Pochi hanno saputo applicare il pensiero integrato e l’approccio transdisciplinare agli studi ambientali come Carl Folke. Autore di 12 libri e 200 articoli scientifici, tra cui 15 pubblicati su Science and Nature, è considerato uno tra i 10 scienziati più citati al mondo nel campo di ambiente ed ecologia ed è caporedattore di Ecology and Society.

Materia Rinnovabile lo ha raggiunto nel suo studio di Stoccolma per comprendere la profonda interconnessione tra essere umani, sistemi della biosfera, resilienza, arte e scienza. 

 

Negli ultimi 11.000 anni l’umanità ha vissuto una fase di inusuale stabilità della Terra, cosa che ci ha permesso di prosperare. Ma adesso siamo la causa della sua destabilizzazione. Cosa potrebbe succedere se uscissimo da questa fase di stabilità?

“Abbiamo raggiunto un notevole livello di attività per essere una singola specie che supera i sette miliardi di esemplari (probabilmente saranno nove o dieci entro il 2050) che vivono in una società globalizzata. Stiamo davvero oltrepassando il limite e compromettendo la possibilità di un nostro futuro sulla Terra. Naturalmente la Terra continuerà a evolversi come organismo finché il Sole starà al suo posto, là nella biosfera, ma la questione è se noi ci saremo ancora o meno, e in certa misura questo dipende da noi. Si è trattata di un’eccezione nella storia climatica della Terra, che molti pensano possa durare ancora a lungo, ma ciò accadrà solamente se non tiriamo troppo la corda e non destabilizziamo le operazioni di base del sistema.”

 

Qual è l’anello più debole per la stabilità del nostro pianeta?

“Abbiamo molti elementi sensibili. Immaginando che l’intera superficie della Terra sia un unico grande paese direi che il nostro sistema di produzione alimentare ci ha privato di gran parte della capacità di adattarci a cambiamenti inaspettati. In questi 11.000 anni la produzione alimentare è stata sostenuta da un clima abbastanza stabile e siamo in grado di prevedere le piogge anno dopo anno. Abbiamo un sistema ben collaudato di raccolti che vendiamo sul mercato globale. E abbiamo semplificato l’intero ecosistema, rendendolo più vulnerabile ai cambiamenti, così adesso è meno resiliente.”

 

Comprendere i cambiamenti e il modo di diventare resilienti implica l’analisi delle complicate interazioni tra economia umana, biosfera, clima, acque e sistemi culturali. Come si possono rappresentare queste interazioni?

“Penso che ci troviamo ancora in una fase esplorativa per quanto riguarda la capacità di mettere in relazione questi ambiti così diversi. Naturalmente sono stati fatti molti progressi in diversi settori, ma combinarli fra loro è difficile. Stiamo cercando di fare qualcosa di simile a quanto è accaduto in passato nella medicina. Un paio di decenni fa i medici erano specializzati solo su alcune malattie specifiche. Oggi invece consideriamo il corpo come un sistema integrato: nella medicina la nostra prospettiva è diventata molto più interdisciplinare rispetto a quella che avevamo nei cento anni precedenti.

Certo, comprendere tutte le interconnessioni è quasi impossibile, quello che dovremmo fare è scoprire quali strade non dobbiamo intraprendere, quali strade dello sviluppo non sono sostenibili.”

 

La comunità scientifica sta lavorando in modo interdisciplinare per risolvere tali questioni? 

“Secondo me ci sono molti validi scienziati e gruppi di ricerca che ci stanno provando. Ma penso che il sistema universitario non si stia adattando rapidamente a questi cambiamenti. Lo stesso accade in Italia, dove l’università è stata divisa in dipartimenti di scienze sociali, materie umanistiche e scienze naturali: dobbiamo rimediare a questo errore.”

 

Dovremmo essere più simili agli scienziati del 17° secolo, quando le specializzazioni erano rare e gli scienziati tendevano ad avere un approccio olistico alla realtà?

“Proprio così. Ci stiamo muovendo in quella direzione, quindi probabilmente tra qualche decennio sarà più evidente. Oggi l’umanità si trova in una dimensione globale ed è necessario comprendere tutti i tipi di connessione. Non penso che sia possibile trovare un singolo luogo sul pianeta che – in un modo o nell’altro – non sia connesso. Un altro elemento importante è la velocità di trasformazione, un nuovo tipo di velocità che prima non esisteva prima. L’ultimo aspetto riguarda l’incredibile rapidità con cui la connettività fa viaggiare veloci le cose, sarebbe bene utilizzare questa capacità per orientare il nostro futuro verso cammini molto più sostenibili.”

 

Quindi essere resilienti significa anche rendersi consapevoli di questa velocità e di queste interazioni per poter reagire. Può darmi la sua definizione di resilienza?

