Ci sono abbastanza risorse e materie prime per affrontare la transizione ecologica? Innovazione e sviluppo tecnologico sono di aiuto o possono rappresentare un ostacolo? Ci sono alternative all’high-tech? Materia Rinnovabile lo ha chiesto a Philippe Bihouix, ingegnere, autore di The Age of Low Tech: Towards a Technologically Sustainable Civilization (Bristol University Press, 2020), e vicedirettore generale di Arep, un'agenzia di architettura pluridisciplinare con oltre mille dipendenti, che opera in Francia, Europa e Asia.

Philippe Bihouix Copyright AREP Maxime Huriez light
ph Maxime Huriez (Arep)

Abbiamo a disposizione abbastanza metalli e materie prime critiche per trasformare il nostro sistema economico e raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione?

I metalli sono risorse non rinnovabili, il che significa che le "scorte", o riserve sfruttabili, sono state concentrate in milioni di anni da vari processi geologici, atmosferici e biologici. Ciò che estraiamo non è sostituibile negli orizzonti temporali della nostra civiltà.
Gli stock in gioco sono potenzialmente giganteschi e il progresso tecnologico aiuta ad accedere a un numero sempre maggiore di riserve; ecco perché finora non abbiamo affrontato la scarsità a livello globale. Secondo la definizione ufficiale, una "riserva" è una risorsa geologicamente identificata, tecnologicamente ed economicamente estraibile. Quindi ognuno di questi tre parametri aiuta a "spostare indietro i limiti": continuiamo a esplorare e scoprire nuove risorse geologiche potenziali; l'innovazione tecnologica (ad esempio l'idrometallurgia) permette di gestire e sfruttare giacimenti meno ricchi, e persino talvolta di estrarre metalli rari da antichi residui minerari; anche l'aumento dei prezzi aiuta, poiché si accede a maggiori riserve di rame con prezzi di mercato di 6000 dollari a tonnellata, rispetto a 3000.

Quindi possiamo dire che continueremo a estrarre finché sarà economicamente conveniente? Dov’è il limite?

In teoria non c'è limite. Per esempio, sfruttiamo l'oro a un tasso di 1-5 g recuperabili da una tonnellata di minerale. Per il rame sale a 5-20 kg per tonnellata, mentre per il ferro si arriva a 300-600 kg. Questo è possibile perché "accettiamo" di pagare l'oro più del rame e il rame più del ferro. Geologi ed economisti sono generalmente d'accordo: è una questione di tempo, ma l'offerta e la domanda influenzeranno il prezzo e quindi la disponibilità dei metalli.
Esiste inoltre una potenziale sfida ambientale: i giacimenti più "poveri", meno concentrati, più profondi e meno accessibili richiederanno sempre più energia, soprattutto combustibili fossili, per essere sfruttati. La decarbonizzazione - una necessità per la mitigazione del clima e l'esaurimento futuro dei giacimenti petroliferi – richiede però una quantità sempre maggiore di vari metalli, facendo entrare il nostro mondo tecnologico e industrializzato in una sorta di circolo vizioso: metalli meno accessibili che richiedono più energia, energia meno accessibile che richiede sempre più metalli.

Qual è la sua opinione sul Piano d’azione europeo per le materie prime critiche?

Sono quattro le leve attivate dall'UE per cercare di evitare la scarsità dei critical raw materials in un futuro prossimo o intermedio: sviluppare la propria industria mineraria; condurre una "diplomazia delle risorse" più attiva e diversificare le fonti di produzione; spingere l'innovazione tecnologica per passare da metalli rari a metalli più comuni (per esempio, batterie basate sul sodio invece che sul litio); spingere per un migliore riciclo.
Lo sviluppo minerario europeo sarà probabilmente relativamente marginale: i costi, i parametri ambientali, le spinte sociali probabilmente limiteranno le opportunità. La diversificazione delle fonti di approvvigionamento è invece essenziale. Tuttavia, nel lungo periodo, potrebbe non essere così semplice. Alcuni Paesi che oggi sono considerati stabili e democratici - e quindi possibili partner commerciali – potrebbero non mantenere queste caratteristiche.
L'innovazione tecnologica sarà certamente d'aiuto nell’individuare soluzioni che richiedono risorse di cui abbiamo una maggiore disponibilità., ma c'è sempre un certo lasso di tempo tra scoperte tecniche e processi ready to deploy economicamente accessibili. Le industrie devono obbedire a regole economiche come gli ammortamenti e non possono ammortizzare così facilmente gli investimenti a lungo termine.

