Un PIL da 128 miliardi di dollari all’anno. L’area metropolitana di Philadelphia, la città USA dove nel 1776 venne firmata la Dichiarazione di Indipendenza, è una vera e propria potenza economica nel Paese con la maggior impronta carbonica del mondo. Così, per capire come smuovere l’inerzia in uno dei regni dell’economia lineare, Materia Rinnovabile ha intervistato Nic Esposito, co-fondatore di Circular Philadelphia, iniziativa nata nel 2021 e che già conta tra i suoi membri oltre 70 individui e 30 organizzazioni. Quale sarà la ricetta del cambiamento dall’altra parte dell’Atlantico?
Prima di Circular Philadelphia, lei lavorava per il governo locale. Di cosa si occupava?
Quattro anni fa ero il direttore del programma Zero Waste and Litter per la città di Philadelphia. Facevamo già parte del C40 Cities Climate Leadership Group, ma quando è iniziata l'amministrazione Kenney, che è l'attuale sindaco, volevamo davvero trasformare l'obiettivo rifiuti zero in realtà. C'era un enorme problema con la spazzatura nelle strade. Eravamo la Roma degli Stati Uniti, però senza tutti i manufatti e le opere d'arte dell'Impero Romano. Ci siamo quindi chiesti: come possiamo realizzare un'iniziativa che raggiunga l'obiettivo a lungo termine di zero rifiuti, ma che abbia un impatto immediato? Abbiamo iniziato a mettere in pratica l'idea del contratto sociale. Come governo, abbiamo cercato di creare le condizioni giuste per i residenti e le imprese. In tre anni e mezzo abbiamo ottenuto grandi successi, uno dei quali si è appena concretizzato e dà un esempio della nostra strategia a lungo termine. Il compostaggio è meglio farlo a livello locale, giusto? Tuttavia, all'epoca, lo stato della Pennsylvania non concedeva permessi per attività di questo tipo in contesti urbani. Abbiamo così messo in piedi un progetto di osservazione, un'iniziativa portata avanti con un'azienda di compostaggio locale per acquisire un sito all’interno di un parco come dimostrazione della fattibilità del futuro permesso, che ieri hanno finalmente ottenuto.
Cosa è successo dopo?
Purtroppo una parte della storia è che l'amministrazione Kenney, durante la pandemia, ha preso alcune decisioni sbagliate e a breve termine, come quella di cancellare il programma Zero Waste and Litter. Così, alla fine, ho lasciato l'amministrazione comunale nel giugno 2020. Potevo rimanere, ma ero pronto ad andarmene. Volevo capire come cambiare le cose nel settore privato.
Ho parlato del C40 Cities Climate Leadership Group perché la loro assistenza ha aiutato molto il nostro governo a fissare l'obiettivo "zero rifiuti": ciò significa chiudere gli inceneritori e le discariche, che qui sono davvero un grosso problema. In quegli anni ho lavorato con alcuni gruppi, come C40 e Waste2Resources Network. Uno dei nostri viaggi di studio ci ha portato a Milano. Siamo andati da AMSA e abbiamo visto le operazioni di compostaggio e i loro centri di raccolta. Abbiamo anche visitato CONAI e le strutture della città di Rotterdam. Insomma, ero sempre più connesso con questo mondo. Ho lavorato con l'economista Kate Raworth, autrice di L’economia della ciambella. Così, quando sono uscito dall'amministrazione comunale, una mia vecchia collega, Samantha Wittchen, mi ha contattato ed era entusiasta dei progressi fatti dalla città. Mi ha detto: "Questa iniziativa era così importante. Non può morire. Dobbiamo continuare a mettere in pratica l’economia circolare a Philadelphia. Fondiamo un'associazione senza scopo di lucro". Ed è così che è nata Circular Philadelphia.
Di cosa si occupa Circular Philadelphia?
