La troviamo già nei sacchetti per la spesa, in molte parti delle automobili, nei giocattoli e nelle confezioni alimentari. È la bioplastica, ovvero quella plastica che non deriva più dal petrolio ma, in percentuali diverse, dalle risorse biologiche. Il suo mercato è destinato a crescere del 20% nei prossimi cinque anni, secondo un’indagine realizzata dal nova-Institut per la European Bioplastics, l’associazione europea dei produttori di bioplastica. Il centro di ricerche tedesco stima che la produzione annua complessiva passerà dai 2,05 milioni di tonnellate del 2017 a 2,44 milioni nel 2022. 

Oggi meno dell’1% dei 320 milioni di tonnellate di plastica prodotta annualmente è di origine biologica, ma la domanda di mercato sarà via via favorita dallo sviluppo di biopolimeri sempre più sofisticati e innovativi. Si tratta soprattutto di PLA (acido polilattico) e PHAs (poliidrossialcanoati), ma anche di biopolimeri che utilizzano l’amido di mais come Mater-Bi o Bioplast, con cui si producono plastiche biobased e biodegradabili. 

A contendersi le fette maggiori di questa torta in crescita sono grandi società chimiche come Basf, Braskem e Total-Corbion ma anche imprese totalmente focalizzate sulle bioplastiche come le italiane Novamont e Bio-on, l’americana NatureWorks, la tedesca Biotec, la britannica Biome Bioplastics e l’olandese Avantium, che con Basf ha dato origine alla joint-venture Synvina. 

La diffusione della bioplastica, del resto, interessa un numero elevato di settori: dal packaging – a cui nel 2017 è stato destinato il 60% della produzione complessiva (1,2 milioni di tonnellate) – al catering, fino all’elettronica di consumo, all’industria automobilistica, all’agricoltura, all’industria dei giocattoli e a quella tessile. 

 

Cosa sono i biopolimeri

I biopolimeri sono polimeri preparati attraverso processi biologici che conferiscono al prodotto finale un’elevata biodegradabilità.

Possono essere estratti da materiali di origine vegetale e quindi rinnovabili come l’amido e le miscele di amido; oppure prodotti tramite sintesi chimica, usando monomeri biologici e rinnovabili come l’acido polilattico (PLA) o il poliestere. Ci sono poi i poliidrossialcanoati (PHA), polimeri di riserva sintetizzati dai batteri, per immagazzinare carbonio ed energia. Si trovano all’interno delle cellule batteriche, accumulati sotto forma di granuli.

 

I nuovi polimeri biobased

Il motore della crescita delle bioplastiche è rappresentato in via principale da PLA e PHA. Il primo – la cui capacità produttiva dovrebbe aumentare del 50% entro il 2022 – è un materiale molto versatile, adatto a innumerevoli applicazioni, dagli imballaggi alle fibre. Secondo gli esperti offre alte prestazioni che ne fanno un eccellente sostituto per il polistirolo (PS), il polipropilene (PP) e l’acrilonitrile-butadiene-stirene (ABS) in applicazioni più impegnative. L’ABS – per fare un esempio – è la plastica utilizzata per produrre i famosi mattoncini della Lego che il colosso dei giocattoli danese ha annunciato volere produrre totalmente in bioplastica entro il 2030.

I PHAs, invece, sono un’importante famiglia di polimeri che è entrata sul mercato su scala commerciale più recentemente, con capacità produttive che si stima potranno triplicare nei prossimi cinque anni. Questi poliesteri sono al 100% a base biologica, biodegradabili e presentano una vasta gamma di proprietà fisiche e meccaniche. 

