Gli obiettivi europei di riciclo dei rifiuti di plastica, in particolare degli imballaggi monouso, sembrano ancora lontani. Lo evidenzia un report della Corte dei Conti europea che, pubblicato ai primi di ottobre, avverte circa il rischio di non raggiungere i target che l’UE si è posta per il 2025 e il 2030. Ne abbiamo parlato con alcuni esperti del settore.
Dalla Strategia sulla plastica alle direttive su imballaggi e monouso: tutte le mosse dell’Europa
Vasetti dell’yogurt, bottiglie d’acqua, pellicole di protezione per la frutta. Questi e altri imballaggi monouso rappresentano il 40% della produzione di plastica e il 61% di tutti i rifiuti di plastica prodotti in Europa. A livello globale, un terzo dei rifiuti che costituiscono il marine litter sono plastiche monouso. Per far fronte a questa crisi globale la Commissione Europea ha adottato la Strategia sulla Plastica, una delle azioni legislative più ambiziose al mondo per risolvere la crisi dell’inquinamento da plastica. Uno degli obiettivi chiave della strategia è che nel 2030 tutti gli imballaggi di plastica immessi sul mercato in Europa siano riutilizzabili o possano essere riciclati in modo economicamente conveniente, contribuendo così in maniera tangibile a realizzare gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 e l’Accordo di Parigi.
Per fare questo, la Commissione ha approvato nel 2018 la Direttiva sulle plastiche monouso (SUP), che mette al bando i più comuni prodotti di plastica monouso che si ritrovano sulle spiagge europee. Ha inoltre approvato gli emendamenti alla Direttiva Imballaggi e Rifiuti degli Imballaggi che prevedono un aumento della percentuale di imballaggi di plastica che deve essere riciclata (50% al 2025 e 55% al 2030) e gli emendamenti alla Direttiva Rifiuti per rafforzare i sistemi di responsabilità estesa del produttore (EPR, Extented Producer Responsability) per coprire il costo totale della gestione dei rifiuti. Nell’ambito del programma di finanziamento H2020, la Commissione ha erogato 84,6 milioni di euro (17% del totale dei fondi erogati a marzo 2020) per progetti di ricerca per migliorare il design e la riciclabilità dei prodotti di plastica, mentre con il programma Life ha stanziato 3,4 milioni di euro per progetti dedicati alla gestione dei rifiuti, incoraggiando l’implementazione dei nuovi modelli di business e di consumo, promuovendo l’efficienza nel riuso delle risorse, e sostenendo la diffusione dei concetti di economia circolare. Nonostante questi sforzi, e le considerevoli cifre di denaro investite, un’analisi della Corte dei Conti europea rilasciata nel mese di ottobre constata che allo stato attuale è difficile che l’Europa riesca a contenere l’esplosione dei rifiuti di plastica.
Criteri di calcolo più rigidi faranno diminuire la percentuale di plastica riciclata
Il rapporto della Corte dei Conti europea si concentra sui rifiuti derivati dagli imballaggi di plastica e valuta opportunità, rischi e vuoti normativi dell’approccio adottato dalla Commissione e di come le direttive sono tradotte nelle leggi nazionali. La Corte dei Conti rileva che ci sono differenze ed errori nei sistemi di rendicontazione e nei metodi di calcolo delle percentuali di rifiuti di plastica riciclati dagli Stati Membri. C’è poca trasparenza, e le quantità totali d’imballaggi immesse sul mercato sono probabilmente sottostimate. Secondo la Corte dei Conti l’adozione di nuovi criteri più stringenti nel calcolo della percentuale di rifiuti da imballaggio riciclati previsti dagli emendamenti dalla Direttiva imballaggi e rifiuti degli imballaggi farà scendere la media europea dall’attuale 41% al 30% circa.
