La pesca nel Mediterraneo dà sostentamento a circa 180mila persone e sostiene un’industria da 4,6 miliardi di euro. Ma ogni anno 230mila tonnellate di pescato sono rigettate in mare come scarti, il 75% degli stock ittici è sovrasfruttato e le Aree Marine Protette sono inefficaci. Senza una rapida riduzione delle pratiche di pesca insostenibili, il Mediterraneo sarà presto un mare svuotato.
La pesca a strascico e i “rigetti”
Ogni anno, secondo la FAO, 230mila tonnellate di pesce pescato vengono scartate e rigettate nel Mediterraneo. Rappresentano il 18% delle catture totali e la maggior parte deriva dalla pesca a strascico, un metodo di pesca che consiste nel trainare attivamente una rete da pesca sul fondo del mare. Raschiando il fondo lo strascico distrugge o asporta ciò che incontra sul fondale: pesci, invertebrati, coralli, alghe, piante marine. L’ecosistema è fortemente perturbato e le comunità di organismi che vivono sui fondali impiegheranno anni per ricostituirsi.
“Con la pesca a strascico di fondo vengono pescate circa 300 specie diverse. Di queste, il 10% sono conservate sistematicamente, il 20% sono conservate e commercializzate occasionalmente, mentre il resto delle specie sono rigettate sistematicamente”, spiega a Materia Rinnovabile Stéphan Beaucher, consulente in politiche pubbliche della pesca e uno dei fondatori di MedReAct, organizzazione no-profit che lavora per garantire l'effettiva attuazione della Politica Comune della Pesca (PCP) dell'UE.
“La pesca a strascico è responsabile della maggior parte dei rigetti in tutto il Mediterraneo. Nel bacino occidentale si arriva fino a punte del 40% di pescato rigettato. I tassi di rigetto sono inferiori al 10%, invece, nella piccola pesca costiera, condotta con imbarcazioni più piccole di 12 metri, che pescano per meno di 12 ore, e non si allontanano oltre 12 miglia dalla costa” aggiunge Beaucher, spiegando come nella piccola pesca costiera viene spesso usato il palamito (longline fishing), un attrezzo da pesca costituito da una lunga lenza di grosso diametro con inseriti ad intervalli regolari spezzoni di lenza più sottile portanti ognuno un amo. Il palamito viene tirato su spesso, è più selettivo, e consente di pescare pesce vivo.
Così gli scarti del pescato danneggiano il futuro della pesca
A causa delle conseguenze negative sugli ecosistemi marini, nel 2019 la FAO ha dedicato un intero rapporto agli scarti del pescato nel Mediterraneo. I pesci morti rigettati a mare alterano l'abbondanza relativa tra prede e predatori nelle reti alimentari e le interazioni tra organismi spazzini che vivono sul fondo del mare e le popolazioni di uccelli marini, cetacei e squali che sono dei predatori apicali. Inoltre, la maggior parte dei rigetti sono esemplari morti o morenti, di piccole dimensioni e sessualmente immaturi e questo implica una riduzione della futura biomassa riproduttiva e del potenziale di ricostituzione degli stock ittici, le cui dimensioni sono uno dei parametri chiave nella gestione della pesca. “I rigetti di esemplari di piccole dimensioni determinano una minaccia per la viabilità della popolazione e per gli stock ittici perché sono pesci che sono morti prima di riprodursi”, spiega Stéphan Beaucher. Riducendo i potenziali rendimenti futuri della pesca, i rigetti hanno dunque anche conseguenze economiche negative per le stesse attività di pesca.
In teoria i rigetti sono vietati nei paesi dell’UE ma, spiega Stéphan Beaucher, ci sono numerose eccezioni. Oltre il rigetto di specie di scarso interesse commerciale, esiste poi anche il fenomeno detto high-grading (selezione qualitativa) sulle specie di interesse commerciale. I pescatori continuano a pescare anche quando hanno raggiunto il quantitativo massimo da vendere e se pescano esemplari più grandi gettano via quelli più piccoli, dato che non riuscirebbero a mantenere entrambi i carichi perché esauriscono lo spazio disponibile o superano la loro quota stabilita tramite legge. “Ad esempio - spiega Beaucher - in una zona pescano merluzzi di 20 cm, poi si spostano in un’altra zona e prendono dei merluzzi di 25 cm, allora rigettano in mare quelli più piccoli, che però sono già morti”.
Mediterraneo, il mare più sovrasfruttato al mondo
I rigetti contribuiscono al fenomeno dell’overfishing (sovrasfruttamento degli stock ittici) che secondo il rapporto State of the World Fisheries and Acquaculture pubblicato dalla FAO nel 2018 interessa circa un terzo degli stock globali di risorse ittiche che sono pescate a livelli insostenibili (secondo Global Fish Index la percentuale di stock sovrasfruttati sarebbe in realtà quasi il 50%). Il Mediterraneo, con il 62% degli stock ittici classificati come overfished è secondo la FAO il mare più sfruttato al mondo.