“Per resilienza intendiamo, fondamentalmente, il modo in cui possiamo affrontare il cambiamento, come possiamo continuare a progredire con il cambiamento: se hai intrapreso una strada che ti piace cerchi di adattarti ‘cambiando’. Ma se sei su una cattiva strada cerchi di modificare direzione per creare un nuovo cammino: questo è ciò che chiamiamo una trasformazione. La resilienza per noi è davvero un concetto che guarda al futuro. La resilienza permette di creare nuove cose o di innovare. Visto che non si può innovare a partire dal nulla, bisogna basarsi su un retaggio o su più retaggi che possano essere combinati per arrivare a creare innovazione. Questo è il fulcro della resilienza: persistere, adattarsi e trasformare. Se vogliamo che 9 o 10 miliardi di persone riescano a vivere sulla Terra, come comunità scientifica dobbiamo trasformare i nostri attuali percorsi in altri più sostenibili. Dobbiamo integrare lo sviluppo economico e sociale con la capacità che ha la biosfera di sostenerci.”

 

Quindi se un governo chiedesse il suo consiglio, domandando quali passi vanno compiuti per rendere il proprio paese più resiliente, che cosa gli direbbe?

“Primo: cercate di mettere in relazione e integrare l’economia, la società e la biosfera. Secondo: promuovete istituzioni e strutture che possano creare innovazione orientata alla resilienza. Terzo: continuate a sviluppare l’energia verde. I paesi stanno iniziando ad abbandonare le risorse basate sui combustibili fossili a favore di quelle verdi. Per esempio, quando ero piccolo a Stoccolma tutte le case venivano riscaldate a gasolio, con cisterne che si tenevano in cantina. Adesso non ci sono più cisterne di gasolio, ma le persone usano l’energia geotermica, eolica o solare. Si tratta di un cambiamento che ha avuto luogo nel corso della mia vita, e questo tipo di trasformazioni stanno accadendo ovunque. Penso che oggi ci troviamo in una specie di nuovo Rinascimento o nuova Età dei Lumi, in cui stiamo cominciando a riconnetterci con il pianeta su cui viviamo.”

 

Cosa dovrebbe fare invece un’azienda privata per integrare la resilienza nella sua strategia di sviluppo a lungo termine?

“Penso che per molte aziende adesso questa stia diventando una questione veramente strategica. Una persona proveniente dal mondo del business una volta ha dichiarato: ‘non si possono fare buoni affari su un pianeta morto’. Penso che ciò abbia a che fare con il fatto di non precludersi delle possibilità: se sei in affari devi essere flessibile per poter rispondere ai cambiamenti, che siano un crollo finanziario, un cambio di governo ecc. E per questo è necessaria la resilienza, la capacità di vivere con i cambiamenti. Quando si tratta del pianeta molte aziende, soprattutto le più grandi, stanno davvero comprendendo che non è solo di marketing sulla responsabilità sociale di impresa, piuttosto di una forte convinzione che non possiamo continuare a prosperare sulla terra se non collaboriamo con il pianeta di cui siamo parte.

La nostra ricerca sulle aziende marittime a livello globale mostra che solo il 20% lavora per ridurre i rischi ambientali, il che vuol dire aver davvero perso ogni interesse per la produzione sostenibile. Ma sono ottimista: le aziende iniziano a mostrare crescenti segnali di consapevolezza e impegno, cosa che non accadeva prima. Non si tratta solo di un cambiamento di mentalità, ma di qualcosa di più profondo: per molte persone è impossibile andare avanti in questo modo.”

 

Comunicare come è importante ragionare in termini di resilienza è uno degli aspetti di fondamentale importanza...

“La resilienza richiede di pensare in modo complesso e richiede soprattutto complicati sistemi di adattamento, che possono coinvolgere aspetti scientifici che vanno dalla fisica all’archeologia. Per comprendere questa complessità non si può utilizzare solamente il pensiero razionale efficiente, ma è necessario attivare l’altra parte del cervello, quella collegata all’intuizione. Abbiamo bisogno di mostre di artisti creativi, di film, quadri e installazioni, come anche del giornalismo, che aiutino le persone a riconnettersi con il pianeta sul quale viviamo.”

 

Pensa che l’arte e la narrazione di storie possano servire a raggiungere questo obiettivo?

“Penso che siano parte di questo processo di cambiamento a lungo termine in cui ci troviamo proprio adesso. Pensiamo a questa intervista: il fatto che lei mi abbia chiesto della resilienza è un esempio del processo di trasformazione in atto proprio ora.”

 

Quindi lei è ottimista su questa trasformazione: pensa che questo Rinascimento sia in atto e che si estenderà a tutto il mondo?

“Se non fossi ottimista non sarebbe così piacevole trovarsi qui adesso, è facile farsi trascinare verso il basso da pensieri deprimenti. Ma penso davvero che possiamo mobilitare le nostre capacità intuitive e creare nuovi cammini di sviluppo, per fare in modo che il maggior numero di persone possibile ne tragga beneficio.”

 

Lei lavora con la Resilience Alliance: qual è l’obiettivo di questo gruppo?

“Vogliamo capire meglio le interazioni tra persone e ambiente. Ci lavorano almeno 20 gruppi di ricerca, network creati circa 20 anni fa. La resilienza non è un concetto che è stato inventato a livello teorico, piuttosto è emersa dall’osservazione. Comunicare questo aspetto è molto importante, perché molti pensano che sia un concetto teorico, ma in realtà è un’interpretazione di come funziona il mondo.”

 

 

Royal Swedish Academy of Sciences, www.kva.se/en

Stockholm Resilience Centre, www.stockholmresilience.org

Beijer Institute of Ecological Economics, www.beijer.kva.se

Resilience Alliance, www.resalliance.org