La plastica a base biologica, non biodegradabile, comprese le soluzioni cosiddette drop-in polietilene (PE), polietilene tereftalato (PET) e poliammidi (PA) a base biologica, allo stato attuale rappresentano circa il 56% (1,17 milioni di tonnellate) della capacità globale di produzione di bioplastiche. L’indagine realizzata dal nova-Institut stima che la produzione di polietilene a base biologica continuerà a crescere man mano che saranno disponibili in Europa nuovi impianti che garantiranno maggiori capacità. Mentre si assisterà a uno spostamento degli investimenti dal PET al PEF (polietilene furanoato), un nuovo polimero che dovrebbe entrare nel mercato nel 2020. Il PEF è paragonabile al PET ma è al 100% a base biologica e presenta superiori proprietà termiche e barriera, ponendosi così come un materiale ideale per il confezionamento di bevande e prodotti alimentari. Non è un caso che l’olandese Avantium che lo sta sviluppando abbia siglato nel dicembre 2011 una partnership commerciale con la Coca-Cola. 

A essere atteso su scala commerciale entro il 2020 è anche il polipropilene (PP) a base biologica, che ha un forte potenziale di crescita in virtù della sua applicazione in una vasta gamma di settori. Infine, ci sono i poliuretani (PUR) a base biologica, un importante gruppo di polimeri che ha enormi capacità di produzione, un mercato consolidato e dovrebbe crescere più rapidamente del mercato PUR convenzionale grazie alla propria versatilità.

 

I big player 

Uno dei principali produttori al mondo di biopolimeri è il gruppo chimico brasiliano Braskem, che vanta nel proprio portafoglio-prodotti resine di polietilene (PE), polipropilene (PP) e polivinilcloruro (PVC), nonché prodotti petrolchimici di base come etilene, propilene, butadiene, cloro, benzene, toluene ecc. La società sudamericana dal 2010 a oggi è divenuta leader nel mercato mondiale delle bioplastiche, grazie allo sviluppo di “I’m Green”. Si tratta di un polietilene da fonti rinnovabili (ricavato dalla canna da zucchero), che è il risultato di una cooperazione avviata nel 2008 con l’Università statale di Campinas (Unicamp) e la Fondazione per il sostegno alla ricerca dello Stato di San Paolo (Fapesp) per lo sviluppo di ricerche per la produzione di biopolimeri o polimeri da fonti rinnovabili. 

Negli Usa è attiva anche NatureWorks, società nata da una joint venture tra il colosso statunitense Cargill e la thailandese PTT Global Chemical. La società, che ha il proprio quartier generale in Minnesota, commercializza monomeri e biopolimeri denominati Ingeo derivati al 100% da risorse naturali rinnovabili. “La produzione di Ingeo (un biopolimero PLA) genera – assicurano dalla NatureWorks – il 60% in meno di gas a effetto serra e richiede il 50% in meno di energia non rinnovabile, rispetto ai polimeri tradizionali come il PET o il polistirene.” Le sue applicazioni principali: filamenti per stampa 3D, articoli durevoli, film, rivestimenti per carta, tazze e contenitori per alimenti, stoffe, salviette umidificate, materiali usa e getta e materiale di base per molti compound chimici.

In Europa, il mercato del PLA interessa la joint-venture tra il gigante petrolifero francese Total e la società chimica olandese Corbion. La Total Corbion PLA sta costruendo in Thailandia un impianto di polimerizzazione con una capacità di 75.000 tonnellate all’anno. Il suo avvio è pianificato per la seconda metà del 2018 e produrrà una gamma completa di resine pulite in PLA sotto il marchio Luminy: dal PLA standard al PLA specifico resistente alle alte temperature.

“Nel mercato in rapida crescita delle bioplastiche – ha dichiarato Stéphane Dion, amministratore delegato di Total Corbion PLA – la nostra nuova società si impegna a fornire un materiale versatile e innovativo che sia biobased e biodegradabile, porti valore aggiunto ai clienti e contribuisca a un mondo più sostenibile per noi stessi e le generazioni future.”

Anche la tedesca Basf guarda da tempo con interesse al mercato. Il colosso chimico di Ludwigshafen, che è impegnato nella ricerca e nella produzione di biopolimeri compostabili e con contenuto da fonti rinnovabili, ha già lanciato la bioplastica Ecovio che è certificata compostabile secondo gli standard internazionali e al termine del proprio normale utilizzo può essere avviata a un impianto di compostaggio industriale. “Nelle condizioni tipiche di tale ambiente, infatti – dicono da Basf – Ecovio subisce un processo di biodegradazione ad opera di microrganismi e, nel corso di qualche settimana, si trasforma in compost utilizzabile per migliorare la fertilità del terreno.”