E per quanto riguarda le azioni per il riciclo dei materiali?

Il riciclo è una leva estremamente potente. In teoria, i metalli possono essere riciclati all'infinito, senza perdere le loro caratteristiche tecniche. Ma nella realtà questo è più complesso, perché siamo entrati in un mondo high-tech. Le innovazioni ad alta tecnologia comportano forti vincoli. In primo luogo, in genere incorporano più risorse e più rare. Queste risorse potrebbero essere riciclate, ma in pratica è troppo complesso o troppo costoso; quindi, le risorse vengono letteralmente "consumate"; di fatto, disperse nelle acque e nei suoli, nei rifiuti, nelle discariche.
In secondo luogo, contiamo su soluzioni più efficienti, in grado di ridurre il consumo di energia e di risorse per fornire beni e servizi. Diventiamo più efficienti, questa è una realtà e un fattore di competitività per le aziende, soprattutto quando i prezzi diventano alti come oggi. Ma, da un lato, l'efficienza può creare consumi aggiuntivi in altri settori (ad esempio, le città intelligenti o le auto autonome richiedono reti di telecomunicazione e data center potenti); dall'altro, l'efficienza è spesso annientata dall'effetto rimbalzo, scoperto dall'economista William Stanley Jevons a metà del XIX secolo: quando diventiamo più efficienti dal punto di vista tecnico, i beni e i servizi possono costare meno, diventano economicamente più efficienti e la domanda avanza. Ogni unità consuma meno risorse, ma aumenta il numero prodotto. Questo è vero ovunque: le automobili hanno motori migliori ma sono più grandi, i motori a reazione consumano meno carburante ma prendiamo più aerei, i servizi digitali diventano più rispettosi dell'ambiente ma produciamo, trasmettiamo, immagazziniamo sempre più dati.

Cosa significa allora passare al low-tech?

È un approccio più che un'etichetta. Significa cercare di ridurre il bisogno di risorse non rinnovabili, cogliendo i benefici dell'innovazione tecnica implementando anche l'innovazione sociale, culturale, comportamentale, organizzativa. La prima leva è la sobrietà, la sufficienza: come costruire e avere meno bisogno di tutto, dagli imballaggi e dagli oggetti di uso quotidiano agli edifici e alle infrastrutture. Lo sostiene anche l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC): la sufficienza (non solo l'efficienza) è una leva potente che sarà necessaria per condurre la transizione ambientale ed energetica. Senza la sufficienza, non ce la faremo.
La seconda leva è la riparabilità: considerare tutti i nostri oggetti come stock di risorse, uscire dalla nostra economia lineare e inventare l'età della manutenzione. Questo sarà più facile se alcuni degli oggetti che usiamo diventeranno più semplici, più modulari, più facili da capire e da riparare. Da qui il low-tech.
La terza leva è il tecno-discernimento: in molti casi, gli oggetti e i sistemi high-tech sono utili (ad esempio negli ospedali); ma in molti altri, l'arricchimento tecnologico è solo una stupida trappola di marketing. Dobbiamo discutere in ogni caso la reale utilità degli oggetti che concepiamo e progettiamo.

Passando dalla teoria alla pratica, potrebbe fare qualche esempio concreto?

Possiamo costruire meno metri quadrati intensificando l'utilizzo del patrimonio edilizio già esistente. Le scuole possono accogliere associazioni e club locali; le aree sportive possono accogliere i mercati settimanali.
A proposito di design degli oggetti, un esempio legato alla crisi sanitaria: i termometri possono essere semplici termometri in vetro e alcool. Naturalmente possono rompersi se si è sfortunati. Ma con i termometri digitali, dopo qualche mese avrete sicuramente un problema: quando ne avrete bisogno, la batteria sarà esaurita, la scheda elettronica sarà corrosa dall'atmosfera umida del bagno, lo schermo smetterà di funzionare...

E la società è pronta a questa transizione?

