Nel recente studio «Drivers and approaches to the circular economy in manufacturing firms» (Gusmerotti, Testa, Corsini, Pretner, Iraldo, 2019) dell’Institute of Management - Sant’Anna School of Advanced Studies, la ricerca su un campione di 821 aziende mostra come i fattori legati alla riduzione del rischio incidano scarsamente nelle decisioni delle aziende di adottare i principi dell’economia circolare e che, in generale, le imprese sono poco consapevoli delle opportunità che questo approccio offre. Sappiamo d’altra parte che il rischio di riduzione delle forniture e della volatilità dei prezzi delle materie prime in molti settori sta diventando un fattore cruciale di preoccupazione. Inoltre, una positiva –per quanto bassa– correlazione fra la spinta verso l’economia circolare e l’adeguamento normativo –regulatory drivers– può forse essere indice di un atteggiamento reattivo e non sufficientemente sensibile, da parte delle imprese, ai fattori di resilienza che l’economia circolare offre.
Una parte della spiegazione a tale atteggiamento “passivo” da parte delle singole aziende può essere individuata nell’asimmetria etica che affligge la nostra società (Taleb, Rischiare grosso, 2018), che l’autore lega alla perdita di sapere e competenza da un lato, e all’asimmetria fra internalizzazione dei benefici ed esternalizzazione dei costi dall’altro. La competenza, in altre parole, conta poco, i benefici sono appannaggio di pochi e i costi sono sostenuti da tutti. Da cui il dichiarato disprezzo di Taleb nei confronti di coloro che non “rischiano grosso”, in prima persona: l’antifragilità di una società è dovuta alla capacità dei suoi leader di assumere responsabilità in prima persona, e all’evoluzione di strutture sociali, politiche ed economiche che non consentano ad alcuni di “rimanere comodamente separati dalle conseguenze delle proprie azioni” (Taleb, Rischiare grosso, 2018).
Come il disprezzo della competenza frena lo sviluppo sostenibile
Esiste una dinamica infausta che associa il disprezzo per la competenza e per il sapere esperto all’asimmetria etica, dinamica che sembra minare tanto la spinta allo sviluppo sostenibile quanto la tutela dei principi di convivenza (democrazia sostanziale). Così, là dove il disprezzo della competenza e del sapere specialistico, alimentati secondo Tom Nichols (Nichols, La conoscenza e i suoi nemici, l’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia, 2018) dal “narcisistico esercizio di autorealizzazione e autonomia”, determinano un allontanamento del confronto sui contenuti, dobbiamo necessariamente fare i conti con il fatto che l’asimmetria etica - e la conseguente asimmetria informativa - implicano l’estrema difficoltà, se non l’impossibilità, di affrontare il tema dell’esternalizzazione dei costi – sociali, ambientali e, in ultima istanza, relativi al futuro – attraverso un dibattito ragionato. In questo modo il tema delle “condizioni abilitanti” diventa centrale per l’individuazione di nuovi modelli di business centrati sull’economia circolare (Lacy, Rutqvist, Lamonica, Circular Economy, dallo spreco al valore, 2016).
Da queste premesse possiamo derivare un corollario particolarmente significativo: c’è una corrispondenza a volte nascosta fra le modalità di conoscenza di chi gioca (chi è coinvolto a vario titolo nel gioco) e chi non gioca. Ne abbiamo diversi esempi. Difficilmente troveremo annoverati fra i cosiddetti “terrapiattisti” piloti di aerei civili; così, analogamente, è poco verosimile che un giocatore di basket ritenga di giocare la partita con un disco e non con una palla: palleggiare diventerebbe azione quantomeno imprevedibile. Nel dibattito, a titolo d’esempio, sulla crisi climatica e sul deterioramento delle condizioni di vita sulla Terra, difficilmente chi non gioca/non rischia si confronta sui contenuti: a proposito dell’acidificazione degli oceani e la conseguente riduzione delle condizioni necessarie alla vita di flora e fauna acquatica (da cui deriva a sua volta la riduzione di biodiversità), ciascuno riterrà le prove incontrovertibili, circostanziali oppure del tutto assenti ma, e questo è interessante, non su base cognitiva. Più facilmente le differenti posizioni avranno a che fare con motivazioni e vantaggi: chi più facilmente non ritiene plausibili le prove del cambiamento climatico spesso si trova a vivere una o più delle tre seguenti condizioni. Non è toccato direttamente dalle conseguenze del cambiamento climatico. Possiede ampie risorse, sufficienti per non doversi preoccupare di eventi inattesi, che ad ogni modo percepisce come lontani o quanto meno improbabili. Da ultimo, ritiene di trarre uno svantaggio - diretto o indiretto - dalla modificazione delle condizioni attuali verso una transizione carbon free, come l’obbligo di internalizzare i costi (per fare un semplice esempio le compensazioni CO2). Coloro che non giocano, più propriamente, giocano un altro gioco, poiché hanno un personale interesse a che il gioco rimanga lo stesso, nella misura in cui l’esternalizzazione dei costi e l’asimmetria del rischio rimangono risorse a proprio vantaggio.
Il consulente d’impresa e il gioco sistemico dell’economia circolare
Sarà dunque con questo sovrapporsi di intrecci che dovrà confrontarsi il consulente d’impresa, poiché le aziende oggi più che mai sono direttamente esposte alle conseguenze delle loro azioni, e quindi al rischio e ai costi (diretti e indiretti) delle loro scelte. Ma ciò che è nuovo in questa esposizione è che essa va inserita all’interno di un quadro sistemico. Una delle caratteristiche più interessanti dell’economia circolare, infatti, è che – a eccezione di alcuni circuiti chiusi ben circoscritti – non può essere alimentata e implementata da singoli attori. Trattandosi di un “gioco sistemico” richiede reti, connessioni, relazioni, flussi di scambio, e di conseguenza implica circuiti di retroazione (feedback), proprietà emergenti, competenze di processo e visione d’insieme. Ma come accompagnare l’impresa, nell’era dell’incertezza, oltre il tema della marginalità e degli obiettivi di trimestre? Anche al consulente d’impresa oggi è richiesto un cambiamento che lo coinvolga al livello più ampio possibile. Non un mero esercizio intellettuale, ma un vero investimento che lo metta in gioco. Alcuni spunti: la messa in rete di competenze, e di conseguenza la costituzione di “reti di competenza esperta” come proprietà emergente, meta irraggiungibile dal singolo; il coinvolgimento dei corpi intermedi, reti d’impresa, associazioni di categoria come animatori e garanti della tenuta di ampie piattaforme di scambio. La connessione con banche dati, reti dedicate e altre strutture che facilitino il reperimento di informazioni e il passaggio di conoscenza; la capacità di intercettare flussi di energia ulteriore, cioè finanziamenti, condizioni territoriali abilitanti, facilitazioni fiscali e normative ecc.
Si tratta, in definitiva, per il consulente che intende operare a livello sistemico, di rischiare uscendo dal guscio della propria sicura individualità per mettersi a disposizione di connessioni di competenze multilivello più ampie e articolate; mettersi, in definitiva, a disposizione di un gioco più ampio del quale non controlla fino in fondo né i confini né le dinamiche. Terra Institute, consapevole di questa necessità, promuove a questo fine un nuovo modo di fare esperienza: propone ai consulenti interessati all’innovazione circolare di operare in reti significative di competenza, per affrontare a livello sistemico e con successo le sfide che il futuro ci riserva.
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