Le principali aree di applicazione di questa bioplastica made in Germany sono i sacchetti per la raccolta della frazione organica e quelli per la spesa. Ma non solo: soddisfacendo i requisiti della normativa europea in materia di contatto con prodotti alimentari, può trovare molte altre applicazioni come rivestimento di carta e cartone, nella produzione di bicchieri o piatti usa e getta o delle vaschette destinate a contenere prodotti alimentari e nei film plastici utilizzati in agricoltura per la pacciamatura.

L’interesse di Basf nei confronti delle bioplastiche è testimoniato anche da Synvina. Si tratta di una joint-venture, realizzata con Avantium nell’ottobre 2016, per produrre e commercializzare l’acido furandicarbossilico (FDCA) prodotto da risorse rinnovabili (fruttosio derivante da piante come materia prima) e il polietilene furanoato (PEF), che ha proprio nel FDCA il proprio elemento costitutivo, caratterizzato – rispetto ai materiali plastici convenzionali – da migliori proprietà barriera per gas come anidride carbonica e ossigeno. Il che lo rende un prodotto adatto a garantire una maggiore durata dei prodotti confezionati e quindi per la produzione di imballaggi per alimenti e bevande, come per esempio film e bottiglie di plastica. Dopo l’uso, inoltre, il PEF può essere riciclato.

 

La bioplastica nell’economia circolare

Secondo la Commissione europea ogni anno i cittadini del Vecchio Continente generano 25 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica, di cui solo meno del 30% viene raccolto per il riciclo. E solo il 5% del valore della plastica utilizzata per il packaging resta nel ciclo economico, mentre il rimanente viene perso dopo un primo uso molto breve. Il conto da pagare ogni anno ammonta così dai 70 ai 105 miliardi di euro. Uno spreco enorme che ha portato la Commissione a presentare lo scorso dicembre la propria strategia sulla plastica nell’economia circolare, stabilendo obiettivi chiari per ridurre gli sprechi di plastica, aumentare l’efficienza delle risorse e creare crescita occupazionale in Europa. Manca però – lamenta European Bioplastics – un approccio globale al tema della plastica con un’attenzione limitata al riciclaggio meccanico. 

Secondo l’associazione dei produttori di bioplastica “sono stati ulteriormente rinviati i passi concreti verso la riduzione della dipendenza dalle materie prime fossili, collegando l’economia circolare con la bioeconomia e il sostegno a soluzioni innovative di plastica a base biologica; i contributi delle plastiche biodegradabili a un’economia circolare sono riconosciuti, ma mancano ancora misure concrete”.

“Le plastiche ottenute da materie prime rinnovabili sono un’alternativa sostenibile per molti prodotti in plastica”, ha dichiarato François de Bie, presidente di European Bioplastics. “Se da un lato l’aumento del contenuto di plastica riciclata è importante per ridurre le materie prime fossili vergini, dall’altro è necessario incoraggiare anche le materie prime alternative sostenibili come le materie prime biologiche, allo scopo di de-fossilizzare l’economia delle materie plastiche.” 

La partita delle bioplastiche in Europa è perciò destinata a proseguire. In attesa che la Commissione europea presenti entro il prossimo ottobre, come pre-annunciato, la nuova strategia sulla bioeconomia, chiamata ad aggiornare quella lanciata nel febbraio del 2012.

 

Le imprese bio

Al fianco dei colossi chimici attivi nel variegato mondo delle bioplastiche, operano alcune imprese che possono essere definitive come vere e proprie realtà biobased, quali Novamont e Bio-on, Biome Bioplastics e Bioplastic.

