di un’opera d’arte ha un impatto sull’ambiente. E, a rifletterci bene, più che di realizzazione a volte si dovrebbe parlare di vera e propria produzione.
Opere, installazioni e talvolta intere exhibition, infatti, spesso passano da una catena di produzione lunga e articolata, più simile a una industriale che non artigianale.
Pensiamo alle grandi installazioni luminose o meccaniche e ai relativi consumi energetici, all’impiego massiccio e allo smaltimento di vernici, acrilici, acidi e resine. Alle creazioni che prevedono pratiche di imbalsamazione, tassidermia e a volte l’uso di formaldeide o ai consumi del nascente mercato degli Nft. Quante opere si avvalgono di materia vergine e quante invece usano plastiche e supporti riciclati? Cosa accade alle installazioni temporanee e ai materiali dell’allestimento una volta conclusa una mostra? Cosa c’è di circolare nel business dell’arte, delle mostre blockbuster e delle ormai odiate/amate experience itineranti?
Alla pari di altre attività umane, anche l’arte può inquinare. E molti degli artisti che sposano l’idea ecologista talvolta finiscono per creare opere fortemente impattanti.
Osservando le contraddizioni della Biennale del 2017, Rodolfo Lacquaniti ha quindi un’idea: creare una mostra veramente sostenibile per proporre un’arte più onesta, portavoce sincera del messaggio ambientalista.
L’anno dopo nasce così la Biennale dello Scarto, mostra virtuale e a impatto zero. Attraverso fotomontaggi visionari e sperimentazioni video, le opere dell’artista toscano sono state “teletrasportate” in varie capitali e luoghi del mondo. Sculture e assemblaggi, realizzati mettendo insieme scarti da ogni dove, hanno rapidamente fatto il giro del mondo: da Berlino a New York, da Città del Vaticano a Bombay, passando per Parigi, Barcellona, Matera, Hong Kong, Londra e Il Cairo, fino ai ghiacciai della Groenlandia e alle foreste dell’Amazzonia.
La Balena di Rodolfo Lacquaniti, Giardino Viaggio di Ritorno. Foto di Stefano Biliotti
L’energia circolare, gli scarti e gli scartati
È nel 2022, dopo lo stop imposto dalla pandemia, che la Biennale ritorna. Non più come nomade digitale in località esotiche, ma come edizione fisica in dialogo con i paesaggi della Maremma toscana. Il titolo – L’energia circolare, gli scarti e gli scartati – ribadisce la vocazione del 2018. Partendo dal presupposto che l’economia circolare si fonda sui principi del prestito, del riutilizzo e del ricondizionamento dei materiali, la mostra manda un messaggio semplice: “Tutti possono dire e fare qualcosa per contribuire a salvare la Terra”.
Con un percorso che prende il via dal Giardino Viaggio di Ritorno (parco di arte ambientale e contemporanea fra cipressi e ulivi, nonché casa dell’artista), l’esposizione prosegue lungo dieci tappe fra il centro storico di Grosseto e la provincia di Castiglione della Pescaia.
I protagonisti sono loro: gli scarti e gli scartati. Soggetti atipici, di forma e aspetto non convenzionale, nati dall’incontro improbabile di oggetti pescati dal fondo del barile, dalla discarica, dal cumulo di oggetti dimenticati da qualcuno. Dai soggetti religiosi a quelli mitici e letterari, dalla raffigurazione di dame e cavalieri, a quella di animali e strutture geometriche.
In questo modo in cima alle mura di Grosseto, come sulla sommità di un formicaio, primeggiano tre formiche giganti fatte di tubolari in ferro, gommoni, tubi da irrigazione in plastica arrotolati, elmetti dismessi del corpo dei Vigili del Fuoco, reti metalliche e vecchi neon anni Settanta.