Da secoli, esattamente da La Nuova Atlantide di Francis Bacon, l'umanità sogna la felicità universale grazie al progresso tecnologico. Ed è indiscutibile che l'applicazione delle nostre conoscenze scientifiche a tutte le attività umane abbia portato a molte persone (ma non a tutte, e questo è uno dei punti critici) abbondanza materiale, comfort, sicurezza, accesso alla medicina, cultura. Il progresso dei dispositivi e dei sistemi digitali è stato, tra l'altro, assolutamente impressionante.
Ma, in primo luogo, non è detto che oggi siamo "più felici" di qualche decennio prima. In secondo luogo, a volte sogniamo un po' troppo, o troppo in fretta. Negli anni '50 si era convinti che presto avremmo avuto, grazie all'energia nucleare gratuita, auto volanti, jet privati e vacanze sulla luna.
Oggi sogniamo di nuovo Hyperloops, città intelligenti, auto autonome e metaverso. Potremmo avere le stesse disillusioni, perché le risorse - non solo geologiche, ma anche umane, finanziarie, organizzative - sono limitate. Alcuni cambiamenti avvengono rapidamente, altri no.

A proposito di scarsità, tornando a minerali e materie prime critiche, quali sono le risorse “sorvegliate speciali”?

Il rame è un buon esempio, perché dimostra che i problemi potrebbero presentarsi anche per i "grandi" metalli industriali, e non solo per i metalli "rari" o gli elementi delle terre rare che, tra l'altro, non sono poi particolarmente rare dal punto di vista geologico.
Se guardiamo a medio termine, chi sono i "buoni" candidati alla scarsità? Ovviamente i metalli che sono piuttosto scarsi da un punto di vista geologico (platinoidi, stagno, argento...), che sono distribuiti in modo molto diseguale sul pianeta o per i quali la produzione è altamente concentrata (tungsteno, cobalto, niobio).
Ma anche metalli estremamente difficili da sostituire. È qui che troviamo il rame, insostituibile per le applicazioni elettriche, ma anche lo stagno per la saldatura, anche nell'elettronica; poi il nichel e il cromo per l'acciaio inossidabile, il tungsteno per gli utensili, il cobalto e l'argento per le applicazioni chimiche. Infine, i metalli a basso tasso di riciclo come il gallio, il germanio, l'indio, il tantalio, gli elementi delle terre rare.
In realtà, il problema della scarsità deriverà principalmente dalla crescita della domanda. A seconda delle nostre scelte, il futuro può essere molto diverso: un parco di auto da 2 tonnellate, con 800 chilometri di autonomia, utilizzerà 10 o 15 batterie (e quindi litio, cobalto, nichel o altri materiali) in più rispetto a un parco di auto da 700 chili con 200 chilometri di autonomia.

L’economia circolare ci sarà d’aiuto?

L'economia circolare è ovviamente molto importante. Se riusciamo a progredire nei tassi di riciclo, allarghiamo enormemente le prospettive a medio e lungo termine. A parità di volume necessario, un aumento del tasso di riciclo dal 50% al 90% moltiplica le riserve per un fattore 5; passare dal 90% al 99% le moltiplicherebbe ancora per un fattore 10! Naturalmente, si tratta di cifre molto teoriche e i volumi necessari non sono attualmente stabili, ma in crescita. Non c'è "smaterializzazione" o "disaccoppiamento" nelle nostre economie: per le risorse metalliche, c'è addirittura un "sovra accoppiamento"; i tassi di crescita dell'estrazione sono, da diversi decenni, superiori al tasso di crescita del PIL.
Ma la cosa più importante è prendere l'economia circolare nella sua definizione più ampia: non solo il "raccogliere e riciclare bene" gli oggetti e le risorse. È importante capire come iniettare meno nell'economia e rallentare i cicli, realizzando oggetti durevoli e riparabili.

Prima abbiamo citato il limite tecnologico, che altri limiti ci dobbiamo aspettare?

Il secondo limite è di natura socioeconomica. Le risorse non sono sufficientemente costose, mentre - almeno in Europa - il costo della manodopera è spesso proibitivo, perché la sicurezza sociale si basa principalmente su di essa. Con soli 2 o 3 euro di metalli in uno smartphone, si passa troppo tempo a smontarlo correttamente per ottimizzare i tassi di riciclaggio. Quindi viene frantumato e i materiali vengono mescolati, rendendo difficile la separazione. La riparazione dei prodotti, per lo stesso motivo, spesso non è economicamente conveniente rispetto all'acquisto di un nuovo apparecchio. Se vogliamo implementare un'economia davvero (quasi del tutto) circolare, è necessario trovare un migliore equilibrio, attraverso le politiche fiscali, tra costo delle risorse e costo del lavoro umano.

Immagine: Maksim Goncharenok (Pexels)

Scarica e leggi il numero 43 di Materia Rinnovabile sui Critical Raw Materials.