Nata dalla Scuola di Scienza dei materiali Montedison da cui si è sviluppato negli anni ’80 il centro di ricerche Fertec finalizzato a integrare chimica e agricoltura, oggi Novamont è una realtà industriale leader nel proprio settore. La bioplastica sviluppata dalla società guidata da Catia Bastioli è commercializzata con il marchio Mater-Bi e deriva da amido di mais e oli vegetali, non modificati geneticamente e coltivati in Europa con pratiche agricole di tipo tradizionale.

Il Mater-Bi presenta caratteristiche e proprietà d’uso simili alle plastiche tradizionali ma, al tempo stesso, è biodegradabile e compostabile ai sensi della normativa europea. “Consente così – sottolinea l’impresa novarese – di ottimizzare la gestione dei rifiuti organici, ridurre l’impatto ambientale e contribuire allo sviluppo di sistemi virtuosi con vantaggi significativi lungo tutto il ciclo produzione-consumo-smaltimento.”

Un’impresa più giovane, ma che si è caratterizzata fin dalla sua nascita per una grande dinamicità, è la bolognese Bio-on, costituita nel 2007 per operare nel settore delle biotecnologie applicate ai materiali di uso comune e dare vita a prodotti e soluzioni al 100% ottenuti da fonti rinnovabili o scarti della lavorazione agricola. La bioplastica sviluppata dalla società guidata da Marco Astorri è a base di biopolimeri PHAs e può avere molteplici applicazioni industriali: dal packaging generico a quello alimentare, fino al design, all’abbigliamento e persino all’automotive, alla cosmetica e al biomedicale. 

Nata come puro technology provider, Bio-on lo scorso settembre ha annunciato l’inizio dei lavori di costruzione a Castel San Pietro Terme in provincia di Bologna, di un impianto per la produzione di biopolimeri speciali PHAs, naturali e biodegradabili al 100%, destinati in particolare al settore cosmetico.

Nel 2007 è nata nel Regno Unito su iniziativa della Biome Technologies, Biome Bioplastics, una società con quartier generale a Southampton e quotata alla Borsa di Londra. L’impresa amministrata da Paul Mines ha portato sul mercato una nuova bioplastica resistente alle alte temperature, biodegradabile e compostabile, sfruttando la lignina contenuta nella pasta di scarto prodotta dalle cartiere. La nuova plastica ecologica sfrutta una sostanza specifica (sintetizzata in laboratorio) che si trova nello stomaco delle termiti ed è in grado di scomporre la lignina in modo tale da ottenere biopolimeri plastici ecosostenibili. 

All’ormai lontano 1992 risale invece la nascita di Biotec, che da impresa di Ricerca e Sviluppo è diventata oggi una dei principali player nel mercato della bioplastica. La società tedesca di Emmerich am Rhein detiene oltre 200 brevetti e si occupa di sviluppo e produzione di bioplastiche sostenibili da risorse vegetali rinnovabili. Le applicazioni, flessibili e rigide, vanno dai sacchetti per i rifiuti e per la spesa, alle capsule farmaceutiche, ai blister per l’industria alimentare, alle confezioni per cosmetici. Biotec oggi produce e commercializza con il nome di Bioplast una nuova generazione di materiali termoplastici personalizzati con varie proprietà funzionali, biodegradabili al 100%.

 

European Bioplastics, www.european-bioplastics.org

Novamont, www.novamont.com

Bio-on, www.bio-on.it/index.php

Biome Bioplastics, biomebioplastics.com

Biotec, en.biotec.de

 


  

Intervista a Giulia Gregori, responsabile pianificazione strategica e comunicazione istituzionale, Novamont S.p.A

di M. B.

 

Bisogna individuare un percorso coerente e integrato 

 

Cosa è possibile fare oggi con il Mater-Bi di Novamont? E quali sono gli sviluppi a cui state lavorando?

