Portare l’eccellenza della ricerca alla fase industriale e creare un mercato europeo adeguato. Si può sintetizzare così il messaggio che arriva forte da IFIB, l’International Forum on Industrial Biotechnology and Bioeconomy che si è tenuto a Bologna dal 3 al 4 ottobre, organizzato da Cluster Spring e Innovhub-SSI, in collaborazione con Federchimica-Assobiotec. All’interno degli spazi della Fondazione Golinelli si sono riuniti oltre 200 rappresentanti della bioeconomia mondiale per fare il punto sullo sviluppo dei bioprodotti in diversi campi industriali e reclamare a gran voce politiche in grado di rendere l’Unione Europea competitiva e attrattiva per gli investimenti delle grandi multinazionali.

“Non c’è tempo da perdere”, è il grido di allarme che lanciano insieme accademia e industria. Uno degli ostacoli maggiori alla crescita della bioeconomia nel Vecchio Continente è il lungo processo di accesso al mercato dei bioprodotti. Mentre in alcune parti del mondo c’è bisogno in media di 2-5 anni, nell’UE questo periodo può estendersi fino a 10 anni, costringendo così molte imprese a spostare investimenti e relativo know-how all’estero.  

Ma non è solo questo: in Europa – ha sottolineato Josko Bobanovic, partner del Venture Capital francese Sofinnova – esiste ancora una certa resistenza verso le tecnologie di modificazione genetica, che diventa un freno culturale capace di rallentare l’adozione di innovazioni che potrebbero avere un impatto significativo sulla bioeconomia. Manca un “market pull” che spinga verso l’adozione di soluzioni innovative, mentre paesi come la Cina e gli Stati Uniti stanno creando sistemi molto favorevoli per gli investimenti, incentivando la costruzione di nuove bioraffinerie (pesa anche in maniera rilevante il costo dell’energia più alto in Europa).

“Non esiste in Europa un ecosistema per le biotecnologie industriali che coinvolga investitori, startup e grandi imprese simile a quello presente per le biotecnologie per la salute”, ha affermato Jens Nielsen, amministratore delegato del BioInnovation Institute di Danimarca. Questo, secondo lo scienziato danese, anche perché ci si è troppo concentrati sulla sostituzione dei prodotti fossili con quelli biologici invece di lavorare a nuovi innovativi bioprodotti. Eppure, non sono assenti grandi investimenti industriali: da Metsä a UPM Biochemicals, fino a Novamont e Caviro Extra esistono imprese leader nella bioeconomia circolare. Mancano ancora, però, codici ATECO specifici (la chimica tradizionale non è la chimica bio-based, fanno presente gli addetti ai lavori), sistemi di LCA (Life Cycle Assessment) che tengano conto del contributo in termini di decarbonizzazione e defossilizzazione dei bioprodotti, grandi investimenti pubblici che si possano affiancare a quelli privati, nonostante la positiva e significativa esperienza della CBE JU, la partnership pubblico-privata tra industria e Commissione europea.

IFIB si è tenuto solo alcuni giorni dopo la presentazione del Report di Mario Draghi sulla competitività dell’Europa, dove nessuno spazio – hanno lamentato in moltissimi a Bologna – è stato assegnato alla bioeconomia circolare, malgrado essa abbia ampiamente dimostrato di garantire competitività, innovazione e resilienza. Siamo di fronte a un cambio di paradigma economico che richiede un cambio di mentalità profondo. Non bastano visione e strategia ma serve un piano d’azione improntato alla concretezza. Tutto ciò investe con forza anche il sistema formativo, visto che c’è necessità di nuovi profili manageriali in grado di affrontare la complessità di un modello industriale che vive di interconnessioni settoriali, di reti logistiche e innovazione tecnologica.

Le nuove competenze da sviluppare per la bioeconomia sono state al centro di una delle tavole rotonde del Forum. Lo studio delle discipline scientifiche, come la chimica o le biotecnologie, va incoraggiato e indirizzato sempre di più all’applicazione industriale. “Le materie scientifiche vanno rese più sexy”, secondo Danilo Porro, professore all’Università di Milano Bicocca. “I ricercatori dedicano troppo poco tempo alla divulgazione delle loro scoperte e al dialogo con il pubblico e l’industria.” È fondamentale che la società partecipi in modo più attivo al processo della conoscenza per creare una maggiore cultura dell’innovazione sin dalle scuole primarie.

Insomma, da Bologna emerge che le ricette per far crescere la bioeconomia circolare e sostenibile sono note, ciò che manca è la capacità e forse la volontà da parte delle istituzioni di tradurre queste ricette in leggi concrete. Un segnale positivo in chiave italiana è arrivato comunque dalla presenza del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che ha aperto la prima giornata di IFIB.

 

Immagine: Envato