In Italia, secondo i bilanci di esercizio di Corepla, il tasso di riciclo per gli imballaggi di plastica era del 43,8 % nel 2018 e del 43,4% nel 2019. Luca Stramare, responsabile dei rapporti con le associazioni di Corepla, dice a Materia Rinnovabile che con i nuovi metodi di calcolo anche per l’Italia “la strada per arrivare al 55% di rifiuti di plastica riciclati sarà in salita”. Stramare spiega che al momento non è possibile stimare di quanto diminuirà la percentuale di plastica riciclata in Italia, tuttavia l’impatto dovrebbe essere minore che per altri paesi. “Con il nuovo metodo di calcolo, il punto di misura della percentuale di plastica riciclata è spostato più a valle nella catena di gestione dei rifiuti e mette in gioco la qualità della selezione dei rifiuti. Corepla ha un’ottima capacità di segregazione, e questo aiuterà perché migliore è la qualità della selezione, e minore sarà l’impatto del nuovo metodo di calcolo”.
Imballaggi di plastica in aumento: è ora di ripensare il design
Luca Stramare aggiunge che gli imballaggi di plastica monouso, così come quelli in carta, sono in aumento e non hanno ancora raggiunto il picco di utilizzo. “L’inquinamento da plastica si può risolvere se tutti fanno la loro parte. I cittadini devono fare la raccolta differenziata; le aziende dal canto loro devono migliorare il design degli imballaggi per renderli più facili da riciclare”. Fondamentale secondo Stramare, che si occupa di imballaggi da oltre 30 anni, che le aziende progettino tenendo conto il fine vita del packaging. “Devono essere garantite le esigenze tecniche, normative, economiche. Ma è necessario ripensare le esigenze di marketing” osserva, facendo l’esempio di una marca di bevande che recentemente ha sostituito le bottiglie in PET colorate con bottiglie trasparenti più facili da riciclare.
Responsabilità Estesa del Produttore: cosa manca agli schemi EPR
Uno degli aspetti su cui si sofferma l’analisi della Corte dei Conti europea è quello degli schemi di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR, Extended Producer Responsability), che hanno lo scopo di rendere i produttori responsabili dal punto di vista finanziario (e a volte anche operativo) del fine vita degli imballaggi. La Corte dei Conti rileva che gli schemi EPR sono stati adottati in maniera disomogenea negli Stati Membri dell’Unione Europea, raggiungendo livelli di efficacia diversi e non confrontabili tra loro. Inoltre, notano gli esperti, gli schemi di EPR attualmente in atto non coprono il 100% dei costi relativi al trattamento degli imballaggi di plastica immessi sul mercato, ma solo i costi relativi al trattamento e alla gestione dei rifiuti da imballaggio che sono conferiti agli schemi di raccolta. In questa maniera, dice la Corte dei Conti, il costo unitario pagato dai produttori per il trattamento fine vita degli imballaggi di plastica è inferiore rispetto al costo reale legato alla gestione di tutti i rifiuti da imballaggio prodotti.
L’analisi della Corte dei Conti indica che i sistemi di EPR potrebbero essere rafforzati tramite l’introduzione di sistemi di deposito con cauzione (DRS, Deposit Refund Schemes). Questi sistemi sarebbero utili, per esempio, per raggiungere gli obiettivi di riciclo per contenitori per bevande in PET, per i quali la direttiva sulle plastiche monouso (SUP) prevede un obiettivo di raccolta del 77% al 2025 e del 90% entro il 2029, nonché un contenuto minimo di materiale riciclato del 25% entro il 2025 e del 30% entro il 2030.
Sistemi di deposito con cauzione per spingere il recupero dei materiali
In Europa i sistemi DRS sono attivi in 10 paesi e hanno permesso di garantire tassi di recupero superiori al 90%. Tuttavia storicamente ci sono state diverse resistenze da parte dell’industria alla loro applicazione, e solo recentemente due associazioni di categoria si sono espresse a loro favore.
