Nucleare verde? Gas naturale sostenibile? Per la Commissione Europea la risposta è sì ad entrambe le domande. Nonostante la grande opposizione fatta in queste settimane da scienziati, associazioni e vari politici, il potere esecutivo dell’Unione Europea ha confermato quanto si attendeva già da varie settimane. Gas e nucleare possono essere considerati investimenti green per sostenere la decarbonizzazione dell’economia e quindi degni di essere inclusi nella tassonomia UE sui finanziamenti. Centrali nucleari e gasdotti, sebbene in maniera transitoria, saranno equiparati ad aree naturali e centrali fotovoltaiche.

Un tradimento del Green Deal

Quanto avvenuto si può considerare di fatto un tradimento del Green Deal Europeo e un semaforo verde per continuare a investire in progetti legati alle fonti fossili e nucleari. L’Europa non poteva fornire esempio migliore di greenwashing, danneggiando pesantemente chi fa investimenti davvero sostenibili.
Su
nucleare hanno provato a fare sbarramento fino all’ultimo Germania ed Austria. "L'energia nucleare non è né 'verde' né sostenibile", ha scritto mercoledì su Twitter il cancelliere austriaco Karl Nehammer. "Non riesco a capire la decisione dell'UE". Inorridite le associazioni ambientaliste, mentre gioiscono i nuovi aedi dell’atomo, che dovrebbero farsi un bel viaggio nelle regioni estrattive dell’uranio o abitare nei pressi di un deposito di stoccaggio temporaneo.
Fortissimo lo sdegno sul
gas naturale, che costituisce una sconfitta ancor più grande. Fino al 2030 si potranno finanziare nuove centrali a gas con emissioni non superiori a 270g di CO2e/kWh. Cioè qualsiasi centrale convenzionale.
Mentre il governo spagnolo ha condotto una fiera opposizione alla proposta,
l’Italia ha preferito non dire nulla sul nucleare ma ha sostenuto addirittura un ulteriore allargamento delle maglie a favore del gas.

Un danno per la finanza e la reputazione dell’Europa

Oltre ad ambientalisti e Fridays for Future, a storcere il naso sono anche le piazze affari e una bella fetta di investitori finanziari. Mentre le multinazionali del fossile stappano champagne, numerosi gestori di fondi hanno arricciato il naso. Niente commenti on the record, ma a microfoni spenti il giudizio è unanime: la Commissione ha fatto una porcata.
Ora
c’è il rischio di rallentare fondi e investimenti in rinnovabili, efficientamento energetico ed economia circolare, mormorano in tanti. Qualcuno ci mette la faccia: l'Institutional Investors Group on Climate Change (IIGCC), con oltre 370 membri che includono alcune delle più grandi istituzioni finanziarie del mondo e rappresentano 50 trilioni di euro di asset in gestione, ha ripetutamente invitato i leader dell'UE a escludere il gas dalla tassonomia, in quanto minerebbe la sua credibilità e gli impegni di zero emissioni nette dell'UE. Tra gli operatori privati più impegnati a osteggiare la proposta, c’erano firme come Mirova, Triodos, ESG Portfolio Management, Fasanara Capital e Aream. Ma nemmeno i poteri forti sono riusciti contro i signori del fossile (e la miopia e inettitudine dei conservatori europei).
Dice bene
Laurence Tubiana, CEO della European Climate Foundation: “La tassonomia dell'UE è stata concepita come uno strumento fondamentale per allineare i flussi finanziari all'accordo di Parigi. Al contrario, l'Europa sta minando la sua leadership sul clima e abbassando gli standard nell'UE e non solo. Quando un gold standard emergerà altrove, questa tassonomia verrà lasciata indietro".
Un
grave danno insomma per la finanza Europea e la reputazione della Commissione.

Ancora una speranza

Cosa si può fare, dunque? Ora la palla passa al Consiglio della UE e al Parlamento, che possono approvare o bloccare l’Atto della Commissione.
Una volta pubblicato l'atto delegato nella Gazzetta ufficiale dell'UE, il Parlamento europeo e il Consiglio dell'UE avviano un
processo di controllo che può durare fino a sei mesi. Il Consiglio può porre il veto a questo atto se almeno 20 paesi si oppongono all’adozione. Oppure il Parlamento Europeo può chiedere lo stop se almeno 353 eurodeputati lo ritengono inadatto. Se nessuna delle due istituzioni vi si oppone, l'atto delegato diventa automaticamente diritto dell'UE.
Una
speranza dunque esiste, e risiede nei rappresentati dei cittadini. L’Italia ha 73 membri del Parlamento. Seguiremo da vicino chi voterà a favore e chi contro. Il mondo finanziario alzi la voce e si faccia sentire. Così come la politica, che solo in pochi casi ha fatto davvero sentire la voce su questo importantissimo tema

In collaborazione con La Svolta

Immagine: Lukas Lehotsky (Unsplash)