“Il Mater-Bi è una famiglia di bioplastiche ottenute da materie prime vegetali e completamente biodegradabili e compostabili. È utilizzato in un’ampia gamma di settori applicativi in cui, grazie a tali caratteristiche, può contribuire a risolvere specifici problemi ambientali, come l’inquinamento e la conseguente messa a discarica del rifiuto organico: sacchi per la raccolta differenziata dell’organico, sacchi per asporto merci e frutta e verdura, packaging alimentare, stoviglie per grandi eventi e mense. Un altro settore in cui le bioplastiche giocano un ruolo fondamentale è l’agricoltura, in quanto biodegradano nel suolo non rilasciando sostanze tossiche e non inficiandone la fertilità. Vi sono poi altre applicazioni specifiche in cui il rischio di rilascio accidentale nell’ambiente è estremamente elevato, come nel caso delle attrezzature da pesca. 

Negli anni la nostra ricerca ha lavorato in direzione del progressivo aumento del contenuto di materie prime rinnovabili del Mater-Bi, in una logica di integrazione a monte delle nostre tecnologie, e continuiamo a guardare in tal senso. Lavoriamo, inoltre, al miglioramento continuo delle performance tecniche e ambientali dei nostri prodotti e all’ampliamento della gamma di soluzioni disponibili, puntando in particolar modo sulle applicazioni legate al food packaging.”

 

Come si inserisce la bioplastica nel paradigma della bioeconomia circolare?

“Le bioplastiche Mater-Bi si inseriscono nel paradigma della bioeconomia circolare poiché contribuiscono ad aumentare la quantità e la qualità del rifiuto organico raccolto diventando fertile compost per i terreni e chiudendo così il ciclo del carbonio. Inoltre la circolarità non è applicata al solo prodotto, ma all’intero modello di sviluppo basato sul concetto di rigenerazione territoriale. Infatti promuoviamo l’utilizzo di materie prime di origine vegetale a basso input provenienti da terreni marginali e che possano essere sfruttate in tutte le loro componenti, minimizzando gli scarti. E applichiamo le nostre tecnologie proprietarie nella reindustrializzazione di siti dismessi, contribuendo a creare nuovo valore e occupazione e a rigenerare interi territori da un punto di vista economico, sociale e ambientale.”

 

Qual è la vostra valutazione della Strategia sulla plastica nell’economia circolare presentata dalla Commissione europea? Che cosa secondo voi andrebbe modificato o integrato?

“La Strategia sulla plastica potrebbe rappresentare un passo in avanti nella direzione di un uso più efficiente e sostenibile delle risorse e del passaggio dal modello lineare di economia a un modello circolare e senza scarti. Tuttavia affinché la strategia possa contribuire in modo efficace al raggiungimento di questi obiettivi ambiziosi è necessario individuare un percorso coerente e integrato anche per le bioplastiche, agendo su aspetti quali la definizione dei settori in cui le bioplastiche possono portare dei vantaggi, l’identificazione di strumenti che ne migliorino le condizioni di mercato, la maggiore diffusione di imballaggi biodegradabili e compostabili per alimenti.”

 


  

Intervista a Mariagiovanna Vetere, Global Public Affairs Manager di NatureWorks

di M. B.

 

L’Ue deve riconoscere il valore delle bioplastiche

 

Cosa differenzia oggi il PLA dalle altre bioplastiche? Quali sono gli sviluppi a cui state lavorando?

“Il PLA (acido polilattico) che noi produciamo – Ingeo – è un polimero totalmente biobased e compostabile; si differenzia dagli altri biopolimeri per l’estrema versatilità che ne consente l’utilizzo in molti campi, dalle fibre agli imballaggi, ai filamenti per la stampa 3D. Stiamo anche lavorando allo sviluppo di fibre con elevato potere assorbente che utilizzate nei pannolini per bambini, nello strato a contatto con la pelle, riducono sensibilmente il presentarsi di allergie e irritazioni.”

 

Come si inserisce la bioplastica nel paradigma della bioeconomia circolare?