“Le questioni della responsabilità estesa del produttore e dei sistemi di deposito sono di tipo politico ed economico – dice a Materia Rinnovabile Joan Marc Simon, direttore di Zero Waste Europe – Infatti applicare pienamente i principi di EPR significa cambiare i flussi economici nella società. Le organizzazioni di produttori (Producers Responsability Organisations, PROs) di bottiglie e di imballaggi alimentari hanno costruito un business che gira attorno agli imballaggi monouso. Questo business è oggi molto remunerativo perché essi non pagano i costi legati al trattamento e smaltimento dei rifiuti”. “La responsabilità estesa del produttore è obbligatoria in Europa ed è richiesta dalla Direttiva rifiuti e dalla Direttiva Imballaggi e Rifiuti da Imballaggi ed esiste in tutti i paesi europei. Ma cambiare il sistema attuale e integrarlo con i sistemi di deposito ha una componente politica. I paesi dove le Organizzazioni dei produttori sono più forti, sono quelli dove è più difficile mettere in atto dei sistemi di deposito. E tutto questo è in relazione a quanto grandi sono gli interessi economici”.
Secondo Zero Waste Europe i sistemi di deposito con cauzione dovrebbero essere applicati anche ad altri tipi di imballaggi di plastica, oltre alle bottiglie in PET. “I sistemi di deposito non dovrebbero essere specifici per un materiale, ma dovrebbero essere applicati a delle categorie di prodotti. Infatti, se un sistema di deposito è messo in atto per le bottiglie di plastica, può succedere che il mercato si sposti verso delle lattine in alluminio monouso. È importante che il sistema di deposito copra tutti i tipi di materiale, plastica, alluminio, vetro. Solo così si possono assicurare dei tassi di raccolta elevati” dice il direttore di Zero Waste Europe.
Trasparenza e tracciabilità per contrastare il traffico illegale di rifiuti
Secondo la Direttiva Rifiuti, l’Europa dovrebbe diventare autosufficiente nello smaltimento e nel recupero dei rifiuti urbani. Tuttavia, nota la Corte dei Conti, la maggior parte dei rifiuti urbani è costituita da rifiuti di plastica da imballaggio difficili da riciclare, una tipologia di rifiuti che negli anni ha rappresentato una quota sempre più ampia delle esportazioni di rifiuti di plastica al di fuori dell'UE: erano il 43% nel 2012 e il 75% nel 2017. Sino ad oggi questi rifiuti esportati hanno contribuito al calcolo della percentuale di rifiuti di plastica riciclata da parte degli Stati Membri, ma da gennaio 2021 quando entreranno in vigore gli emendamenti alla Convenzione di Basilea sui rifiuti di plastica, la loro esportazione al di fuori dell’UE sarà proibita. La Corte dei Conti nota che questo rappresenterà una difficoltà in più per gli Stati Membri nel raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio fissati dalla Commissione, e rappresenta un rischio che ci sia un aumento dei crimini legati allo smaltimento illegale dei rifiuti sia all’interno che all’esterno dell’Unione Europea. “Uno degli aspetti più interessanti dell’analisi della Corte dei Conti è di aver preso in considerazione anche il traffico illegale dei rifiuti, un aspetto di cui la Commissione europea fino ad oggi non si è occupata molto, probabilmente a causa della difficoltà di legiferare sull’argomento e della necessità di affrontare questo problema assieme all’Interpol” dice Joan Marc Simon. “Se i rifiuti di plastica devono rimanere all’interno dell’Unione Europea, dobbiamo sapere quanti imballaggi di plastica sono immessi sul mercato, quanti rifiuti sono prodotti, quanti sono riciclati, e dove sono. Invece c’è poca trasparenza ed è difficile avere dati certi.”
Secondo il direttore di Zero Waste Europe, la Commissione europea può fare molte cose per ridurre il problema dei rifiuti di plastica: come stabilire quote di prodotti ricaricabili a livello nazionale o europeo; reindirizzare i fondi di finanziamento verso misure di prevenzione; sviluppare protocolli e standard per imballaggi ricaricabili; applicare un adeguato sistema di tracciabilità per ostacolare le attività di smaltimento e le esportazioni illegali. “Tuttavia – conclude Simon - senza una riduzione degli imballaggi di plastica monouso è impossibile muoversi verso la sostenibilità ambientale, l’economia circolare e la neutralità climatica”.