Si presenta come una granella nera, con l’odore e il colore tipico degli pneumatici da cui ha origine: è la gomma riciclata da Pfu (Pneumatici fuori uso).
E sono proprio il colore e l’odore responsabili del fatto che spesso questo materiale è percepito come qualcosa di sospetto, sporco. O addirittura pericoloso. E anche l’ambito in cui questa gomma viene – nella gran parte di casi – riutilizzata contribuisce ad alimentare dubbi sulla sua salubrità: un materiale progettato per rotolare sulla strada è idoneo a essere utilizzato come intaso nei campi da calcio?
Oggi i campi artificiali sono costituiti da tappeti di fili di erba sintetica (PE o PP) lunghi dai 5 ai 12 centimetri mantenuti in posizione verticale da un “intaso” di sabbia e granuli elastici di varia natura. Tra questi anche la gomma riciclata da Pfu. Ed è proprio la presenza della gomma da Pfu – in passato si usava unicamente sabbia – a garantire agli atleti che utilizzano il campo un maggior comfort di gioco.
Negli ultimi 15 anni di campi in erba sintetica si è parlato molto: in pubblicazioni scientifiche, in analisi bibliografiche internazionali ma anche sui media. A far nascere i primi dubbi sulla salubrità dei campi artificiali che utilizzavano gomma da Pfu furono le elevatissime temperature misurate in alcuni casi sulla loro superficie e dovute all’assenza di adeguati impianti di irrigazione e raffrescamento. È evidente che in tali condizioni si sviluppava un forte odore di gomma, tale da indurre a eseguire i primi controlli. Analisi condotte in Norvegia rilevarono su alcuni campioni – in realtà i campi esaminati erano stati solo tre – la presenza di Ipa (idrocarburi policiclici aromatici), ftalati e Pcb (policlorobifenili). E sebbene tali sostanze fossero state rilevate in concentrazioni minime e tali da non generare rischi per la salute umana, i risultati dello studio riaccesero il dibattito sulla salubrità di questi materiali e sull’opportunità del loro impiego. A questo punto per mettere meglio a fuoco la situazione, in vari paesi europei e negli stessi Usa, le autorità avviarono ulteriori indagini, effettuate su oltre 115 campi e su più di 150 campioni di intasi elastomerici. I risultati furono confortanti visto che da tutte le analisi emergeva che il rischio tossicologico nell’intaso era quantificabile a livelli inferiori al valore soglia di 1x 10-6, considerato dalla comunità scientifica “un rischio accettabile”.
Purtroppo lo studio passò per lo più inosservato, dato che si concluse solo nel 2009, ovvero a distanza di alcuni anni, quando l’attenzione dei media era scemata e rivolta ad altri temi più attuali.
I granuli di gomma riciclata da Pfu sono chiamati genericamente crumb rubber in Usa e Sbr (gomma stirene-butadiene) in Europa. In realtà non si può essere del tutto certi della provenienza dei materiali prelevati sui campi da gioco sottoposti a indagine.
Prima di tutto, infatti, non si può escludere la commistione di Pfu con altri scarti/rifiuti di gomma presso gli impianti di riciclo, pratica oggi abbandonata ma diffusa in passato. Inoltre, esiste la possibilità che granuli di gomma provenienti da altri rifiuti (per esempio frazione gomma da demolizione di veicoli, tubi freno, guarnizioni) siano venduti come Sbr pur non essendo riconducibili agli pneumatici fuori uso.
La presenza di sostanze non utilizzate per la produzione degli pneumatici e i dati anomali misurati da alcuni ricercatori su un numero limitato di campioni sembrano convalidare queste ipotesi e pongono alcuni dubbi sulla rappresentatività dei materiali analizzati in passato. Inoltre, il divieto di utilizzare oli a elevato contenuto aromatico introdotto con il regolamento Reach a partire da gennaio 2010, ha modificato la composizione delle mescole di gomma utilizzate per la produzione degli pneumatici venduti in Europa e – quindi – nel resto del mondo.
