All’inizio c’erano gli ecolavori, poi i lavori a un basso contenuto di anidride carbonica, quindi i green jobs. Adesso si parla anche di lavori circolari, con esplicito richiamo alle dinamiche della circular economy. In effetti, il mondo del lavoro ha subito – e continua subire a partire dagli ultimi due decenni – una trasformazione radicale legata, da un lato, all’innovazione tecnologica e digitale e, dall’altro, a una accresciuta sensibilità ambientale. 

Rifacendosi all’assunto del Rapporto Brundtland secondo il quale non può esserci giustizia ambientale senza giustizia sociale, i lavori verdi devono essere però anche lavori dignitosi, adeguatamente salariati, inclusivi e senza disparità di genere. Non basta essere addetti alla produzione di pannelli solari, esperti nel riuso dei materiali o bravi giardinieri-paesaggisti se poi la filiera per la quale si produce sfrutta i lavoratori o non offre pari possibilità di carriera ad ambo i sessi.

Per questo da anni nella rilevazione dei dati sull’economia verde e sul fabbisogno di green jobs in Italia, Unioncamere e l’Agenzia per le politiche attive del lavoro (Anpal), attraverso il Sistema informativo Excelsior, hanno messo a punto alcuni parametri che rilevano non solo il grado di sostenibilità dei prodotti o dei servizi finali, ma anche l’effettiva trasformazione dei processi, inclusa la capacità di riciclo e riuso dei materiali, l’efficienza energetica e così via. Inoltre Excelsior ha rivelato che negli ultimi anni non solo il mercato del lavoro è sempre più votato ai green jobs, ma anche che la green e circular economy crea categorie di professioni che offrono la maggiore stabilità economico-contrattuale. 

Inoltre secondo le rilevazioni riferite al 2017 contenute nella pubblicazione Le competenze green, l’attitudine al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale si è rivelata la prima competenza richiesta dalle imprese subito dopo le cosiddette soft skills. Per le aziende italiane, in altri termini, prima della capacità comunicative scritte e orali in lingua italiana e di quelle straniere, deve esserci l’attitudine alla sostenibilità ambientale. Delle 4.092.500 entrate previste nel mercato del lavoro, per il 76,8%, cioè 3.143.190 unità, la competenza green è considerata necessaria per svolgere la propria professione, e per un 36,8%, vale a dire 1.506.690 unità, il grado di importanza di questa competenza è considerato addirittura medio-alto.

L’elemento più evidente che giustifica un tale posizionamento va individuato nel grande successo che hanno avuto gli strumenti finanziari per l’efficienza energetica, e più in generale le ristrutturazioni edili che più di ogni altro comparto ne hanno goduto. Secondo i dati di Symbola-Cresme il volume degli investimenti nelle ristrutturazioni attivate dagli incentivi nel 2016 è stato di 28 miliardi, vale a dire il 16% dell’intera produzione edile e il 56,9% di tutti gli interventi fatti nell’edilizia residenziale. 

L’indagine Ipsos 2017 sul lavoro rivela che l’84% degli italiani dà grande valore all’efficienza energetica degli edifici (per il 43% è “molto importante”, per il 41% “importante”); per quanto riguarda l’ecobonus la ricerca evidenzia come il 76% degli italiani ne sia a conoscenza e di questi il 15% dice di averne fatto uso.

Se ne deduce un mercato particolarmente attivo e significativo per gli indubbi vantaggi che l’efficientamento energetico e, più in generale, l’attenzione verso la sostenibilità può portare a privati, imprese e pubbliche amministrazioni. 

Di fronte a questi scenari ben si comprende la ragione della pervasività della competenza green fra le skills dei futuri occupati. E guardando nel dettaglio i dati riferiti alle entrate nel mercato del lavoro per le quali è richiesta l’“attitudine al risparmio energetico e alla sostenibilità” per gruppi professionali, sono quelli a più alta vocazione ambientale ad esprimere – in percentuale una richiesta più cospicua: 82,5% per la professioni tecniche e 79,9% per gli operai specializzati. 

Secondo i dati del Rapporto Greenitaly nel corso del 2017 si è registrata un’accelerazione alla propensione delle aziende a investire per l’ambiente: sono 209.000 infatti le imprese che si sono impegnate, o intendono farlo, sulla sostenibilità e l’efficienza, con una quota sul totale (15,9%) che ha superato di 1,6 punti percentuali i livelli del 2011 (14,3%). 

La formazione alla sostenibilità e ai principi dell’economia circolare vengono sempre più richieste in settori fino ad oggi inaspettati. Per esempio l’interesse medio-alto da parte della categoria dei professori di scuola pre-primaria (45,6%), dai professori della primaria (54,5%), di animatori turistici e professioni assimilate (56%) nonché degli addetti alla sorveglianza di bambini (61,2%) va proprio in questa direzione. 

Ma perché è richiesta un’attitudine alla sostenibilità negli insegnanti? La risposta immediata suggerita dall’insieme dei dati è che sia avvenuto in maniera generale e trasversale un cambiamento culturale nella percezione di tali competenze.

Se, infatti, appare come una conseguenza logica e inevitabile che l’attivazione di un mercato dell’efficienza energetica o della circolarità dei flussi di materiali abbiano portato una ricerca di lavoratori con competenze strettamente attinenti, ciò che rappresenta una effettiva novità sono le percentuali di ricerca di professionisti green registrate in tutti gli ambiti: 78,1% per le professioni commerciali e servizi, 78% per quelle intellettuali e scientifiche, 78% per gli impiegati, 76,8% per i dirigenti e 75,8% per i conduttori impianti e macchine.

In pratica se la competenza green fino a pochi anni fa si presentava come specifica, ora è piuttosto un orientamento personale, una propensione culturale. 

Una sorta di anello di congiunzione fra le competenze “soft” e quelle “hard”: fra ciò che è trasversale, e quindi adatto e necessario a tutte le professioni, e ciò che è più specifico solo per alcune.  

 

 

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