Un successivo rapporto della FAO, State of Mediterranean Fisheries 2020, nota che negli anni sono stati compiuti progressi nella giusta direzione perché le catture sono oggi inferiori rispetto agli anni '80, ma i tassi di sfruttamento sono per lo più ancora troppo elevati, i piani di gestione devono essere estesi, i rigetti e le catture accessorie devono essere ridotti. Secondo la FAO restano ancora molte sfide da affrontare prima di poter garantire alla pesca nel Mediterraneo un futuro sostenibile.
La distruzione dei fondali marini può liberare tanta CO2 quanto i viaggi in aereo
Oltre a distruggere i fondali marini, la pesca a strascico ha degli impatti negativi anche per il cambiamento climatico. Smuovendo i sedimenti le reti a strascico determinano il rilascio dell’anidride carbonica che vi era intrappolata e causano la morte degli organismi marini che vivono nel sedimento, annullando così la capacità dei fondi marini di sequestrare nuovo carbonio. Uno studio pubblicato sulla rivista Nature ha calcolato che la pesca a strascico può liberare tanta anidride carbonica quanto i viaggi in aereo. Lo stesso studio nota però che il divieto in alcune Aree Marine Prottette (AMP) di praticare la pesca a strascico, e dunque la conservazione stratigrafica dei sedimenti, non solo salvaguarderebbe le specie in pericolo, ma contribuirebbe anche alla mitigazione del cambiamento climatico tramite il sequestro di grandi quantità di anidride carbonica. Il terzo effetto positivo sarebbe quello di permettere agli stock ittici di ricostituirsi, e quindi avrebbe un effetto positivo sulla loro produttività futura. Tuttavia oggi a livello globale solo il 2,7% dell’oceano riceve una protezione adeguata a causa di conflitti tra conservazione, pesca ed altre attività estrattive.
Secondo i dati di MEDPAN e SPA/RAC nel Mediterraneo ci sono più di 1200 Aree Marine con un qualche livello di protezione. Esse coprono una superficie pari a l’8,33% del Mar Mediterraneo, ma la superficie cumulativa delle aree no-go, no-take o no fishing, cioè di aree effettivamente protette, rappresenta solo lo 0,04% del Mediterraneo.
Le Aree Marine Protette non bastano
Nell’ambito della Strategia per la Biodiversità al 2020, l'UE ha riconosciuto il ruolo vitale delle AMP nell'arrestare la perdita di biodiversità marina, impegnandosi a proteggere il 30% dell'ambiente marino entro il 2030, compresa la designazione di aree rigorosamente protette. Tuttavia il rapporto State of Nature in EU pubblicato nel 2020 dall’Agenzia Ambientale Europea (EEA) ha rilevato che senza un cambiamento radicale nell'approccio alla gestione della pesca, è improbabile che le AMP contribuiscano a invertire il declino in corso degli habitat marini. I risultati dell’EEA sono stati confermati da uno studio scientifico pubblicato nel febbraio 2022 sulla rivista Frontiers in Marine Science che fornisce “prove inconfutabili del fatto che le AMP europee non riescono a contenere l'uso di attrezzi da pesca dannosi per gli habitat protetti [e di conseguenza] i Paesi non stanno rispettando i loro obblighi legali di evitare il deterioramento degli habitat all'interno dei siti”. Questi studi indicano che l'espansione del sistema di AMP deve essere accompagnata da politiche altrettanto ambiziose di rafforzamento della gestione, per garantire che sia le AMP esistenti che quelle nuove forniscano una protezione effettiva.
Pesca a strascico vs. piccola pesca costiera
Per ridurre il problema dei rigetti, spiega Stéphan Beaucher si dovrebbe ridurre la pesca a strascico in tutto il Mediterraneo, oppure creare aree dove questa è proibita, come le Fisheries Restricted Areas (FRA), zona di restrizione della pesca che corrispondono a un'area geograficamente definita in cui alcune specifiche attività di pesca sono temporaneamente o permanentemente vietate o limitate al fine di migliorare i modelli di sfruttamento e la conservazione di specifici stock, nonché di habitat ed ecosistemi di acque profonde. Le FRA sono istituite dalla Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (GFCM), un'organizzazione regionale di gestione della pesca costituita da 22 Paesi membri e dall'UE, il cui obiettivo principale è garantire la conservazione e l'uso sostenibile delle risorse marine vive e lo sviluppo sostenibile dell'acquacoltura nel Mediterraneo e nel Mar Nero. “Nel Mediterraneo ci sono 8 Fisheries Restricted Areas ma dovremmo averne di più” dice Beaucher.
Secondo la FAO la pesca nel Mediterraneo dà sostentamento a circa 180mila persone e sostiene un’industria da 4,6 miliardi di euro. La pesca industriale e la piccola pesca costiera si concentrano spesso sulle stesse specie ma utilizzano tecniche di pesca diverse, la prima con gravi impatti sugli ecosistemi marini e gli stock ittici. La pesca a strascico rappresenta il 70% degli input di pesca sul mercato nel Mediterraneo, mentre la piccola pesca costiera il restante 30%. Tuttavia la piccola pesca costiera rappresenta il 50% dei posti di lavoro totale.
Secondo Beaucher i due tipi di pesca mettono in opposizione “l’interesse collettivo generale da una parte e interesse particolare dell'imprenditore dall'altra. Per la società sarebbe meglio avere più posti di lavoro e meno impatto sugli ecosistemi marini.”
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