Partendo proprio da tali considerazioni, nel 2014 Ecopneus (società senza scopo di lucro principale responsabile della gestione degli pneumatici fuori uso in Italia) ha avviato una serie di studi e analisi scientifiche per determinare il grado di salubrità della gomma riciclata da Pfu e l’appropriatezza delle destinazioni d’uso di tale materiale.
Nonostante tali accertamenti andassero ben oltre gli obblighi derivanti dalla extended producer responsibility degli pneumatici, è innegabile il ruolo svolto da Ecopneus nella promozione degli impieghi di granuli e polverini di gomma. Inoltre, la gestione dei flussi di Pfu da destinare a riciclo o a recupero energetico spetta a Ecopneus che svolge quindi un importante ruolo nel mercato pur rimanendo fuori dal business.
Lo studio è durato due anni: il piano di campionamento ha permesso la caratterizzazione chimica e tossicologica della gomma riciclata da diverse tipologie di Pfu. In pratica, presso cinque impianti di riciclo sono stati classificati quasi 4.000 Pfu in base all’età e al paese di provenienza dello pneumatico. Grazie a tale operazione, supervisionata dagli auditor di Bureau Veritas, 70 campioni di granuli e polverini di provenienza nota sono stati consegnati a quattro laboratori italiani ed esteri per eseguire una caratterizzazione completa della gomma. È stato, quindi, possibile confrontare la composizione della gomma riciclata da pneumatici prodotti in Europa o in paesi extra-europei, prima e dopo il 2010.
Nel progetto un ruolo centrale è stato svolto dall’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri-IRCCS, che ha misurato il contenuto di Ipa presente nella gomma dei Pfu, ne ha valutato la biodisponibilità e quantificato i rischi associati all’esposizione dermica e inalatoria negli scenari di impiego più comuni.
Contemporaneamente, gli esperti di Waste and Chemicals hanno condotto una serie di 15 monitoraggi presso campi da calcio in erba artificiale e naturale per valutare l’esposizione agli Ipa dei lavoratori durante la posa in opera della gomma e degli atleti durante le partite di allenamento sulle diverse superfici di gioco. Analoghi monitoraggi sono stati eseguiti anche su 17 cantieri stradali durante la posa in opera di asfalti convenzionali e asfalti “gommati” ossia additivati con polverino di gomma riciclata da Pfu.
Dalle analisi condotte è emerso un quadro rassicurante che conferma l’assenza di rischi per la salute dei lavoratori e degli atleti esposti periodicamente alla gomma riciclata da Pfu, utilizzata sia come intaso nei campi sintetici sia come additivo per gli asfalti stradali. Infatti, il contenuto di Ipa nella gomma è risultato molto limitato in tutti i campioni analizzati: la somma degli otto Ipa classificati come sostanze cancerogene di categoria 1 B è compreso tra 5 e 10 ppm (1.000 ppm è il limite indicato per la classificazione Clp delle miscele come cancerogeno).
Inoltre, i test di migrazione nel sudore e surfattanti polmonari effettuati dall’Istituto Mario Negri hanno evidenziato la scarsa biodisponibilità di tali sostanze che rimangono intrappolate all’interno della gomma vulcanizzata e quindi non sono assorbite dal corpo umano, né per contatto dermico o inalazione. Sono state analizzate anche le urine di lavoratori e atleti per verificare se a seguito dell’esposizione della gomma vi fosse una variazione di concentrazione dell’idrossipirene che indicasse l’assorbimento di Ipa: anche in questo caso le analisi hanno escluso l’esposizione agli Ipa riconducibile alla gomma da Pfu.
In conclusione, i risultati di due anni di studi e ricerche permettono di definire “sicuro” l’uso di gomma riciclata da Pfu come intaso nei campi da gioco in erba artificiale e come additivo per gli asfalti stradali. La gomma riciclata da pneumatici contiene infatti quantità molto limitate di Ipa con un grado di biodisponibilità estremamente limitato. I risultati sono coerenti con le numerose pubblicazioni scientifiche degli ultimi dieci anni e rappresentano una risposta chiara e rassicurante ai dubbi sollevati in passato sulla sicurezza della gomma riciclata da Pfu.
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