Questo significa che, una volta dismessa, è completamente riciclabile nel senso che con semplici operazioni restituisce il materiale grezzo iniziale. E non è una giacca orrenda: questo è un passaggio fondamentale perché non possiamo avere circolarità che produca sofferenze.
La riflessione che si può fare su questo prodotto è anche di tipo epistemologico, ovvero il ragionare su come si producono le idee in campo scientifico e tecnologico. Detta così sembra una riflessione tostissima, ma la si può tradurre in modo più semplice. Nello sviluppo di innovazione c’è un percorso mentale – non sempre, direi tipicamente in casi importanti – che si può definire come un rovesciamento di prospettiva. Prendiamo la ruota. Qualcuno deve aver capito, magari osservando un masso che rotolava giù da una collina, che se un oggetto, un peso sarebbe meglio dire, poggia poco sul terreno, allora l’attrito è minimo e il peso si trasforma in un motore. Un masso cubico non scende dalle scarpate. La ruota funziona perché la rotondità si propone al terreno con una superficie minima.
Così come ai tempi delle pompe che estraevano l’acqua dalle miniere di carbone britanniche – accadde ai primi del 19° secolo quando, per costruire le navi dell’immensa flotta, gli alberi più alti rimasti in Gran Bretagna erano le margherite e la gente moriva di freddo – si capì che uno stantuffo a vapore che faceva il vuoto in un cilindro poteva diventare un marchingegno per muovere delle ruote.
Servalli mi ha detto che in una giacca, mediamente, ci sono oggi 25 materiali diversi. Pensare di utilizzarne uno vuol dire che si guarda a tutte le tecnologie esistenti come strumenti per produrre variazioni sullo stesso tema, come una fuga di Bach, e il tema è un singolo materiale. Questo approccio apre a un territorio di enormi proporzioni per la Ricerca e Sviluppo.
Però qui emerge una vicenda particolare, molto culturale, molto psicologica. Con la giacca monomateriale credo non vi siano problemi di accettazione. Prendiamo invece un’auto di fascia alta. Contiene pelle, tessuti pregiati, legno di radica, metalli vari, e così via. Sto parlando degli interni. Domanda: ma se si potesse lavorare un polimero in modo da trasformarlo in radica, nel suo aspetto? Oppure pensiamo agli yacht – e non necessariamente quelli dei magnati russi – nei quali troviamo orecchie di cammello, irrigidite e utilizzate come maniglie delle porte. Come andrebbero le cose?
È un tema non nuovo, che qualche decennio fa si presentò anche nel campo della produzione d’arte. È ovvio che il messaggio artistico di una scultura di Donatello è perfettamente conservato in una sua bella copia. A maggior ragione in molte produzioni di arte moderna, nelle quali una fotografia ad alta definizione ci consegna una visione perfetta, per quale ragione dovrebbe evaporare il messaggio creativo solo perché osserviamo una copia?
Invece, come si dice da tempo, una copia del pianeta non l’abbiamo, e quindi sarebbe bene trovare tutti i percorsi innovativi che possano preservare l’originale. Allora penso che si potrebbe sviluppare una ricerca di base indirizzata, senza valutare immediatamente le applicazioni, alla individuazione delle variazioni sul tema di uno stesso materiale, come dicevo prima. Molto libera e trasversale, che vada a esplorare tutte le gradazioni dal morbido al rigido – questa è la sostanza della giacca – dal ruvido al liscio, da temperature -X a +X, e così per tutte le alchimie possibili.
È la scienza dei materiali che dovrebbe impegnarsi in questa direzione. Però senza lasciar perdere tutte le altre nelle quali sta producendo risultati notevoli.
Radici Group, www.radicigroup.com/it