“La bioplastica, con la sua adattabilità a molteplici soluzioni di fine vita – dal riciclo al compostaggio, alla digestione anaerobica – si adatta perfettamente ai principi dell’economia circolare. Basti pensare, per esempio, al ciclo della vita garantito dal compostaggio, in cui l’utilizzo delle bioplastiche favorisce la raccolta differenziata dell’organico aumentando la produzione di compost e restituendo fertilità ai terreni. Non saprei pensare a miglior circolarità che quella del carbonio che viene catturato dalle piante, per poi essere trasformato in bioplastiche e, infine, torna nel terreno e nell’atmosfera e nutre nuove piante.” 

 

Qual è la vostra valutazione sulla Strategia sulla plastica nell’economia circolare presentata dalla Commissione europea? Che cosa secondo voi andrebbe modificato o integrato?

“La Strategia sulla plastica è una proposta ambiziosa: affronta l’argomento da diverse angolazioni e propone molte soluzioni interessanti. Però si concentra solo sul riciclo delle plastiche tradizionali, trascurando l’importanza del compostaggio nell’ambito dell’economia circolare. Infine, ancora una volta, manca un chiaro legame tra bioeconomia ed economia circolare e il conseguente riconoscimento del valore delle plastiche di origine rinnovabile.”

 

www.natureworksllc.com

 


  

Intervista a Marco Astorri, co-fondatore e amministratore delegato di Bio-on

di M. B.

 

PHAs: i biopolimeri dalle elevate prestazioni

 

Cosa sono i PHAs e cosa li differenzia dalle altre bioplastiche?

“I poliidrossialcanoati (PHAs) sono biopolimeri con caratteristiche termo-meccaniche, fisiche e reologiche superiori rispetto alle altre bioplastiche, che consentono elevate prestazioni e nuovi campi applicativi.

Rappresentano una classe di poliesteri termoplastici molto ampia che comprende più di 100 polimeri ottenuti da differenti monomeri di partenza con proprietà che variano in un range molto ampio. Stiamo parlando quindi di una piattaforma tecnologica facilmente processabile che garantisce proprietà comparabili a quelle delle plastiche convenzionali ricavate sia da petrolio, come per esempio il polipropilene (PP), sia da gas, come il polietilene (PE) e altre. I PHAs sono ottenuti completamente da fonti naturali attraverso processi fermentativi che utilizzano come materie prime gli scarti, i residui e i sottoprodotti di diversi settori agro-industriali (e non cibo come altri biopolimeri) e garantiscono completa e naturale biodegradabilità – e non solo la compostabilità – nell’acqua e nel suolo. Inoltre hanno l’enorme vantaggio di essere biocompatibili e bioriassorbibili dal corpo umano e animale, aprendo enormi e interessanti campi di applicazione.”

 

Quali sono le applicazioni a cui state lavorando?

“Con Minerv BioCosmetics stiamo sviluppando un programma dedicato alla sostituzione dei polimeri nelle formulazioni cosmetiche, un settore estremamente promettente dove i PHAs possono avere un ruolo da protagonisti assoluti. Recentemente abbiamo presentato anche un progetto per il coating dei fertilizzanti (U-COAT) che si aggiunge allo sviluppo di biopolimeri per la produzione di occhiali, il programma Minerv Supertoys per lo sviluppo di nuove formulazioni dedicate ai giocattoli, la BioRemediation per la pulizia degli idrocarburi dal mare oltre a MinervBiomeds per la sostituzione dei liquidi di contrasto e lo sviluppo della teranostica.

E molte altre applicazioni sono nella fase di sviluppo finale e nei prossimi mesi presenteremo nuovi e rivoluzionari utilizzi.”

 

Quali sono le vostre previsioni sul mercato delle bioplastiche? E quali i vostri prossimi passi?

“In generale pensiamo che il mercato dei biopolimeri crescerà con numeri molto interessanti. La richiesta è in continuo aumento e la recente polemica sulle plastiche di origine petrolifera non ha fatto altro che alimentare ancora di più questa domanda generalizzata.

Per quanto ci riguarda, Bio-on è sempre più impegnata a sviluppare il mercato delle applicazioni speciali che ha dati e caratteristiche molto promettenti e che richiede prestazioni di elevata qualità garantite proprio dai PHAs.”