Lì accanto, ispirata alla Ragazza sulla palla di Picasso, una figura femminile fatta di scarti agricoli e post industriali rimane in equilibrio su un serbatoio di gasolio della Seconda guerra mondiale.
Per le vie della città ci si imbatte in un cavallo e il suo cavaliere, ricavati da piastre in acciaio, lamiere in ferro e cerchioni di ruote di trattore. Seguiti più avanti dai celebri Sancio Panza e Don Chisciotte, accompagnati dai loro destrieri. E un Cristo dalle braccia aperte, proprio davanti al Duomo.
Dal Giardino Viaggio di Ritorno fino a Castiglione della Pescaia, passando anche dalla riserva naturale Diaccia Botrona, ci si imbatte in personaggi e creature portatori di significati altri, da balene giganti di lamiera all’Arca di Noè, da argonauti di un futuro post-apocalittico ad angeli e demoni cyberpunk di un mondo senza verde. Un viaggio – un’esperienza artistica immersiva – per entrare in simbiosi con la natura e riflettere sulle derive dell’economia (e dell’arte) lineare.
Perché, come dice Lacquaniti, “l’anima dell’umanità è disintegrata, impaurita e confusa, non ha l’energia per porre rimedio a tanti anni di distacco tra l’uomo e il mondo che lo ospita. Non possiamo rimanere immobili”. La cultura allora può indicare una via, e aiutarci a sviluppare una nuova coscienza ecologica.
Arca di Noè di Rodolfo Lacquaniti, Giardino Viaggio di Ritorno. Foto di Stefano Biliotti
Bioarchitettura toscana, dai monasteri alle cantine
Se le opere fra Grosseto e Castiglione della Pescaia rimarranno esposte fino alla fine di novembre e di dicembre 2022, “L’energia circolare, gli scarti e gli scartati” proseguirà nel 2023 con un’installazione negli spazi del complesso monastico di Siloe, per poi concludersi a Firenze nel 2024 con un evento finale non ancora svelato.
Il Monastero di Siloe, progettato dall’architetto Edoardo Milesi fra le vallate di Poggio del Sasso, è un esempio eccellente di bioarchitettura nato su iniziativa privata dell’omonimo ordine monastico. Realizzato principalmente in legno, assieme a pietra, rame, vetro, ferro e calcestruzzo armato, l’intero complesso è stato edificato con tecniche scelte per garantire la massima permeabilità e il minimo spreco energetico.
In linea con i principi della bioedilizia, dal rispetto per il paesaggio all’integrazione delle attività umane con le necessità dell’ecosistema, questo monastero è un caso esemplare di architettura sostenibile. Con un’impiantistica ridotta al minimo per limitare i campi elettromagnetici e una cisterna sotterranea restituita al luogo mediante un impianto di fitodepurazione, il complesso di edifici di Siloe è autosufficiente, discreto e non invasivo del contesto naturale. Il tutto mantenendo un’identità architettonica ben definita, dall’estetica essenziale ma ricercata, ereditata dalle piante medievali dei monasteri cistercensi.
A meno di quattro chilometri di distanza, lo stesso studio di architettura ha dato vita a una struttura gemella, la Cantina di ColleMassari, inserita fra i vigneti seguendo gli stessi criteri. Un’anima di calcestruzzo foderata, internamente ed esternamente, di legno di cedro del Libano, in grado di assorbire l’umidità e schermare i venti a valle. Intorno pannelli solari e fotovoltaici (per un’autosufficienza del 60%), una cisterna naturale per l’irrigazione e un sistema di raccolta delle acque piovane reimpiegate per la produzione del vino (100% biologica certificata).
Pur con scopi differenti, la Cantina e il Monastero nascono entrambi per coesistere per il paesaggio maremmano, proteggere e rinvigorire le coltivazioni e valorizzare il territorio.
Architetture simbolo destinate a fare scuola, insieme agli scarti di Lacquaniti, anche oltre i confini della Toscana.
Immagine: Stefano Biliotti