La nostra missione principale è quella di riunire i singoli cittadini, i consumatori e le persone che vogliono attuare la transizione con le imprese, i partner governativi e i partner istituzionali come i sistemi ospedalieri, le università e il mondo accademico. Vogliamo avere una prospettiva ampia di ciò che è la circolarità. Ma ci piace anche adottare un approccio molto pratico. In primo luogo, abbiamo definito alcuni settori in cui pensiamo di poter avere un impatto importante: i sistemi alimentari, l’edilizia e il tessile. Nel corso del tempo, ascoltando i nostri membri, abbiamo aggiunto anche una quarta iniziativa nella nostra area d'intervento: i lotti inutilizzati. Siamo stati una grande città industriale, almeno fino agli anni Settanta, quando tutto è stato delocalizzato. Abbiamo perso più posti di lavoro nel settore manifatturiero dell'intera popolazione di Pittsburgh e questo ha creato 40.000 lotti sfitti, il che è pazzesco. Ci siamo chiesti: come possiamo sfruttare questo spazio libero? Come possiamo ricostruire Philadelphia in modo circolare?
E qual è la vostra strategia?
Per tutte le nostre iniziative, la nostra teoria del cambiamento prevede che si parta dall’attuazione di politiche, norme e pratiche “circolari”, se serve smantellando quelle che frenano le cose. Così, una volta cambiate le premesse, il campo da gioco è livellato e le imprese veramente all’avanguardia in ottica di sostenibilità possono competere con quelle convenzionali, di norma già sovvenzionate dall’attuale sistema. Solo a quel punto si passa all'educazione e alla sensibilizzazione, per far capire a un numero sufficiente di persone che questi cambiamenti vanno a loro vantaggio e che possono usufruirne. Solo diffondendo questo tipo di consapevolezza si inizia a trasformare il mercato.
Avete recentemente pubblicato il vostro primo rapporto annuale. Su quali tipi di attività vi siete concentrati?
Durante la pandemia, ognuno ha cercato di sostenere il proprio ristorante preferito, visto che non si poteva mangiare in casa. Tutti ordinavano cibo d’asporto, con tutti gli imballaggi e recipienti di plastica usa e getta che ne conseguono. Un gruppo di ristoranti, che ora è membro di Circular Philadelphia, chiamato Tiffin Indian Food, ha creato un sistema di deposito cauzionale di contenitori riutilizzabili per il suo ristorante nel marzo del 2021. Hanno avuto molto successo. In un mese sono passati da 1000 a 8000 contenitori. Ecco quanto la gente voleva cambiare. Dopo poche settimane, il nostro Dipartimento della Salute ha fatto però un’ispezione e li ha fatti chiudere. C'era una vecchia legge che diceva che non si potevano usare i recipienti riutilizzabili. Così abbiamo lavorato con il Dipartimento e abbiamo cambiato la norma. E non solo è meglio per l'ambiente, ma è un enorme risparmio economico. Un recipiente riutilizzabile che si può usare 1000 volte costa 5 dollari, mentre la stessa quantità di usa e getta costa circa 250 dollari.
E per quanto riguarda l'edilizia?
Stiamo cercando di adottare un'ordinanza sul riciclo dei materiali da costruzione e demolizione. E ancora una volta, più la legge è complicata, più è necessario prima riuscire a semplificarla. Se si costruisce una casa a Philadelphia, si deve già indicare chi si occupa dello smaltimento dei rifiuti. Ma nessuno lo fa, quindi non sappiamo come e in che quantità i rifiuti lascino i siti. Così, abbiamo effettuato alcune ricerche per il governo locale. A Philadelphia ci sono infatti cinque stabilimenti in cui si riciclano i rifiuti da costruzione o demolizione, che sono molti per una singola città. Stiamo cercando di far approvare una nuova legge: i proprietari dovranno portare i rifiuti in uno di questi luoghi, ottenendo una ricevuta che dovranno mostrare alla chiusura dei lavori. Quando si costruisce un edificio, per ottenere il certificato di occupazione, di solito si fanno ispezioni elettriche o idrauliche. Questa sarebbe solo un'altra ispezione per verificare che i rifiuti siano stati portati nei luoghi autorizzati. In caso contrario nessun certificato, salvo pagare una penale.
Philadelphia è tristemente nota anche per i problemi sociali. Come si incoraggia il senso di comunità?
Abbiamo realizzato un'iniziativa chiamata "Caccia al tesoro circolare". Abbiamo chiesto alle persone di andare in giro per il proprio quartiere per identificare e riconoscere le attività commerciali di Philadelphia che da anni utilizzano tecniche circolari in modo equo: officine di riparazione, negozi di seconda mano e negozi che vendono prodotti sfusi. In questo modo raccogliamo informazioni su queste attività e possiamo mettere in evidenza i loro sforzi.
È vero, la nostra è una città a basso reddito. D'altra parte, però, molte invenzioni derivano dal fatto di non avere molti soldi. A Philadelphia ci sono molte persone che usano già i negozi dell'usato e che riparano i loro elettrodomestici invece di comprarne di nuovi. Dobbiamo riconoscere queste persone e dire: "Sei parte dell'economia circolare, unisciti a noi. Non importa se sei ricco, povero, giovane, vecchio, nero, bianco, istruito o meno".
Nic, lei conosce il mondo e il mondo dell'economia circolare. In termini di investimenti, cosa si dovrebbe fare negli Stati Uniti?
Molte persone hanno criticato Joe Biden perché troppo anziano. Eppure, Joe Biden è abbastanza vecchio da ricordare che ciò che ha fatto progredire il nostro Paese sono stati gli investimenti pubblici nel settore privato. Penso ai pannelli solari, a Internet e ad altre cose che sono nate dall'innovazione della nostra Marina. È un'impresa far galleggiare una città in mare, quindi c'era bisogno di un sacco di soluzioni tecniche che oggi vengono utilizzate per progredire nella sostenibilità. Dobbiamo prendere quei soldi e investirli nel settore privato. Credo che l'America sia sempre stata brava in questo.
Una sorta di New Deal, come durante la Grande Depressione? È un modello che può ancora funzionare?
Esattamente. L'Inflation Reduction Act, con i suoi 500 miliardi di dollari, è probabilmente il più grande provvedimento legislativo mai visto al mondo in materia di clima. La parte più importante è rappresentata dagli investimenti e dal denaro messo a disposizione del settore privato. Ora, speriamo di riuscire a fare ancora meglio e di imparare dagli europei - ma lo stesso vale per la Cina e per Paesi come il Giappone - ad avere una regolamentazione rigorosa. Dobbiamo smettere di guardare solo al profitto a breve termine, cambiando la "dottrina" economica di Reagan del cosiddetto trickle down e dello sviluppo pubblico di un’economia basata solamente sull’offerta. Mi emoziono a pensare quanto potremmo realizzare qui negli Stati Uniti a livello federale.
E dal livello federale in su? Voglio dire, miliardi di persone guardano quello che succede nel vostro Paese.
L'applicazione dell'economia circolare in questa regione è davvero interessante perché ci sono New York, New Jersey e Pennsylvania che, considerati assieme, rappresentano una parte importante dell'economia degli Stati Uniti. Poi c'è la California, che da sola è la sesta economia del mondo. Già ora, quando la California approva una legge, questa ha ripercussioni in tutto il Paese e poi in tutto il globo.
Molte persone però, soprattutto negli USA, come Donald Trump, sono contrarie alla globalizzazione e all'internazionalismo…
È vero, ci sono molti problemi con la globalizzazione - come ho detto a proposito di Philadelphia e la perdita di posti di lavoro negli anni '70 – ma ci sono anche alcuni aspetti positivi. Per esempio, l'interdipendenza commerciale impedisce di andare in guerra.
A volte credo che si debbano fare passi da gigante e aumentare l’impegno nello sviluppo di economie circolari almeno a livello regionale. Ad esempio, non può essere molto diverso andare dal New Jersey alla Pennsylvania, così come non può essere molto diverso andare dall'Ucraina alla Polonia o dall'Italia alla Francia. Penso che l'economia circolare possa contribuire a creare questa cooperazione, perché ci si affida a questi “cerchi”, che possono essere piccoli a livello locale e grandi a livello internazionale. E il trucco sta nel farli connettere tutti.
Image: Skyline from Loews December Sunset (K. Huff for PHLCVB)